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Bisogna voler vincere

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Torna l'appuntamento con "Granata dall'Europa" la rubrica di Michele Cercone: "Inutile parlare di sfiga o di mancanza di qualità: a vincere si impara e questa squadra (e il suo allenatore) devono ancora imparare tanto..."

Michele Cercone

Messo alle spalle un altro derby disastroso per risultato e per gli atteggiamenti da allegra scampagnata di alcuni dei nostri giocatori (sul campo e fuori), si guarda adesso a quel che resta del nostro zoppicante campionato con moltissimi dubbi e poche certezze. Le sconfitte nei derby degli ultimi anni, oltre ad essere una continua ferita bruciante per noi tifosi, hanno spesso rappresentato un tornante che ha pesato in maniera negativa sulle gare successive e sulle nostre speranze di ottenere (poco) altro che un dignitoso piazzamento di mezza classifica. Il rischio che questo si ripeta anche quest'anno è considerevole. Il calendario ci ha offerto la possibilità di mettere fieno in cascina con le squadre in fondo alla classifica, ma abbiamo buttato alle ortiche l'occasione di allungare e conquistare un poco di vantaggio in vista della volata dei prossimi mesi, facendo appena 3 punti con Cremonese, Empoli, Spezia e Salernitana. Siamo anche riusciti nell'impresa di uscire ai quarti di Coppa Italia con la Fiorentina e lasciarci sfuggire la storica occasione di una semifinale con la Cremonese.

Se è vero che infortuni e scelte di mercato ci hanno penalizzato eccessivamente in termini di risultati, è anche vero che a questo punto del campionato comincia ad emergere una tendenza molto chiara: questa squadra non ha la furia di vincere. Gioca bene, certo, e a tratti diverte, ma anche quando domina ed è in vantaggio, non genera mai sicurezza e certezze. Nei momenti cruciali manca la tensione positiva che serve a vincere: un giocatore che commette l'errore fatale in difesa per disattenzione, un contropiede gettato al vento per mancanza di ferocia, una seconda palla persa a centrocampo per leggerezza. Credo che l'esempio perfetto sia l'azione del 2-2 subito nel derby. Appena tornati in vantaggio, a un minuto dalla fine del primo tempo la squadra ha mostrato tutti i suoi limiti. Su una palla sostanzialmente innocua e destinata sul fondo, difensore e portiere regalano un angolo surreale per disattenzione. Sul calcio d'angolo successivo i nostri attaccanti chiamati a protezione sbagliano clamorosamente posizione e la frittata è fatta. L'episodio è singolo, ma è una sorta di compendio di quello che si è visto finora. Vojvoda con la Salernitana, Rodriguez con il Sassuolo, Djidji con la Lazio e la Roma sono tutti episodi che hanno la stessa matrice: la mancanza di quella concentrazione assoluta che viene dal voler vincere a tutti i costi e non lasciare niente agli avversari.

Inutile parlare di sfiga o di mancanza di qualità: a vincere si impara e questa squadra (e il suo allenatore) devono ancora imparare tanto. Sia chiaro che il problema principale è a monte, e le giustificazioni ci sono tutte: campagna acquisti deficitaria, squadra smontata e ricomposta con buchi evidenti, cessioni al momento sbagliato e seri punti interrogativi sui rinnovi. Ma al netto di questo, c'è un allenatore che ha la responsabilità del gioco, una squadra che va in campo e dei giocatori che devono mettere in pratica con applicazione e impegno quello che si chiede loro. Quello che non si vede in campo è una squadra che voglia la vittoria ad ogni costo e con ogni mezzo. La fame che altre squadre, grandi o piccole, mettono in mostra non sembra appartenerci. Finché dura il pressing alto e intenso riusciamo a mettere tutti in difficoltà, ma la garra non può durare solo settanta minuti, per poi lasciare sistematicamente il posto ai dubbi e alle incertezze. Per vincere servono ferocia e fame: in quest'ultima fase del campionato tutti, dall'allenatore alle riserve, devono provare di possederle. Il calendario fino alla fine del torneo ci vede opposti a cinque squadre difficili da affrontare (Napoli, Roma, Lazio, Atalanta, Inter). Ma le restanti partite sono con formazioni alla nostra portata. La porta per una qualificazione in Europa è ancora aperta e sarebbe un delitto non provarci fino in fondo. Per farlo però società, allenatore e squadra devono mettere da parte scuse e giustificazioni e darsi la Conference League come obiettivo chiaro. Mettere le mani avanti richiamando la disparità di bilanci, le carenze della rosa, gli infortuni e quant'altro può solo demotivare i giocatori e offrire comode scuse. Il Toro da adesso in poi faccia il Toro e mostri di voler vincere ad ogni costo.

Il Toro, il giornalismo e l'Europa da sempre nel cuore. Degli ultimi due ho fatto la mia professione principale; il primo rimane la mia grande passione. Inviato, corrispondente, poi portavoce e manager della comunicazione per Commissione e Parlamento Ue, mi occupo soprattutto di politica e affari europei. Da sempre appassionato di sport, mi sono concesso anche qualche interessante esperienza professionale nel mondo del calcio da responsabile della comunicazione di Casa Azzurri. Osservo con curiosità il mondo da Bruxelles, con il Toro nel cuore. Mi esprimo a titolo esclusivamente personale e totalmente gratuito.

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