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Due “capitani” in disarmo

Due “capitani” in disarmo - immagine 1
Torna un nuovo appuntamento con la rubrica "Loquor", a cura di Carmelo Pennisi

Carmelo Pennisi

“Il mistero è un orizzonte”

Antonie de Saint-Exupery

 

Kalidou Koulibaly e Andrea Belotti che salutano dopo tanti anni Napoli e Torino sono più di una resa del calcio al mercato, sono il segnale di una definitiva svolta copernicana nel nostro sport più amato, stupito anche dalla disinvoltura di Cristiano Ronaldo di voler lasciare il Manchester United, il club che lo aveva lanciato nel firmamento del calcio mondiale, dopo solo un anno dal suo ritorno ad “Old Trafford”.

Non c’è resurrezione dal cambiamento, non si svolta all’indietro per tornare sui passi di uno sport ormai stravolto anche nelle considerazioni di chi lo segue con gli occhi del tifoso. Fare soldi e vincere ad ogni costo hanno sostituito il racconto popolare di una fede laica ridotta ad essere imbonitrice dei sogni perduti di una società contemporanea divenuta un “non senso” della Storia. Appare come un eremita inascoltato nel deserto il Presidente Federale Gabriele Gravina, in queste settimane intento a ricordare come manchi liquidità e attenzione all’esagerato costo del lavoro a cui i club volontariamente si sono sottoposti negli ultimi anni. “Colpa della pandemia” è il mantra degli addetti ai lavori, convinti di come sia estremamente facile vendere la balla di un virus malefico ad avere prodotto una forbice sempre più larga tra indebitamento e ricavi. In realtà il calcio italiano è vittima sia di se stesso che dell’andamento economico di un Paese incapace di intraprendere una nuova via dell’oro stile anni 50 e 60 del secolo scorso.

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Siamo arenati in un bancone di sabbia di un’isola che non c’è, usati come cattivo esempio a qualsiasi Paese avesse intenzione di avviare uno sviluppo, incapaci di stare lontani dalla disorganizzazione, dall’incompetenza e dall’interesse privato in atti di interesse generale. Siamo, nello stesso tempo, colpevoli e eccessivamente colpevolizzati da interessi esterni, facilmente “bullizzati” da chi non vedeva l’ora di mettere in ginocchio un Paese forse arrogante nell’aver voluto sfidare, in occidente, il sempiterno dominio franco/anglosassone. Colpevoli e innocenti, questo è il duro giudizio della Storia mentre un giornale inglese sostiene il diritto da “ius primae noctis” del Chelsea nello strappare in un amen uno dei giocatori più amati all’ombra del Vesuvio. L’Italia non può opporsi allo strapotere inglese della Premier League,  luogo sacro dei mercanti del tempio. Dieci milioni di euro l’anno per quattro anni di contratto, sono stati il solido argomento recapitato a Koulibaly da Stamford Bridge, altro che vedi Napoli e poi muori. I giocatori da tempo hanno compreso l’andazzo e hanno deciso di non rifiutare la fortuna capitategli tra i piedi, monetizzare il più possibile non è una bestemmia ma un essere perfettamente coerenti con lo spirito del tempo, dove il gonfiore della “scarsella” vale più di qualsiasi teoria di attaccamento alla maglia ridondante di prosa arcaica da “dolce stil novo”.

Attoniti e arrabbiati con i  presidenti, assistiamo alla transumanza dei nostri totem, al quale teoricamente dovremmo sentirci legati tutta la vita, verso lidi altri rispetto alle nostre aspettative. È difficile capire cosa oggi ci si attende dal calcio, Ronaldinho, per esempio, ha recentemente dichiarato come anche lui preferisca vedere solo 15 minuti di sintesi di una partita, lo sport di cui è stato protagonista mondiale per anni non lo attrae più, lo annoia perché lo trova molto tattico. In lui rimane intatta la passione per la “Selecao”, di cui non rinuncia a vedere le partite per intero, è proprio vero che quando la Patria chiama… in questo calcio sovente ricondotto alla stessa stregua di una marchetta, Ronaldinho è riuscito addirittura a monetizzare il suo arresto in Paraguay per la nota vicenda dei passaporti falsi. Grazie al riacutizzarsi della sua popolarità a causa della disavventura giudiziaria, “Dinho” ha guadagnato 780.000 euro in nuovi contratti di sponsorizzazione.

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Non esiste un limite nella “religione” della moltiplicazione del  denaro, una religione connotata da una teologia dove l’unica cosa a non esistere è il concetto del peccato, per il resto tutto sia e deve essere possibile. In questi giorni sono fioccate le rievocazioni della mitologica partita tra Italia e Brasile del 1982 allo stadio “Sarrià” di Barcellona, per anni casa dell’Espanyol, l’altra metà del cielo, quella povera, di quella Catalogna dove il “Blaugrana” sfila ciclicamente nella ricca passerella del “Camp Nou”, lo stadio catalano per eccellenza, teatro  di concerti storici e dove anche un pontefice, Giovanni Paolo II, celebrò una messa davanti a 121.000 persone . Di fronte alla ridondanza del potere sportivo ed economico del “Barca”, autoproclamatesi come “più di una squadra”, l’Espanyol prova da sempre a rispondere con una povertà di mezzi e risultati ricca di orgoglio. In una città dove il “Barca” è una pianta onnivora propensa a divorare tutto, i “Pericos” continuano a non arrendersi al mito “Blaugrana” trasformato dal marketing come segno evidente di unico mondo possibile. Intanto dalle parti dell’RCDE Stadium, casa dell’Espanyol, si continua a sventolare con fierezza l’emblema Raul Tamudo, miglior marcatore catalano di sempre nella Liga, e una vita calcistica passata con i “Pericos” senza mai avere la tentazione, pur potendo, di approdare in altri lidi.

Ma Tamudo è ormai un panda come Francesco Totti e Paolo Maldini, che non hanno certo giocato per un piatto di lenticchie, ma in trincea fino all’ultimo con la loro squadra del cuore senza essere attirati dalle sirene del “sistema procuratori” messo in piedi per giustificare sempre più soldi e plusvalenze a coprire i debiti dei club dall’aspetto inestinguibile. Ruotare, ruotare e ancora ruotare da un club all’altro, nella vorticosa vertigine di presentazioni più da “social” che per la stampa, ridotta ad essere un mezzo per far lievitare soldi, attraverso la loro immagine e lo loro “storie” da “Instagram”, nei conti bancari dei giocatori e persino delle loro compagne, molte delle quali sognano spericolate vite da “influencer”, non si capisce poi a quale titolo se non quello di aver accalappiato sentimentalmente un protagonista della “pedata”. Vista così, il compito che si è imposto Gabriele Gravina di riformulare il nostro calcio, rendendolo più sostenibile e credibile, appare come una chimera donchisciottesca persa a lottare contro dei mulini a vento misteriosamente inestricabili.

La “matematica” del calcio contemporaneo impone la partecipazione e la complicità “all’orgia” spettacolare messa in piedi da munifici sponsor, tv contenitori di maleodoranti interessi, individui ormai lontani anni luce dall’amore necessario dovuto ad uno sport scrigno di storie preziose della cultura europea. Permane la religione laica solo come rito meccanico, ma è evidente come la devozione, quella sacra che impone alla storia epici racconti e santi eroici, è andata perduta nelle stanze ovattate di società di intermediazione come la “GestiFute” di quel volpone di Jorge Mendes, qualcosa più di un procuratore (ma sì, seguiamo il marketing del Barcellona così amato e propagandato dalle nostre parti, dove si è sempre pronti a seguire ciecamente il “pensiero” del momento imposto dal mainstream).

Sembra tutto davvero una strada senza uscita e contro l’amore eterno giurato un giorno da Koulibaly al Napoli, prima che la matematica del portafoglio del Chelsea irrompesse nella sua vita. “L’intuizione fisica giustifica la trasgressione matematica”, scrive in un passaggio della sua tesi di laurea il genio di Ettore Majorana, riconoscendo all’immaginazione della fisica teorica una supremazia verso la tecnica fredda dei numeri che vanno a sovrapporsi senza dire nulla sul nostro futuro e senza giustificare niente del passato trascorso. I numeri illuminano la “partita doppia” di un libro contabile rassicurando il presente, ma è nel ragionare continuamente su “antimateria” e” materia” dell’esistenza che possiamo riscoprire il “riconducibile” ad un senso. Non c’è mistero ma solo il “portafoglio” in due “capitani”, Kalidou Koulibaly e Andrea Belotti, pronti ad accettare senza nessun tormento di tornare “nostromi” o parte della “ciurma”. Non c’è mistero, ed è proprio questo il punto.

Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.

Attraverso le sue rubriche, grazie al lavoro di qualificati opinionisti, Toro News offre ai propri lettori spunti di riflessione ed approfondimenti di carattere indipendente sul Torino e non solo.

 

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