Toro News
I migliori video scelti dal nostro canale

Loquor

Essere onesti nel calcio (e non solo)

Essere onesti nel calcio (e non solo) - immagine 1
Torna "Loquor", la rubrica a cura di Carmelo Pennisi con un nuovo appuntamento

Carmelo Pennisi

“Preferisco perdere piuttosto che vincere in modo sleale”. Pier Paolo Pasolini

Ma cosa sta succedendo nel calcio europeo, nelle ultime ore investito dall’ennesimo caso di sospetta corruzione di un alto dirigente della classe arbitrale iberica? I club più potenti del Vecchio Continente sembrano incapaci di operare senza commettere sequele di irregolarità, sconfinamenti continui dei regolamenti, manovre spericolate e imbarazzanti nei bilanci. Da qualche anno, da più o meno dall’ingresso degli oligarchi russi e dei satrapi arabi nelle proprietà dei club, il calcio continentale si è perso nel modus operandi sconsiderato di fare qualsiasi cosa per ottenere vittorie sempre più, dalle notizie che ormai saltano fuori da qualche mese a questa parte, ammantate da sistemi fraudolenti. “La prima regola è di non perdere, la seconda regola è di non dimenticare la prima regola”, disse un giorno, in una delle rare interviste concesse, Warren Buffet, il “Mago Merlino” della grande finanza americana, stabilendo così, ancora una volta, l’ineluttabile tendenza dell’animo umano a non voler mai perdere nemmeno quando si gioca una partita di briscola tra amici.

Il neo capitalismo contemporaneo, del resto, si fonda prima di tutto sul raggiungere il risultato a qualsiasi costo e con qualsiasi mezzo, e sovente le regole vengono trattate come le classiche foglie di fico blandite a cicli regolari solo per far vedere all’opinione pubblica che le istituzioni agiscono e vegliano sui beni in comune. Attenti a non rovinare il “radicalismo di massa” (dove tutto è soggettivo, quindi è bello) imposto al comune sentire occidentale, la principale Lega calcistica inglese ha finalmente scoperto dopo, a suo dire, anni di indagine le ripetute violazioni finanziarie che il Manchester City avrebbe commesso dal 2009 al 2018, definito un “colpo epocale – se i “Citizens” fossero riconosciuti colpevoli – d’immagine inferto all’integrità del calcio inglese e alla sua industria”.

Sulla scia dello scandalo del City, oltre ai soliti tabloid inglesi, si è buttato l’autorevole esponente del pensiero del mainstream globale quale è a tutti gli effetti il “New York Times”, ponendo l’accento su un punto sovente ignorato dai media quando vengono alla luce questo tipo di scandali: “se il City ha violato le regole che garantiscono le uguali basi di partenza per ogni club, allora non ci sarebbe punizione, per quanto dura, che garantisca ciò che è stato perduto da chi quelle regole non le ha violate”. Lo sport, pur in tutta la sua bellezza, ha un risvolto crudele terribile, visto come sia legato ad un tempo, ad una età dei suoi protagonisti, allo scandire delle sue gestioni agonistiche. In tale contesto le vittorie e le sconfitte sono qualcosa da cui non si può tornare indietro, essendo delle incisioni indelebili sui destini e sugli umori di ognuno che ne viva le vicende. Quando fu finalmente chiaro il sistema del doping di Stato dello sport della Germania Est, molti atleti si pentirono di aver fatto uso del famigerato “Oral Turinabol” (prima sostanza dopante costruita in un laboratorio chimico). Ma passò quasi inosservata la drammatica e disperata dichiarazione della grande nuotatrice americana Shirley Babashoff, avversaria delle valchirie della Germania Est: “sono colpita dal loro pentimento e contenta che si sia scoperto l’imbroglio dei tedeschi orientali, ma a me chi restituirà le medaglie che l’utilizzo del doping non mi ha fatto vincere”? Non c’è giustizia che possa risarcire l’irreparabile, ecco perché nello sport bisognerebbe essere molto vigili a non far manipolare artificialmente gli “albi d’oro”.

Se si va ad un esempio, con relativo scandalo, di casa nostra, la conversazione in auge nella pubblica opinione su quanti scudetti la Juventus avrebbe vinto senza le irregolarità di bilancio e le plus valenze fittizie emerse in questi giorni, sta diventando sempre di più oziosa, visto come il tempo ormai abbia messo una definitiva pietra sopra sul passato. Lo sport, come detto, non ammette recuperi o risarcimenti, la vittoria e la sconfitta appartengono esclusivamente ad un momento determinato, e solo a quel momento. Bisogna dirlo con chiarezza e onestà: se le accuse alla Juventus dovessero essere confermate, il famoso “scudetto perso in albergo” del Napoli di Maurizio Sarri non sarebbe stato perso solo in albergo. E chi potrà restituire a Lorenzo Insigne la gioia di vincere uno scudetto con la squadra della sua città? Quando lo sport diventa il luogo dei rammarichi e dei “se fosse stato”, allora perde completamente la sua funzione di racconto mitologico e di occasioni di riscatto.

Perde, in parole povere, la sua bellezza dell’origine. La cosa a sorprendere in negativo sono le consuete difese traballanti dei club oggetto di indagine, inclini a sottolineare l’attacco alla loro “onorabilità” lesiva inoltre “dell’immagine”, quest’ultima fonte principale di ricavi. Così si è subito difeso il Barcellona, dimenticando sorprendentemente le ammissioni di Josè Maria Enriquez Negreira, per diversi anni vice capo del “Comitato Tecnico degli Arbitri”, in cui si descrive un “rapporto di lavoro” con i “Blaugrana” probabilmente normale se non fosse che Negreira in quel momento era un importante dirigente arbitrale. 1,4 milioni di euro sono stati il compenso versato dal Barcellona all’ex arbitro catalano per avere delle relazioni puntuali sugli arbitri della Liga, tutto questo mentre il figlio si occupava di dare lezioni di “coaching”  agli arbitri spagnoli, di cui di molti di loro era anche terapeuta. La difesa adottata da Negreira ha quasi del comico ed è figlia di un tempo in cui ci si affida agli azzeccagarbugli verbali per modificare il reale senso delle verità venute allo scoperto: “le mie relazioni erano tutte orali”. Il malcostume di arbitri che a fine carriera, invece di tornare ad occuparsi delle professioni e di intraprendere una vita di discrezione (onorando così la categoria arbitrale), cercano di monetizzare in ogni modo il loro passato di protagonisti sul campo è un malcostume in voga in molti Paesi del Vecchio Continente. Si riciclano come consulenti, come commentatori tv, come dirigenti di club calcistici o istituzionali, ecc…, e lo scopo è sempre lo stesso: rimanere al centro della vita pubblica e fare soldi. Nelle vicende del neocapitalismo ciò è il valore principe, da tutti accettato, ammirato, inseguito.

Karl Marx, fonte inesauribile di riflessioni sulle perversioni derivate dall’ansia di accumulare denaro, parlerebbe di una “civiltà capitalistica che lascia insoddisfatti, e laddove essa appaia soddisfatta di se, è necessariamente volgare”, mettendo il punto sul lato più appariscente dello scadimento valoriale ed etico del mondo calcistico. Scaltro e retorico, al solito, è Pep Guardiola, che di fronte alla bufera del reiterato aggiramento del Manchester City del Fair Play finanziario dichiara in pompa magna di voler rimanere con i “Citizens” anche se dovessero essere puniti con una retrocessione. Consegnate al mito(si fa per dire) sono alcune sue riflessioni sulla vicenda: “tutti i grandi momenti che abbiamo vissuto non ce li possono togliere” , seguito da “hanno creato un precedente. Attenzione, in futuro ci saranno altri club che saranno accusati come noi”. Posto come l’allenatore catalano abbia fatto bene a dedicarsi al calcio e non alla professione forense(la sua difesa dell’operato del club fa acqua da tutte le parti, nonché leggermente schifo), è davvero incredibile come per lui il calcio debba essere preservato come un fatto estetico(innumerevoli sono le sue perle egomaniache su come molti suoi colleghi inseguano un utilitaristico calcio brutto a discapito della bellezza) piuttosto che etico, quest’ultimo unico vero scopo di ogni avvenimento di sport, addirittura a discapito del risultato. Non gli sfiora nemmeno per un momento di osservare l’evidenza dei fatti (oppure fa il finto tonto. Propendo per questa seconda ipotesi), che vedono i club in mano a proprietà arabe spendere caterve di soldi a prescindere dalla tanto strombazzata sostenibilità voluta dal’UEFA. Che City, Paris Saint Germain e prossimamente il Newcastle aggirino con suggestioni da giochi delle tre carte ogni tipo di vincolo finanziario è talmente visibile che solo un opportunista finto tonto può avere l’ardire di disconoscere e di non condannare. Ma il premio di “Simpaticone dell’Anno” spetta ad Aurelio De Laurentiis, lesto come sempre a prendersi la scena per sciorinare una sua iperbole: “Il Napoli è sempre stato estremamente competitivo e, soprattutto, il più onesto”. Il verbo consente sempre di abbellire tutto nella società della comunicazione, specie se  nessun giornalista presente nella sala stampa del “Deutsche Bank Park”(assicuriamo che si tratta di uno stadio, e non di un circolo ricreativo di una banca), prova a ricordare al “più onesto” i particolari della trattativa che portò Victor Osimhen a Napoli. Ma il club campano al momento vince, quindi a nessuno importa, men che mai ai tifosi ebbri di vittorie, la lealtà e l’etica necessari se si sta parlando di sport (sugli aspetti di giustizia penale e civile spetta, eventualmente, ad altri stabilire la condotta dei club, Napoli compreso).

Al buon De Laurentiis rammenterei il recente pronunciamento del Ministro dello Sport Andrea Abodi, rispetto alle vicende plusvalenze fittizie: “serve il rispetto di chi paga tutto e magari non compra un calciatore e quindi vede i suoi obiettivi di campionato pregiudicati per una scelta sana”. L’onestà, scorrendo la “Treccani”, è qualcosa che riguarda la “lealtà, la rettitudine e la sincerità”, e nelle attuali vicende del calcio europeo al momento è davvero difficile trovarne traccia. Ai club tanto preoccupati per la loro immagine (invece dei loro eventuali reati), si potrebbe consigliare di ripassare e meditare un aforisma di Platone: “se la gente parla male di te, vivi in modo tale che nessuno possa crederle”. In fondo è facile come soluzione.

Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.

Attraverso le sue rubriche, grazie al lavoro di qualificati opinionisti, Toro News offre ai propri lettori spunti di riflessione ed approfondimenti di carattere indipendente sul Torino e non solo.

tutte le notizie di