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Tornerà il campionato

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Torna un nuovo appuntamento con "Loquor" la rubrica di Carmelo Pennisi: "Giorgia Meloni ha difeso l’aiuto con il Fisco concesso ai club calcistici..."

Carmelo Pennisi

“Perdere se stessi può avvenire

senza far rumore”.

Soren Kierkegaard

Qualcuno potrebbe ritenere, a mio avviso erroneamente, come il calcio sia quel momento in cui si prende commiato dal mondo, un luogo dove si passa in una dimensione innervata di finzioni ludiche e narrative. È qualcosa che non esiste, mentre gli altri, distanti da esso, continuano ad operare nell’esistere. A guardarla bene questa cosa presenta una incongruenza inconciliabile, essa sfida, vincendo, persino le più ardite ipotesi della fisica quantistica e le sue “stringhe”.

Non serve andare in un universo parallelo; ovunque si dovesse precipitare, tra questi, il calcio finirebbe per essere sempre lo stesso: un fenomeno misterioso e chiaro, nonché spiegabile e inspiegabile. Non c’è scienza o fatalità nelle linee di un campo, ma solo destino nelle nostre mani. Ciò era essenzialmente vero quando tutti ci si ritrovava davanti ad una partita aspettando con sofferenza e sollievo l’avvento dell’imponderabile, essenza vera del gioco più seguito al mondo. Un tempo non si costruivano le squadre per vincere, questione assai banale, ma per aspettare il dettaglio congruo a giustificarne una vittoria. Si può affermare tranquillamente che chiunque confonda il calcio con la potenza, non ha mai capito il calcio. Nemmeno chi parla di bellezza lo ha mai capito. Probabilmente per questo alla finanza si sarebbe dovuto impedire di mettervi i piedi. Nell’onirico esistono i sogni ed esistono gli incubi, ma non sono mai esistiti la banconota o la carta di credito. Nell’onirico non c’è Adam Smith o Friedrick von Hayek a giustificare ogni sorta di libero scambio in nome del profitto, ma piuttosto il “plausibile impossibile” di Walt Disney.

Seduti davanti ad una tv o sulle gradinate di uno stadio, si ha la percezione, se solo avessimo la voglia di interrogarci sulle emozioni forti provate davanti ad una partita, come la sua realtà sia talmente esasperata fino all’inverosimile da risultare impossibile una volta tornati nel contesto quotidiano. Eppure ogni volta è come una possibilità, assolutamente plausibile, di comprensione del motivo di un nostro posto nel mondo. Ci esasperiamo con la realtà esasperata fino al punto di gioire e soffrire ad un livello tale di toccare con l’anima e con la ragione, anche fosse solo per un attimo, le nostre potenzialità. Questo sport ci rende “nudi” di fronte alla Storia come solo la religione, se vissuta appieno e con coerenza, può fare. Un gol realizzato o fallito, come scrive Joseph Ratzinger, può davvero porci per un istante davanti al “Paradiso perduto, diventandone un’anticipazione di una sua possibile riconquista”.

Questo gioco, che evidentemente non è solo un gioco, è stato lungo il corso di tutto il 900 una rivelazione di quanto ci si possa appropriare della nostra libertà, di quanto sia necessario farlo, e in quale misura sia opportuno farlo. In esso si definisce l’indispensabile grado di dignità di stare al mondo. Davanti ad una squadra di calcio si è tutti uguali: ricchi dannati, ricchi spudorati, alto borghesi, medio borghesi, piccoli borghesi, proletari, diseredati. L’umanità si riunisce di fronte all’evento, se determinato dall’amore e non dal marketing, e per un istante diventa coscienza Assoluta del pianeta. Eppure, da un po’ di anni, qualcosa pare non funzionare più, e non a causa dei mercanti entrati improvvidamente a “fare affari nel tempio”. Sei di fronte al globalismo da fatturato di Gianni Infantino, alle cosmesi di bilancio di Andrea Agnelli, a Leo Messi costretto  essere fasciato da una “tunica”, al costo diventato insostenibile del biglietto di uno stadio, al panino con la mortadella sostituito dalle atmosfere glamour soft di un ristorante facente capolino sul campo di gioco, alla tv che interrompe la visione del momento dell’ingresso delle squadre in campo per provare a venderti un’automobile che non puoi permetterti, ad una lega di Serie C piombata nel caos per motivi assolutamente non chiari, ecc… ecc… l’ipotesi di non essere più di fronte a persone all’altezza del tempo vissuto può essere fastidiosa da formulare, ma necessaria per comprendere come le cose, in questo caso nel calcio, stiano mutando in un peggio nel quale risulta difficile individuarne il fondo.

Perché non si preoccupano più del gioco? Sfigurati dall’accumulo bulimico di soldi e di potere, dal narcisismo ricavato dall’eccessiva attenzione, dall’incapacità di dire un “no” a degli interessi costituiti, chi dovrebbe governare non ha più bussola e direzione se non il proprio ego strabico rispetto al concetto di responsabilità, confuso con il “realismo di stato” erto a protezione dalla presa atto di uno strenuo e orribile cinismo a pervadere. Si potrebbero raccontare numerosi retroscena sullo squallore esistenziale a cui sono giunti numerosi dirigenti sportivi, proprietari di squadre, faccendieri e giocatori vari. Ma a che servirebbe? E soprattutto: servirebbe al gioco? Sarà bene non alimentare la rabbia e provare a continuare a ragionare e comprendere. Gli uomini brigano mentre Dio sorride dei loro piani, e questo pensiero dovrebbe esortare ad essere meno banali persino nel “male” compiuto, considerato come sarebbe possibile anche sceglierne la “gradazione” di quanto compierne: nel caso sarebbe il segnale interessante dell’esistenza di un pensiero, e non di accaparramento sconsiderato e “ad libitum”.

“Una delle funzioni principali delle favole è la riscoperta”, scrive il “Signore degli Anelli” J.R.R. Tolkien, ma per riscoprire qualcosa ci vorrebbero dei punti assolutamente fermi nell’evolversi continuo delle cose. Wimbledon, ad esempio, si “ostina” a mantenere l’inizio dei suoi incontri alle 14.00 di Londra e alle mise rigorosamente di color bianco. Il filo tra il passato e il presente deve continuare a rimanere sempre teso, mentre su di esso scorrono, a passo da equilibrista, nuove imprese e antiche meraviglie. Sedotti dal marketing e dal poco tempo in cui riusciamo a staccarci dalla vita digitale dei social, niente fa più veramente sensazione “fattuale”; le beghe da “falso in bilancio” della Juventus procurano al massimo delle sterili invettive da bar. Succede nel calcio, succede nella vita culturale, succede nella politica. Bisognerebbe riconoscere il “perpetuo” e difenderlo, e invece lo storytelling di quest’Era difficile da definire non solo lo ha abolito, ma lo ha addirittura raso al suolo in nome della modernità e del progresso. E dove dovrebbe andare la nostra immaginazione? La nostra ricerca del “Paradiso perduto? Nelle plusvalenze fittizie e nei prestiti privilegiati ad alto rischio e con condizioni a rasentare l’usura? Tutto questo surrettiziamente portato avanti, davanti agli occhi dei tifosi, in nome della “vittoria”, ma in realtà ad uso e consumo di conti correnti diventati sempre più avidi. Sono pensieri da giorni di festa, da “Natività” (anche se molti ritengono sia la ricorrenza di Babbo Natale. Aahhh, storytelling malefico) e da inizio di un nuovo anno, ma tra pochi giorni il Campionato ritroverà molti di noi ancora lì, a celebrare antichi riti e consolidate superstizioni.

Sarà l’occasione, o la possibilità, di pensare come non ci siano più le strade dove far rotolare un pallone alla caccia dei piedi di un bambino, tanto care a Borges, ridotto dalle nostre menti, ahimè, anche lui a poco più di un aforisma da “Bacio Perugina”. Da dove ricomincerà, quindi, la storia del calcio? Si deve vincere la tentazione della “persuasione”, il calcio non deve cercare clienti ma adesioni del cuore. Fasce di bambini delle nuove generazioni sono talmente impegnate con il “gaming” e con lo smartphone e vogliono le sintesi delle partite di dieci minuti? Li si lasci al “gaming”, si rispetti la loro scelta e si rispettino i 90 minuti del calcio. Si rifugga dalla tentazione di far piegare la grandezza alla volontà della mediocrità soggettiva. Lo faccia in primo luogo la politica, il vertice della piramide principale responsabile di ogni cosa, anche del bene.

Ma esiste ancora il bene? O, meglio, vale la pena porselo come obiettivo? Giorgia Meloni, nella tradizionale conferenza stampa di fine anno della presidenza del Consiglio, ha difeso l’aiuto con il Fisco concesso ai club calcistici definendolo “un segno di continuità con i precedenti Governi, che avevano addirittura sospeso gli obblighi fiscali per aiutare il calcio”. La continuità di perpetuare l’errore temo sia il problema centrale e drammatico del nostro tempo, evidentemente convinto dell’impossibilità di attuare alcuna strategia di redenzione. Forse, sia i politici che i dirigenti del calcio, dovrebbero riscoprire il valore della discontinuità e l’audacia della “pirateria” contro l’ordine costituito e lo stato dei fatti. Si ribalti il tavolo attuale della Storia, si ricompongano attese e sentimenti, si riformulino obiettivi. Si spieghi, e magari si racconti, perché si deve continuare a credere. Buon anno a Giorgia Meloni, buon anno a Gabriele Gravina, buon anno, nel mio caso, ad Urbano Cairo. Lo spiegabile e l’inspiegabile vi attendono: siate all’altezza, o almeno provateci. Ah, buon anno a tutti voi. “Estote parati”.

 

Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.

Attraverso le sue rubriche, grazie al lavoro di qualificati opinionisti, Toro News offre ai propri lettori spunti di riflessione ed approfondimenti di carattere indipendente sul Torino e non solo.

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