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Aldo Grasso e lo stadio di proprietà

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Torna l'appuntamento con Loquor, la rubrica di Carmelo Pennisi

Carmelo Pennisi

“Il desiderio è una domanda improvvisa”. Fabrizio Caramagna

“Non deridere, non compiangere, non disprezzare, ma comprendere le azioni umane”, scrive Baruch Spinoza nel tentativo di spiegare il concetto di “Conatus”, ovvero lo sforzo di conservazione che comporta soddisfazione e convenienza della nostra natura. In sostanza c’è un perseverare nel nostro essere, che non muta anche quando tutti i nostri sensi, o parte di essi, registrano grandi cambiamenti. Abbiamo tutti una inclinazione con cui, volenti o nolenti, dobbiamo fare i conti nel corso di tutta la nostra esistenza, lunga o breve che sia.

Si gioca tra volontà, appetiti e desideri, calando nella realtà da sempre più potente dei nostri intenti di onnipotenza. Nella semplicità della comunicazione dei nostri avi, intrisa da saggezza rurale, si potrebbe dire di non aspettarsi una nevicata dove generalmente splende il sole. Il caso di Paolo di Tarso è, appunto, la classica eccezione che non solo conferma la regola, ma addirittura la fortifica (ma qui il discorso sarebbe lungo e in questo caso fuori luogo). A cagione di ciò, risultano un po’ incomprensibili, quasi da estrapolazione immaginifica della realtà, le parole di Aldo Grasso raccolte dal nostro Andrea Calderoni. Non si tratta di condividerle o meno (ogni tifoso ha il diritto di avere una porzione di ragione in ciò che afferma sulla propria squadra del cuore), ma di provare per un attimo a comprenderne il senso e a carpirne qualche intenzione. Usare schemi precostituiti, geneticamente modificati in preconfezionati nel corso della evoluzione del calcio da sport a forma di spettacolo, da parte della classe intellettuale, rischia di apparire ai più un retorico appendersi ad un reticolo di valori e suggestioni a cui un club come il Torino attinge a piene mani da sempre.

Grasso, che è persona di qualità e di grande talento comunicativo, sa bene come introdursi nel cuore e nella mente delle persone, e nel corso dell’intervista data a Calderoni segue uno schema volto ad arrivare ad un obiettivo prefissato. Il primo assist ai cuori granata non può non partire dalla loro naturale inclinazione verso i giovani, e allora ecco il tiro, dal sapore di un calcio di rigore, per stabilire con i suoi interlocutori con chi stanno parlando: “il mio umore varia in base ai risultati della Primavera, figuriamoci per la Prima Squadra”. Spianata la strada verso l’empatia, il commentatore principe del Corriere della Sera dello scibile televisivo si dirige verso il suo vero obiettivo, senza non prima essere passato da una reprimenda ai suoi fratelli e sorelle in tifo sulla loro tendenza al lamento invece che alla partecipazione alla vita da stadio: le roboanti dichiarazioni di Urbano Cairo sulla sua volontà di acquisire la proprietà dell’Olimpico Grande Torino.

“Purtroppo bisogna fare i conti con la realtà, non con i sogni”, dice Grasso, e la qual cosa potrebbe anche essere un salutare spunto di riflessione, peccato l’intento si disperda di fronte a delle dichiarazioni davvero generiche di Cairo sulle modalità con cui vorrebbe portare in porto l’operazione stadio di proprietà. “Sarebbe bello acquistare lo Stadio Olimpico Grande Torino. Mi piacerebbe investire se ci saranno le giuste condizioni, simili a quelle che ebbe la Juventus quando acquistò il Delle Alpi”, il racconto del Presidente del Toro sembra una via di mezzo del George Bailey de “La Vita è una Cosa Meravigliosa” e il William Wallace di “Braveheart”, perfetto incipit per una trama fluttuante tra l’emotivo e l’epopea guerresca. Cosa vuol dire avere condizioni simili a quelle della Juventus?

O, meglio ancora, come può il Comune venire incontro al Toro accogliendo l’analogia con i bianconeri? Forse Cairo vuole dei terreni edificabili attorno allo stadio senza passare per un’asta pubblica e con prezzi più bassi del loro reale valore di mercato? Si sta sul serio chiedendo ciò al Sindaco di Torino? Se è così lo si dica chiaramente e con autorevoli dati a sostegno. In gioco non c’è solamente l’inclinazione a regalare spot (se ingannevoli o meno lo decidano i lettori) facili attraverso il calcio, ma anche la credibilità della politica, in questo caso di Stefano Lo Russo, di impedire manovre somiglianti più a circonvenzione di incapaci (noi tifosi) che a reali progetti strutturali a sostegno di un club calcistico. Al netto di sapere cosa ne penserebbe la Procura della Repubblica di Torino sull’analogia juventina, “lo spirito del Toro” di cui tu parli, caro Aldo Grasso (mi permetto di darti del tu, visto la fede in comune), imporrebbe di capire, se proprio si vuole seguire il modello Juve/Continassa, il ruolo del Credito Sportivo e di una necessaria banca d’affari nell’investimento prefigurato dall’editore del Corriere della Sera. Avendo cura di non dimenticare il ricorso al debito bancario fatto dagli Agnelli/Elkann per vedere lo “Juventus Stadium” diventare realtà, Cairo sta dicendo di non avere problemi a dover ricorrere al credito nell’affare “Olimpico Grande Torino”?

Il calcio è da sempre un territorio in cui si incontrano pubblica utilità e “commercio nel Tempio”, uno spazio dove nel tempo si è creata una zona grigia foriera, in nome delle necessità pubbliche, di fiorenti strategie di profitto. Richiedere al presidente di un club calcistico chiarezza finanche delle intenzioni, non è un espediente surrettizio di invocare uno sceicco in soccorso delle fortune della squadra del cuore, ma una difesa di un patrimonio che, nel caso del Toro, appartiene non solo ai suoi tifosi ma addirittura ad un Paese intero. Quando il 4 maggio si sale a Superga, sarà bene ricordarlo, non si onora solo una super squadra finita tragicamente contro il costone di una collina, ma anche una generazione di italiani che, anche grazie allo stimolo emotivo delle imprese di Valentino Mazzola e compagni, trovarono la forza di risollevare un Paese distrutto nell’anima e nelle cose, per portarlo verso un nuovo avvenire. Allorché si parla di “spirito Toro”, e anche di questo che si parla. Non sono mai stato un anti-Cairo militante (per educazione e costituzione culturale non sono mai stato anti nulla) e ritengo come qualcosa di buono abbia fatto per il club, ma il Presidente a volte assume dei toni vetero berlusconiani (per la serie: “il mio governo sconfiggerà il cancro in tre anni”) francamente inaccettabili. Se si analizzano alcune parole di Lo Russo, c’è da rimanere in stato di inquietudine permanente: “l’ottica è quella, laddove è possibile e laddove c’è un interesse della società concreto e reale, di poter in qualche modo consolidare e sviluppare la presenza del Toro in città”. Ad Aldo Grasso non sfuggirà il significato vero di queste parole, una persona della sua statura culturale sa bene come la lingua italiana, al contrario dell’inglese, sia ricca di sottotesti. E il sottotesto evidente della dichiarazione del Sindaco di Torino va in senso opposto al “Cairo si sta muovendo su questa via” (quella dell’acquisto dell’Olimpico Grande Torino), portato avanti dal commentatore del Corriere della Sera, a meno che non si chiariscano le modalità del “concreto e reale” richiamato da Lo Russo.

Non saprei dire se l’attacco continuo alla presidenza sia una cosa stupida, non ho le certezze assolutorie di Grasso né quelle colpevoliste di alcune frange dei tifosi, di certo gli ultimi anni a tinte granata si sono vissuti con continue promesse mancate e assenza di comunicazione tra club e tifoseria. Bisogna avere l’onestà intellettuale di ammettere come Urbano Cairo non sarà mai Paolo di Tarso, non ci sarà mai una sua conversione ad un modello di business adatto alla gestione di una società di calcio. Non è, per scelta e forma mentis, Aurelio De Laurentiis, che non risulta essere stato elevato a capo di uno sceiccato. Il “Conatus” del potente editore alessandrino è esattamente quello visto finora, e non c’è niente, nella sua biografia, a lasciar presagire, o almeno sperare, di un cambio di rotta del suo modo di operare. Ci si chieda di sopportare provando a scansare le esagerazioni, caro Aldo Grasso, ma non ci si prenda per stupidi, come tu involontariamente hai fatto, solo per il fatto di volere un destino calcistico migliore di quello di oggi (e non parlo di vittorie e posizioni di classifica). Rammento a te, e a tutti noi, uno straordinario pensiero della grande Alda Merini: “Non posso farmi santa perché ho sempre in mano l’arma del desiderio”.

Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.

Attraverso le sue rubriche, grazie al lavoro di qualificati opinionisti, Toro News offre ai propri lettori spunti di riflessione ed approfondimenti di carattere indipendente sul Torino e non solo.

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