Mancavano quattro minuti alla lotteria dei rigori di Fiorentina- Olympiacos che avrebbe tenuto aperta per il Torino la possibilità di qualificarsi alla prossima Conference in caso di vittoria della Viola, ma il destino ha voluto che l'incornata di El Kaabi spegnesse il sogno di due tifoserie gemellate da sempre. Dal punto di vista del merito non c'è nulla da rimproverarsi: un nono posto conquistato con un'ultima partita indegna e il contemporaneo suicidio sportivo di un Napoli incapace di battere il Lecce già salvo era stato fin troppo generoso per una squadra che ha fallito qualunque prova di “maturità” sbagliando sistematicamente tutte le partite “della vita” degli ultimi due anni e aveva nella finale della Fiorentina l'ennesimo jolly per ottenere una qualificazione europea che solo un allineamento straordinario di tutti i pianeti aveva reso quasi possibile in questa situazione. Era già successo due volte nell'era Cairo di finire in Europa “per sbaglio” in seguito a due settimi posti e alle squalifiche di Parma e Milan, ma quest'anno, che la soglia per le coppe era l'ottavo posto, siamo riusciti ad arrivare noni, “ripescati” nella corsa alla Conference grazie alle pieghe del regolamento Uefa che ci avrebbe garantito l'accesso se, appunto, la Fiorentina avesse vinto la Finale di Atene. Non è successo e, a parte il modo davvero beffardo in cui ciò si è manifestato, credo che la domanda che ognuno di noi si sia fatto mentre guardava la partita in TV sia stata: “ma è così difficile lottare per un settimo (o anche un ottavo, visto il ranking dell' Italia) posto?".
Il Granata della Porta Accanto
Toro, ma è così difficile lottare per il settimo posto?
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Invece di sperare nelle disgrazie o nei regali altrui, non potremmo autonomamente cercare di conquistare un posto diretto per l'Europa? Senza sorpresa, so già che qualcuno inizierà a farmi notare che nel calcio moderno gli investimenti per competere ad alto livello sono talmente grossi che una società come quella granata non ha la forza economica per farli e pertanto che dobbiamo “rassegnarci” a posizioni di classifica dal nono/decimo posto in giù. Seppur in parte sia vero che il divario tra le 6/7 squadre top in Italia e le altre si sia ampliato negli ultimi anni, non condivido la posizione “accontentista” di chi non contempla la possibilità di una crescita sportiva esponenziale rispetto al livello degli investimenti fatti: i casi Atalanta e, più recentemente, Bologna ci dimostrano che la competenza, la passione e la programmazione sono elementi altrettanto importanti rispetto ai soldi e possono moltiplicare l'efficacia di un investimento economico che non deve quindi essere necessariamente monstre per ottenere entusiasmanti risultati sportivi. Il Torino purtroppo è parecchio carente sotto questo profilo perché negli ultimi 19 anni non ha mai avviato un programma di investimenti mirati in strutture e, soprattutto, in competenze. La cronica mancanza di un organigramma societario che sia ricco di brillanti professionisti capaci di fare la differenza nel proprio mestiere unito alla scarsa propensione a saper reinvestire in maniera lungimirante i ricavi delle cosiddette plusvalenze ha generato nel tempo un continuo susseguirsi di “progetti tecnici” deboli oltre ad un sostanziale immobilismo nella creazione di ricchezza patrimoniale del club. Da tifoso, pur razionalizzando sulle modeste capacità economiche della società per la quale tifo e pertanto senza chiedere la luna (scudetto, Champions, ecc ), non posso accettare che mi si faccia credere che non ci sia un modo diverso di fare le cose: come diceva Einstein, non ci si deve stupire se facendo le cose nello stesso modo, si ottengono gli stessi risultati. Forse è giunto il momento di provare a suonare un nuovo spartito per vedere quale melodia viene fuori.
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E non mi riferisco al solo cambio di allenatore giacché non esistono mister con la bacchetta magica se alle loro spalle non c'è una società che lavora bene. È sotto gli occhi di tutti che da quando Marotta è andato all'Inter il club nerazzurro ha cambiato marcia e si è messo a vincere come non gli capitava da tanti anni. Così come non è un caso che da quando Sartori è arrivato a Bologna i rossoblù siano cresciuti in maniera esponenziale. Di Gasperini e del suo sodalizio con i Percassi a Bergamo sono stufo di parlare, ma è mai possibile, quindi, che di fronte alle molteplici evidenze il presidente Cairo non abbia ancora deciso di affidarsi a professionisti di alto livello facendo un passo non indietro, ma di lato, pur di raccogliere migliori risultati sportivi? Si parla di ambiente difficile additando i tifosi del Toro come causa dell'impossibilità di fare decollare i progetti tecnici sulla piazza di Torino, quando la realtà è che i tifosi tracimano entusiasmo che deve solo essere risvegliato finalmente da un cambio di passo nelle strategie societarie. La pochezza, e mi duole utilizzare questo termine perché io vorrei sempre il massimo per il Toro, dell'ambizione di chi gestisce la società è una zavorra a qualunque potenziale progetto di crescita ed è la causa principale della frustrazione della tifoseria granata. Altro che “poco amore nell'ambiente” come denunciato da Juric! La giravolta fatta dal mister croato negli ultimi mesi del suo triennio cozza terribilmente con le costanti denunce pubbliche sullo scarso livello organizzativo della società fatte nei due anni e mezzo precedenti. Evidentemente presentarsi da nuovi potenziali datori di lavoro con la nomea di “quello che attacca la propria società” non era un buon biglietto da visita per chi è in cerca di una nuova panchina: meglio prendersela con i suoi quasi ex tifosi e ripulirsi un po' l'immagine, mostrando anche un volto più aziendalista, no?
Ma se Juric è il passato, chiunque sia il futuro deve atterrare sul pianeta Toro e sperare che finalmente si sia intrapresa una strada costruttiva. Qualche timido segnale c'è stato: molti aspetti organizzativi sono stati migliorati, non ultimo l'arrivo dall'Inter del responsabile della biglietteria che nella seconda parte della stagione ha fatto un ottimo lavoro di marketing per (ri)portare più gente allo stadio. Sul fronte del Robaldo sembra che davvero nell'arco di un anno finalmente il centro sportivo delle giovanili sarà operativo e questo potrebbe generare nel medio lungo periodo un positivo circolo virtuoso nello sfornare giocatori per la prima squadra. C'è, infine, una buona base di giocatori di proprietà che possono servire a dare al nuovo mister, unitamente agli arrivi del calcio mercato, una squadra sufficientemente affidabile per provare a puntare al settimo posto. O è troppo difficile?
Da tempo opinionista di Toro News, do voce al tifoso della porta accanto che c’è in ognuno di noi. Laureato in Economia, scrivere è sempre stata la mia passione anche se non è mai diventato il mio lavoro. Tifoso del Toro fino al midollo, ottimista ad oltranza, nella vita meglio un tackle di un colpo di tacco. Motto: non è finita finché non è finita.
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