Mi sarebbe piaciuto essere in macchina con Ginetto Trabaldo mentre accompagnava all’aeroporto Denis Law per imbarcarlo - definitivamente - alla volta dell’Inghilterra. Una decisione a senso unico, quella del capo dei Fedelissimi Granata, piena di malinconia e di rabbia per ciò che avrebbe potuto essere, ma anche un gesto di ribellione. Il mio, il nostro Campione, alla Juve, mai. Vecchi tifosi tra noi ricordano la volata di Joe Baker, tra due difensori bianconeri, a segnare il goal della vittoria nel derby del primo ottobre 1961 (Juventus-Torino 0-1). Che bello, quando vincevamo i derby e quella domenica era veramente il dì di festa! Un bel goal di prepotenza. Che bel Torino doveva essere e sarebbe stato. Questa la formazione-tipo: Panetti; Scesa, Buzzacchera; Bearzot, Lancioni, Rosato; Cella, Law, Baker, Ferrini, Crippa (sì Carletto, il papà di Massimo).


La Leggenda e i Campioni
Denis Law. Pallone d’oro 1964, troppo tardi per noi
Ora che è arrivato Ché Adams, è il momento di ricordare i giocatori scozzesi. Di scozzesi, la Legione Straniera della pedata nostrana ne ricorda ben pochi. Ecco la storia di Denis Law e Joe Baker (quest’ultimo inglese di nascita, ma scozzese per milizia e scuola calcistica). Erano arrivati dal Regno Unito, rispettivamente dall’Hibernian di Edimburgo e dal Manchester City, grazie ad una magnifica intuizione e all’intervento sul mercato di un indimenticabile talent-scout: Gigi Peronace, gran personaggio mezzo italiano, mezzo inglese e tutto calabrese. Una delle foto più belle della Storia granata, esposta in sede, mostra il capitano di allora Enzo Bearzot mentre scherza con Law ed un giovane Roberto Rosato. Una foto su cui si soffermò e di fronte alla quale è stato ritratto Joe Hart il giorno del suo arrivo a Torino.
Baker, centravanti, era un giocatore di buone, ma non eccelse qualità, Denis Law un fuoriclasse. Nato a Aberdeen nel 1940, giocava nel Manchester City quando il vulcanico Gigi Peronace lo convinse a varcare la Manica: aveva appena ventun anni, ma era campione autentico. Mezza punta offensiva, scatto dribbling, tiro in corsa e da fermo, geniali illuminazioni tattiche: un giocatore di dimensione europea. Il Torino li sistemò, entrambi, in una villetta alle falde della collina che sovrasta la città, così, pensarono i candidi dirigenti granata, non soffriranno. Per giocare (specialmente Law) giocavano, e anche bene. Con forza (Baker) e con classe, Law. Erano dei gran bei giocatori e fornirono un eccellente rendimento (Law segnò 10 goal in 27 gare, Baker 7 reti in 19, il Torino fu a lungo nelle prime posizioni, per poi finire settimo).
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Però erano capitati in un altro mondo, in mondo diverso rispetto a quello in cui erano abituati a vivere. Un clash culturale pazzesco. D’altronde durante lo stesso campionato Jimmy Greaves, a Milano nelle file del Milan, andava incontro agli stessi problemi di “adattamento” alla professione del calciatore in Italia. Il mio professore di ginnastica alle Medie, che proprio in quegli anni era stato brillante mezzala nella Primavera rossonera allenata da Nils Liedholm, ricordava Greaves (“abilissimo stilista e gran lavativo”, secondo la stringata descrizione di Gianni Brera) seduto sulla traversa, mentre si rifiutava di svolgere con i compagni l’allenamento programmato, facendosi beffe del Paròn Nereo Rocco. Parliamo di Greaves, il centravanti dell’Inghilterra contro il Resto del Mondo nell’anno seguente. Torniamo ai nostri britannici in maglia granata. La definizione più azzeccata la scrisse Vladimiro Caminiti: “Concepivano la professione come lavoro domenicale e spasso settimanale”, così i dirigenti del Torino stavano sempre con il cuore in pena per ciò che avveniva lontano dal campo. Esempio: il Toro va a giocare a Roma, per affrontare i giallorossi. Law e Baker lasciano di soppiatto l’albergo per andare al night, fanno baldoria, ne escono all’alba. Law è sottobraccio alla famosa Rosy Royal, una vedette dell’epoca che frequenta intensamente l’ambiente dei calciatori più in voga. Sono gli anni della dolcevita in Via Veneto. Un paparazzo scatta il flash, Law si infuria, lo rincorre, lo agguanta, lo pesta.
Mentre il Torino fa di tutto per attenuare il clamore sull’accaduto, i due “campioni” si concedono una vacanza-premio a Venezia. Ecco i nostri giocatori passeggiare per San Marco in dolce compagnia, ecco il solito paparazzo che scatta il flash, ecco i due prestipedatori prodursi in uno scatto, agguantare il fotografo e aggredirlo procurandogli ferite serie. Giusto un pourparler. Però il fotografo, Celio Scapin, uomo di una certa età, li denuncia (ovviamente). I dirigenti del Torino non sanno più a qual Santo votarsi per mettere un freno al comportamento irresponsabile di quei due ragazzi. I quali ci pensano da soli a chiamarsi fuori. All’alba dell’8 febbraio di quel lontano 1962, una Alfa Romeo Giulietta Sprint bianca , nuova di zecca, lanciata a folle velocità, carambola, impazzita, in una strada deserta di Torino, per andare a schiantarsi contro un pilone sul Lungo Po Armando Diaz all’altezza di Corso Cairoli. Tre feriti fra le lamiere contorte. Accorrono i primi soccorritori, poi le ambulanze li trasportano, ovviamente sotto choc, in ospedale. Dove vengono facilmente identificati. Baker ha una grave frattura al palato e il setto nasale sbriciolato; Denis Law se la cava con escoriazioni multiple e frattura di un polso; suo fratello Joseph, che era venuto a Torino per… tenerlo d’occhio (sic!) e costringerlo a una vita più morigerata, se la cava praticamente incolume.
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Joseph Henry Baker resterà sessanta giorni in ospedale, poi il Torino, che non ne poteva più, lo piazza all’Arsenal. Nelle file dei Gunners arriverà a mettere a segno 100 goal in 156 partite, diventando per tre stagioni capocannoniere della squadra londinese. Law si riprende in fretta, torna a giocare, bene. Così bene da indurre l’Avvocato Agnelli ad interessarsi a questo scozzese ribelle, ma gran giocatore. La cosa viene risaputa ed eccoci al gran finale: una mattina Torino si sveglia e viene a sapere che, alle prime luci dell’alba, Denis Law è partito destinazione Londra con biglietto di sola andata. Una fuga in grande stile? Quella fu la versione ufficiale del Torino AC, che rimpiazzò Law con lo spagnolo Joaquin Peirò che avrà una lunga, felice carriera in Italia, in particolare nella conquista della seconda Coppa dei Campioni dell’Internazionale nel 1965. In realtà, prima che i “gobbi” riuscissero ad acquistare Law, un gruppo di Fedelissimi Granata rapì il nostro Denis, lo caricò di peso su un taxi prenotato da un grandissimo capo-tifoso granata, lo portò a Caselle, lo sistemò su un aereo in partenza per Londra, dopo avergli infilato il biglietto di sola andata nel taschino della giacca.
“Così la Goeba se la prende in saccoccia”, sospirarono i tifosi granata quando l’apparecchio sparì all’orizzonte… Che campione perdemmo, ma esclusivamente per colpa sua. Denis Law fu subito ingaggiato dal Manchester United. Stava giocando a golf il 30 luglio 1966, giorno della finalissima mondiale del 1966, quando un inserviente corre e gli dice: “Abbiamo vinto, siamo campioni del mondo!”. Gelido, Denis Law getta il ferro che teneva fra le mani e sibila fra i denti: “Avete vinto, prego… Per me, questa è la più brutta notizia della mia vita. Qui, non mi vedrete mai più”. E a conferma del suo animus pugnandi scozzese e dell’accesa rivalità con gli inglesi, il 15 aprile 1967, Law, insieme a Jim Baxter, guidò la Nazionale allo storico Inghilterra-Scozia 2-3 a Wembley. “Ora siamo noi i campioni del mondo”, urlarono al mondo gli scozzesi. Nobby Stiles, il terribile mediano inglese suo compagno di club allo United, ebbe modo di raccontare più tardi: “Sapevo quanto gli scozzesi ci tenessero. Quando Denis entrò in campo aveva i parastinchi, non li metteva mai…”.
Con la maglia del Manchester United, Law vinse una FA Cup (di gran lunga il trofeo più ambito, la competizione più completa in Inghilterra prima della fondazione della Premier League, con relativi importi commerciali), due Charity Shield, due volte il campionato e, soprattutto, la Coppa dei Campioni edizione 1968 battendo il Benfica di Eusebio. Nel 1964 fu “the only Scotsman to ever win the Ballon d’Or”. Denis Law. Che campione ha soltanto sfiorato la Storia del Toro. Che peccato!
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Gianni Ponta, chimico, ha lavorato in una multinazionale, vissuto molti anni all’estero. Tuttavia, non ha mai mancato di seguire il “suo” Torino, squadra del cuore, fondativa del calcio italiano. Tra l’altro, ha scoperto che Ezio Loik, mezzala del Grande Torino, aveva avviato un’attività proprio nell’ambito dell’azienda in cui Gianni molti anni dopo sarebbe stato assunto.
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