Prosegue il nostro viaggio di avvicinamento al centenario granata. Protagonista della seconda puntata di CenToro (termine che in origine è stato coniato dal grande Gian Paolo Ormezzano, che ha suggerito questo titolo agli amici del GPO Club Melfi per un libro di prossima pubblicazione) è Aldo da Piombino, classe 1944. Cresce nelle giovanili del Toro e corona il suo sogno granata quando approda in prima squadra, dopo aver giocato un paio di stagioni in prestito con Ternana e Potenza, nel 1967-68 ed esordendo contro la Sampdoria il 15 ottobre del 1967, nel funesto giorno in cui Meroni perse la vita. Rimane al Toro 8 campionati: caricando a testa bassa e disputando 274 partite (di cui 212 in campionato, 50 in Coppa Italia e 12 nelle competizioni europee). Realizza 19 gol (rispettivamente 15, 2 e 2). Con il Toro lega il suo nome a due edizioni della Coppa Italia (1968 e 1971).Nell'estate del 1975 viene ceduto al Perugia (“quel calcio mercato rafforzò due società contemporaneamente: il Toro che finalmente si privò di me e il Perugia che mi acquistò”). Gioca 5 partite con la Nazionale A (esordendo il 17 Giugno 1972 contro la Romania a Bucarest) e disputa una partita con l'Under 23. Intrapresa l'attività di allenatore ha guidato nel torneo cadetto Pescara, Pisa, Perugia, Padova e nuovamente Perugia e nel 1985 ha esordito in serie A con la Fiorentina per poi passare successivamente al Como, per poi tornare a Firenze nel drammatico anno della retrocessione dei viola. La sua verve e la sua vis polemica lo rendono particolarmente ostico in panchina, ma molto di più fuori. Poi si trasforma in straordinario opinionista radiotelevisivo.Aldo, da Piombino alla maglia granata. Un segno del destino, una scelta di vita, una coincidenza? In ogni caso una pellaccia marchiata a fuoco per sempre.“Giocavo mediano nel Piombino. Lido Vieri mi vide e mi disse tu sei da Toro! Piansi tutto il tragitto in treno da Campiglia Marittima fino a Porta Nuova. Gl’avevo 17 anni: voleva dire lasciare morose, giochi, amici, la casa, i miei…il mare. Ma quando arrivai a Torino - dove rimasi, tranne due parentesi di prestito a Terni e a Potenza, prima di esordire nel 67 in serie A- la tristezza coagulata in lacrime per il distacco della terra natale si trasformò nella commozione che mi colpì quando arrivai al Filadelfia. C’era qualcosa di ultraterreno, di esoterico. Sentivi nell’aria il peso fisico di qualcosa che era soltanto più essenza. Eppure era lì. Nelle parole dei vecchi tifosi seduti sulle gradinate durante gli interminabili allenamenti guidati dai Professori del settore giovanile, nelle nostre ombre rivestite di granata, che riflesse sul prato riverberavano le sagome di Valentino, di Ossola, di Loik, di Bagicalupo anche se eravamo solo degli sbarbati con un sogno granata. E poi la cappa di fuliggine che ti calava sugli occhi quando guardavamo quella carlinga bruciacchiata, quell’elica divelta, quel motore spappolato come un cuore che precipita nel vuoto. Crescemmo in fretta. Diventammo uomini subito. Non c’era tempo di fare altrimenti. Con Don Francesco il padre spirituale di quella Beat Generation Granata che stava forgiando formazioni splendidamente sfortunate, sempre a sfiorare quel sogno che coronammo nel 76…ovviamente senza di me. Ferrini, Vieri…e quel Filadelfia che non era uno stadio. Era un tempio.”.Aldo e il destino. Tu sostieni che la parola destino è in realtà la radice della parola Toro. Spiegaci cosa significa. Tu dovresti saperne qualcosa in particolare…“Il 15 ottobre del 1967 Aldo Agroppi esordisce in serie A. Il Toro batte la Samp. Se avessimo perso saremmo rimasti, come sempre in quelle circostanze, relegati in ritiro. Invece a cena iniziammo a fare pressione sull’allenatore Fabbri per la concessione della serata libera prendendo a pretesto la sonante vittoria, e Fabbri che di solito era inflessibile fu praticamente ammorbidito tanto da acconsentire, così ciò che sarebbe stato evitato senza quella insistente richiesta purtroppo avvenne. Meroni quella sera si trovò ad attraversare Corso Re Umberto a Torino. E lì morì. E ti dirò di più. Anche il percorso dell’ineluttabile che condusse dalle parti di Superga il trimotore di ritorno da Lisbona con i giocatori del Torino il 4 maggio del '49 fu causato da un cambiamento dei piani stabiliti. Il piano di volo originale prevedeva il rientro a Milano. Prima di partire da Lisbona i giocatori del Torino insistettero energicamente con l'accompagnatore affinché l'atterraggio avvenisse a Torino. Volevano essere a casa più in fretta. L'accompagnatore avanzò la richiesta al comandante dell'aereo il quale la trasmise alla compagnia di armamento, che diede l'autorizzazione. Infine dimmi dove e quando mai piove e c’è nebbia il 4 di maggio…?Vuoi una risposta? A Torino ogni 4 maggio alle 17,00 da 57 anni a questa parte…“Esatto. Ma lì è perché il cielo si ricorda e piange ogni volta… Infine, per la cronaca, il comandante di quell'aereo si chiamava Luigi Meroni…”.Tu sei un tipo poco omologato col sistema in generale, che impatto avesti con la Torino a cavallo fra la contestazione del ’68, l’autunno caldo e gli anni di piombo? La Nazionale, il Palazzo…“Venivo dal mare. E a Torino ho trovato il mare che non c’era. Nel senso che Agroppi, da toscanaccio qual è, se si ritrovava davanti un torinese chiuso e riservato gli faceva girare le balle fino a quando non era costretto a socializzare con lui. E così non ebbi mai problemi di ambientamento. Un toscano si integra ovunque. Vissi Torino totalmente. Il centro salottiero, aristocratico e lustrato e le periferie difficili e plumbee. Amo questa città anche oggi, sventrata per le olimpiadi e a soqquadro postindustriale. Ne amavo la nebbia e la neve, un paradosso per un marinaio come me…e per uno che ha vissuto nella splendida Firenze è dire tutto…in Nazionale ci arrivai sebbene per un torinista è sempre più difficile che per gli altri. Giocai ben 5 gare, voluto da Valcareggi, un onore. I clan a strisce facevano il bello e il cattivo tempo, ad immagine e somiglianza di quel potere malato che ancora purtroppo la Nazionale rappresenta in spregio del valore assoluto che quella maglia azzurra dovrebbe invece avere per gli italiani tutti…”La Maratona.“Per un operaio del pallone, come il sottoscritto, entrare nel cuore di quella curva fu un attimo. Sicuramente ancora oggi sono amato, sebbene essendo stato un umile pedatore non entro nell’Olimpo dei miti, diciamo che dopo il podio la medaglia di zinco mi spetta…comunque una sensazione, non un luogo fisico. Come il Filadelfia: un tempio della passione e della religione granata. Amore, rabbia, dolore, tragedia, gioia: il tremendista non si fa mai mancare niente. Ed egli abita in Maratona”.Uno scudetto sfiorito (quello del 1972) ed uno sfiorato (quello del ‘76).“Ti ho detto, quella cessione rinforzò due squadre in un colpo: il Toro cedendomi e il Perugia prendendomi. Sentì incombente come un peccato non commesso fino in fondo, aver fatto parte di quella squadra stellare fino ad un attimo prima e non averne colto il massimo risultato: lo scudetto di quel maggio radioso colorato di polvere granata. Ma fu colpa mia. Disputai un 1975 disastroso, io e Cereser fummo giustamente ceduti. Ma Agroppi contribuì allo scudetto lo stesso: demmo il colpo di grazia ai gobbi proprio a Perugia, all’ultima di campionato, mentre il Comunale esplodeva sul Cesena. Piansi di gioia come se…beh immagina da te…A Marassi invece, IL MIO GOL, era dentro di 20 centimetri! Era il 1972 ed eravamo forti quasi quanto quelli del 76. Barbaresco da Cormons non lo vide, unico fra gli ottantamila occhi dello stadio e fra i 40 milioni di occhi dei telespettatori a casa. Così come non vide il gol regolare di Toschi a San Siro il tale arbitro Toselli (di Cormons anch’egli…). Comunque il pari di Marassi costò il punto che ci avrebbe fatto vincere con quattro anni di anticipo…Barbaresco ottimo vino, arbitro pessimo…abbiamo sofferto lo sai…”.L’Oggi per il Toro e per Agroppi.“ Agroppi oggi è in pensione, vive a Piombino e si circonda di amore, nipotini, mare e libri suoi e altrui. Segue il Toro, la Fiorentina e il Livorno con amore. Odia la Juve. Questo Presidente sembra amare il Toro. E noi vogliamo credergli, senza fretta”.Il 4 maggio 2005.“ Grande la gente. Abbiamo visto come ricostruivano il cemento che non c’era più sostituendolo con il sangue. Da accapponare la pelle…”.I tuoi Cento Anni di Toro.“Abbiamo sfidato il destino e il fato. Non si può cambiare la fede, così come non si cambia la mamma…ì babbo ‘un si sa…Ho giocato indossando la maglia di Castigliano e l’ho onorata. Ho sposato un’idea, una fede, non la fama di vittoria. Ho sposato il Toro”.
interviste
Aldo Agroppi
Prosegue il nostro viaggio di avvicinamento al centenario granata. Protagonista della seconda puntata di CenToro (termine che in origine
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