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Grezar – Rigamonti – Castigliano, l’ossatura del Grande Torino sconfitta solo dal destino

Verso il 4 maggio / Il triestino di ferro, l'umile vercellese e il motociclista pazzo: il segreto di un Torino che in cinque anni ha mantenuto la media di 0.8 gol presi a...

Gianluca Sartori

"Parlando dei cinque Scudetti consecutivi del Grande Torino, non si può che ricordare l'impressionante statistica dei 151 gol presi in 172 partite (media 0.8 gol presi a partita). Merito di una squadra di giocatori universali che difendevano e attaccavano insieme, ovvio, ma soprattutto di tre giocatori, che formavano il nucleo, il tronco della formazione granata nella zona centrale del campo: Grezar, Rigamonti e Castigliano.

"La cerniera di centrocampo titolare del modulo “WM” era formata da Grezar e Castigliano: uno molto fine e agile, l'altro molto fisico e possente, si intendevano perfettamente sia in fase difensiva che in fase offensiva. In mezzo, Rigamonti era più vicino come gioco a Castigliano, con compiti più spiccatamente di marcatura.

"IL TRIESTINO DI FERRO - Giuseppe Grezar, triestino di ferro classe 1918, arrivò al Toro nel 1942 insieme a Mazzola e Loik. Era già un calciatore affermato e famoso ed era un rinforzo di lusso, per un Torino che puntava allo scudetto dopo il secondo posto della stagione precedente.  Era la mente del centrocampo del Torino, anche fuori dal campo: preciso ed ordinato, risolveva tutti i problemi con grande semplicità. Taciturno e riservato, parlava poco, usando più il dialetto triestino che l'italiano. Nel rettangolo verde invece era un mediano di grande stile, in grado di ragionare con grande lucidità, sfruttando al meglio le sue risorse ma anche quelle dei compagni. Interditore puro ma dalla grande tecnica, era un mediano completo, in grado anche di avanzare ed inserirsi in avanti. Nel Torino conta 124 presenze e 10 reti, in Nazionale 8 presenze e una rete.

"IL MOTOCICLISTA PAZZO - Mario Rigamonti, classe 1922, abitava in via Nizza 10 insieme a Bacigalupo e Martelli, con cui formava il famigerato “Trio Nizza”, di cui era l'anima “bislacca”. Era uno dei pochi motorizzati del gruppo, ma lui faceva il “matto” su due ruote, mentre gli altri viaggiavano in auto. La potente moto era una delle cose a cui teneva di più: insieme a lei girava per tutta l'Italia, con improvvise partenze che facevano dannare il Presidente Novo. Bresciano, arrivato in granata all'età di 23 anni nel 1945, è ricordato come il primo vero “stopper” del calcio italiano, essendo il Torino di quegli anni la prima squadra del Belpaese ad aver adottato stabilmente il “Sistema” come modulo tattico. Un ruolo che lui interpretò al meglio. Le doti fisiche per marcare i centravanti avversari non gli mancavano di certo, ma quando aveva la palla tra i piedi la sapeva trattare a modo, cercando i compagni con passaggi precisi piuttosto che i lanci lunghi. Fu subito titolare, esordendo in un derby perduto 2-1, dopo un breve passaggio nel Lecco in prestito. Conta tre presenze in Nazionale: la prima di esse fu proprio la famosa partita del 1947 contro l'Inghilterra, in cui dieci giocatori su undici erano del Toro. In granata accumulò invece un bottino di 140 presenze e una rete. L'UMILE VERCELLESE - Eusebio Castigliano, classe 1921 originario di Vercelli e cresciuto nella Pro, era un mediano dalla grande forza fisica ma soprattutto grande volontà. Sapeva toccar di fino la palla se ce n'era bisogno, ma non dimenticava mai di mettere in campo tutta la sua straordinaria verve atletica. Eusebio interpretò il Torino come un lavoro ma anche come un dovere morale: la società gli permetteva di stare sul campo di calcio invece che nelle risaie del vercellese e lui teneva a omaggiarla con il massimo impegno. Piaceva a tutti ed era molto considerato e molto amato dai compagni come dai tifosi: uno dei suoi migliori amici era quel Danilo Martelli, più giovane e più dinamico di lui, che ogni tanto lo costringeva a stare in panchina. Segnava parecchio, per essere un mediano: 36 reti hanno condito le sue 115 presenze nel Torino. Nella memoria dei tifosi sono rimasti soprattutto i potenti tiri da fuori; certi antichi tifosi granata sostengono tuttora di non averne più visti così potenti e precisi.

"La grandezza del Torino sembrava nascere da lontano, dalle radici di questi giocatori che formavano una grande famiglia. La guerra li aveva temprati, il calcio era il lavoro, ma anche la possibilità di divertimento personale e soprattutto il dovere di ringraziare il destino che gli aveva permesso di vivere in condizioni piuttosto agiate in un momento storico così difficile per l'Italia. Quello stesso destino che è stata l'unica forza in grado di sconfiggere quei giocatori.