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Toro, manca un uomo “forte” in società

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Il Granata della Porta Accanto/ In tanti degli ultimi episodi è spiccata la mancata presa di posizione della società ed una sua intrinseca debolezza
Alessandro Costantino
Alessandro Costantino Columnist 

Se è vero che per ottenere risultati nel calcio occorre che l'insieme di mille componenti sia perfettamente bilanciato e accompagnato da una sana dose di buona sorte, nel caso del Torino di quest'anno, forse, su alcuni elementi sarebbe il caso di approfondire l'analisi per capire se tutto ha funzionato come doveva. Sulla gestione tecnica di Mihajlović si è già detto molto e non mi sembra opportuno insistere oltremodo. È più interessante, invece, soffermarsi sul ruolo che sta avendo la società nella conduzione di questa stagione.

Non cadrò nella tentazione di ridurre il tutto alle mancanze, oggettive, emerse nel mercato estivo (almeno un centrale forte ed un centrocampista di peso non presi) e non rimediate a gennaio: le colpe qui sono evidenti, ma dipendono in gran parte dalla politica conservativa ormai acclarata di Cairo nel non investire in toto quanto ricavato dalle “mitiche” plusvalenze. Per quanto mi faccia arrabbiare questo agire, che ritengo sì oculato, ma altrettanto penalizzante sui risultati sportivi, è un suo diritto farlo ed è altresì coerente col suo modus operandi nelle altre sue aziende.

Quello che invece non tollero è l'incapacità (o la non volontà) emersa in tutti questi anni di creare una struttura societaria che, almeno sotto il profilo dell'area sportiva, fosse forte e capace di gestirsi autonomamente senza dover fare continuamente riferimento agli input presidenziali. Ventura stesso ammise, neppure troppo tra le righe, di aver dovuto fare oltre all'allenatore tutta un'altra serie di mansioni che non sarebbero toccate a lui, ma ad altre figure societarie che o erano incapaci o erano del tutto assenti. E se il binomio Ventura-Petrachi funzionava alla grande sopperendo ad ogni carenza strutturale del Torino FC, il duo Mihajlović-Petrachi non sembra invece così ben assortito.

Ma la cosa più grave, in relazione anche agli ultimi eventi, è di sicuro la palese mancanza di un uomo forte che faccia da raccordo tra la proprietà e l'area tecnica. Un dt più che un dg, visto che sulla carta c'è già Comi sebbene abbia altre mansioni più istituzionali, cioè un uomo con una profonda conoscenza del mondo del calcio che sappia far sentire la “voce del padrone” alla squadra. Ecco, ci fosse stata una figura del genere, episodi come l'ammutinamento della squadra sul rigore battuto da Falque (tutti i compagni lontani dall'area e disinteressati) non sarebbero passati sotto silenzio. E i continui saliscendi del peso di Maxi Lopez avrebbero trovato qualcuno che avrebbe saputo intervenire a tempo debito senza far cadere la situazione nel grottesco. Ma non solo. Se davvero Miha gode della fiducia incondizionata della proprietà, un direttore tecnico o generale orientato alle cose di campo avrebbe saputo sostenere l'allenatore nelle reprimende che di volta in volta pubblicamente il mister serbo rivolgeva ai singoli giocatori o alla squadra nel suo insieme. D'altronde se le squadre che vincono hanno alle spalle società forti dove nessun giocatore si permette di sgarrare e se lo fa ne paga le conseguenze, un motivo ci sarà. Nel caso del Toro invece tutto ruota intorno alla figura di Cairo coi suoi pro ed i suoi contro: in positivo quando ad esempio lancia Torino Channel e trova l'accordo con la Fondazione Filadelfia sull'affitto ed il completamento del secondo e terzo lotto, in negativo quando un campione come Leo Junior arriva a denunciarne l'insensibilità verso gli aspetti che non hanno a che fare con l'elemento economico.

Il futuro del Torino passa inevitabilmente per una crescita societaria: plusvalenze, giocatori e strategie non hanno senso se non c'è una struttura che sappia coordinarle in maniera armoniosa e con una visione di prospettiva. Altrimenti resterà sempre sullo sfondo un senso di caos e approssimazione come quello che si è tornato a respirare nelle ultime settimane.

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