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Il Granata Della Porta Accanto / Si cerca di eliminare il dissenso e la critica dagli stadi. Ci toccherà fare come in epoca risorgimentale: coniare acronimi per sfuggire alla censura ed alla repressione

Alessandro Costantino

"Un altro passo verso una società di matrice orwelliana è stato fatto: ci sono eventi che segnano un punto di non ritorno nella vita civile di una comunità e quello che è andato in scena questa settimana a Torino, culminato con la quasi surreale conferenza stampa di Questore e ufficiali della Digos, è uno di questi. Un paese moderno e democratico non può accettare quello che un suo funzionario ha raccontato candidamente di fronte a decine di giornalisti e con un eco di stampa a livello nazionale. In un Paese civile, in cui le istituzioni sono il riflesso di un patto di convivenza pacifica tra cittadini, nessuno può permettersi di fare un "esperimento" sociologico senza avvisare chi ne viene coinvolto (e le possibilità c'erano perché i tagliandi che si acquistano per entrare allo stadio sono nominali e pertanto tutte le persone che vi accedono devono dare le proprie generalità e possono essere contattate una ad una) e, ancora più grave, senza curarsi di correre il rischio di mettere a repentaglio la sicurezza e l'incolumità delle ignare cavie. Ciò che è accaduto a più riprese in curva Primavera (prima di  Toro-Inter, infatti, c'erano già state avvisaglie in Toro-Napoli e al derby) è gravissimo, perché generato da chi quella situazione era preposto a prevenirla. Cosa penseremmo di una guardia penitenziaria che lascia aperte appositamente delle celle per fare un esperimento senza controllo sul livello di socialità dei detenuti? O di un allevatore che lasciasse aperte le reti di un pollaio per verificare il grado di aggressività delle volpi del bosco circostante? 

https://www.toronews.net/columnist/il-granata-della-porta-accanto/se-sbiadisce-il-granata/

"Ma la cosa più sconcertante non è la motivazione ideologica di ciò che è accaduto. Eliminare la violenza fisica e stemperare quella verbale all'interno degli stadi è un obiettivo condivisibile ed estremamente corretto. È però un obiettivo da raggiungere con pazienza e perseveranza, conducendo, principalmente, una lunga battaglia culturale con risultati apprezzabili solo a partire dalla generazione successiva. A me pare invece che dietro al tanto decantato nobile ideale si celino atti che di nobile ed ideale non hanno proprio nulla. 75 tifosi granata sono stati daspati per la rissa con l'Inter (ed è curioso come dalle immagini risulti lampante che i supporter nerazzurri rei della carica in curva Primavera fossero abbondantemente più dei soli 8 daspati sul fronte interista…) e anche per altri atti quali quello di aver impedito alla gente di sedersi nel posto indicato sul biglietto. Da quando è stato abbandonato il Delle Alpi e il Toro è tornato al Comunale, non credo di aver mai, e sottolineo mai, saputo quale fosse il posto indicato sul mio abbonamento in curva Maratona. E come me il 100% di coloro che acquistano un abbonamento o un biglietto in una qualsiasi curva italiana. Chi va in curva lo sa: si arriva e ci si accomoda nella zona in cui di solito si guarda la partita (il tifoso da curva è un habitué e sebbene non abbia il suo posto numerato riesce quasi sempre a stare nello stesso metro quadro in cui è solito piazzarsi) e lo si fa restando in piedi. È un modo di vivere la partita che non dovrebbe essere "vietato" perché segue una consuetudine che si perde nella notte dei tempi e che rende unico il fatto di vivere la gara in curva. Ci sono addirittura alcune curve (e una credo sia proprio quella del Dortmund, il leggendario Muro Giallo) dove seguire la partita in piedi senza seggiolini o posti a sedere obbligatori è legale e accettato. Perché alla fine il calcio è vitalità, è adrenalina, è partecipazione. Una partita di calcio non sarà mai come uno spettacolo a teatro. O meglio deve esserlo nei presupposti di incolumità e serena fruibilità per chi vi assiste, ma non gli può essere equiparato per la natura stessa di ciò a cui ci si approccia. Un club di calcio, una tifoseria, una partita, sono "enti" talmente complessi e sfaccettati e con radici storico-sociali talmente profonde che ridurre il tutto alla parola spettacolo non gli rende giustizia. Rendere automi da applauso, quasi lobotomizzare chi va a vedere una partita di pallone è un abominio che si sta compiendo in nome e per conto del dio denaro! 

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"Quando ero piccino mi ricordo che giocarono alcune finali di Coppa Intercontinentale in Giappone e io mi chiedevo come potessero questi "deficienti" (e lo pensavo nel senso letterale del termine perché deficitavano di cosa volesse dire essere il pubblico sugli spalti di una partita di calcio) passare tutti i novanta minuti a suonare ininterrottamente le trombette. Era evidentemente la loro maniera di vivere l'evento, una maniera figlia delle proprie abitudini culturali nell'approccio ad una partita di calcio, sport al quale erano di sicuro meno avvezzi di noi europei. Da noi lo stadio è stato tristemente per anni teatro di scontri politici, di violenze inaudite e di pessima gestione degli eventi di massa. Sono d'accordo nel modernizzare le strutture (e l'Atalanta fa scuola regalando ai suoi tifosi più "caldi" una curva da sogno, quella del nuovo ristrutturato stadio Atleti Azzurri d'Italia, dove peraltro non credo che qualcuno sieda nel posto indicato dal biglietto…) e nel fare una campagna di sensibilizzazione perché la violenza resti fuori dagli spalti, ma non si può toccare quel patrimonio culturale che sono le tifoserie delle squadre di calcio. Se il calcio genera milioni e milioni di euro è per la passione di milioni e milioni di tifosi. Nessuno metterebbe passione in uno spettacolo finto. E nessuno si appassionerebbe ad uno sport se non ci fosse un minimo di immedesimazione tra chi va in campo e chi tifa sulle tribune. Ancora più subdolo, poi, provare sempre in nome della "normalizzazione" degli eventi sportivi a eliminare pretestuosamente il dissenso ed il diritto di critica all'interno degli stadi. Sono sanzionati i cori, sono vietati gli striscioni con contenuti non approvati dalle autorità, bisogna essere schedati per assistere ad un incontro: pare il resoconto di una normale giornata in Nord Corea più che il regolamento d'uso di uno stadio italiano. Andrà a finire che faremo come in epoca risorgimentale dove per esprimere dissenso contro il regime austro-ungarico, senza incorrere in sanzioni molto più pesanti di un daspo, lombardi e veneti inneggiavano a Giuseppe Verdi sfruttando il cognome dell'allora popolarissimo compositore italiano come acronimo di Vittorio Emanuele Re D'Italia. Un Verdi noi ce l'abbiamo (ed è pure bene incitarlo nella speranza che prima o poi faccia la differenza in campo). Sugli acronimi invece si può lavorare. La fantasia a noi tifosi granata, in effetti, non è mai mancata… 

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