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Il calcio è una favola infinita

Loquor / Torna l'appuntamento con la rubrica di Anthony Weatherill: "L’antico è visto come un già vissuto, e chi vorrà comprare mai il già vissuto?"

Anthony Weatherill

"“Abbiamo un piede nella favola

e l’altro nell’abisso”

Paulo Coelho

“A cosa servono per il bene del mondo dieci Ferrari, gli orologi con i diamanti e gli aerei privati”? Era tanto tempo che non sentivo parlare del bene del mondo, anche perché in genere più che del bene si parla dei problemi del mondo. L’incipit positivo di questa considerazione, denota grande sensibilità e senso di responsabilità da parte di l’ha pronunciata. Perché, si sa, denunciare l’erba troppo verde del vicino è da sempre una delle pratiche umane preferite. Denuncio quindi sono, pare essere il vessillo issato in alto da parte di schiere di intellettuali o presunti tali, fino all’ultimo rappresentante delle umane genti. Si usa l’additare il prossimo come un lavacro salutare della nostra coscienza, perché ovviamente sono sempre gli altri ad avere di pi, e sono sempre gli altri a macchiarsi di colpe poco commendevoli. A Sadio Manè, talentuoso giocatore sengalese del Liverpool, non deve importare molto dell’erba verde del vicino e non devono nemmeno importare molto tutte le teorie filosofiche ed economiche che sembrano aver convinto il mondo contemporaneo ad abbracciare il darwinismo sociale, cioè l’assoluta necessità, per il bene di tutti, che il più forte prevalga senza ritegno sul più debole. Uno che, entrando nel ventre di uno stadio alla vigilia di una partita, viene fotografato con in mano un consumato e vecchio smartphone, non ha certo molta dimestichezza con il mondo degli aerei privati. Non mi sorprenderebbe se navigasse su un sito dedicato alla caccia di biglietti aerei super scontati di compagnie “low cost”. Perché viaggiare in “first class” di una compagnia di prestigio, in fondo, non servirebbe per il bene del mondo. E se uno smartphone malandato e non di ultima generazione consente comunque di chiamare in Senegal, l’amato Paese, allora a cosa serve un “Iphone 11”, ovvero l’ultimo modello recapitato da Cupertino ai feticisti della Apple? Sadio Manè ogni mese dona settanta euro ad ogni persona della zona più povera del Senegal, semplicemente perché con quello che guadagna gli è sembrata “la cosa più giusta da fare”. E poi ha costruito scuole, comprato scarpe e vestiti a chi ne aveva bisogno, arrivando persino a costruire uno stadio. Perché queste cose servono sì al bene del mondo, e ciò è cosa nota per chi da bambino ha giocato scalzo e non ha potuto andare a scuola. Se non si fosse certi di trovarsi davanti ad un uomo concreto e monitorato con dovizia di particolari, il giocatore del Liverpool sembrerebbe uno di quei personaggi da apologo morale presenti nei film di Frank Capra.

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Ma se la vita non è sempre questione meravigliosa, è di certo una grande occasione, e spesso la qualità del viaggio diventa molto più importante della meta. Alla qualità del viaggio, sicuramente Manè ascrive anche la pulizia dei locali della moschea da lui frequentata. Essendo Dio roba seria, non deve pesargli più di tanto prendere in mano scopa e paletta e darsi da fare per rendere l’incontro con il Creatore il più decente possibile. Sicuramente avrebbe i soldi, il giocatore del Liverpool, per pagare un’agenzia di pulizie per tenere alto il decoro della sua moschea, ma l’uomo è di quelli con la responsabilità personale instillata fino al profondo dell’anima. Fare qualcosa è diverso che pagare qualcuno per farla al posto tuo. Sembra un concetto ovvio e quasi banale, ma non tanto in una società occidentale dove si trova più il tempo nemmeno per cucinare, facendo la fortuna del business dei cibi surgelati già pronti. L’ingresso di Manè nel multimilionario spogliatoio dei “Reds”, deve essere sembrato simile all’ingresso di Madre Teresa di Calcutta all’Onu. La sensazione deve essere stata la distopia. Eh sì, perché deve essere apparso un incubo, ai multimilionari del “roster” del Liverpool e ai privilegiati potenti dell’Onu, pensare ad un mondo dove pur potendo essere i primi, si sceglie di mettersi tra gli ultimi e vivere da ultimi. Ecco perché, nel corso delle qualificazioni della Coppa d’Africa, scendendo dal bus della nazionale senegalese, l’attaccante dei Reds si è messo a disposizione del magazziniere, dandogli una mano a trasportare delle bottiglie d’acqua. Non ti innalzi e non ti abbassi, semplicemente vivi e cogli le occasioni di sentirti un “normal one”. Così come si sente normale quel matto geniale di Jurgen Klopp, attuale allenatore di Sadio Manè. Un tedesco quasi atipico Klopp, felice più dell’orgoglio provato per lui dalla madre, piuttosto che dai complimenti di stampa e tifosi. Ad “Anfield”, il buon Jurgen, deve aver messo in piedi un buon ambientino; un luogo dove i protagonisti di favole devono trovarsi a loro agio. Sono quasi certo come il “Principe Azzurro”, potendo, sceglierebbe proprio il Liverpool per andare a giocare a calcio nella sua favola. Fantastica è la storia di Adrian San Miguel del Castillo, un portiere ormai rimasto senza squadra e dal destino calcistico nebuloso, che trova improvvisamente l’ingaggio nel club allenato dal tedesco più matto del mondo, e otto giorni dopo para il rigore decisivo per la vittoria del Liverpool sul Chelsea nella finale della SuperCoppa Europea. Il primo importante trofeo vinto in carriera dal portiere spagnolo. “Benvenuto ad Anfield. E’ il tuo momento”, gli dice Klopp non appena Adrian mette piede nel mitico stadio dei Reds. E da questa accoglienza si capisce che, come tutti gli uomini normali, Klopp creda molto alle favole, ed infatti qualche giorno dopo arriverà a paragonare il suo portiere venuto dal nulla a Rocky Balboa.

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L’allenatore tedesco era nel destino di Sadio Manè, perché un personaggio da favola non poteva non finire nella mani di un cacciatore di favole. Ci sono momenti in cui, in modo alquanto misterioso, le belle storie finiscono per incontrarsi in un unico luogo, e danno occasione di pensare. Siamo così presi dai nostri affanni, dalla nostra superbia, e persino dalle nostre improvvise tristezze, da dimenticare il mondo come un destino buono ad attenderci. L’odiernità ci avvelena, costringendoci al gioco o di essere sconfitti, o di essere vincitori. E comunque vada a finire non saremo mai un bello spettacolo. Forse al bene del mondo servirebbe il nostro tornare a credere alle favole, così, giusto per vedere se ribaltare il punto di vista della nostra storia sia ancora una cosa possibile. Il resistere di Manè al fascino di una Ferrari, non è una lezione di minimalismo o di decrescita felice, ma piuttosto una possibilità di comprendere il mondo come un lunapark di sentimenti veri, afferrabili e condivisibili con tutti. E la condivisione ricorda sempre l’idea di comunità, di qualcosa riconosciuta come nostra, perché ne arriviamo agl’anfratti addirittura solo con l’intuito. Sadio Manè, la storia del calcio, l’aspirazione alla normalità di Klopp, la storia a lieto fine di Adrian, ci ricorda che siamo persone inconsciamente alla ricerca della nostra origine. Forse l’unico mantra per cui vale la pena veramente vivere. Nell’origine si trova la serenità, perché lì risiede il motivo di senso. Ci sono presidenti di squadre di calcio, chissà perché, pervicacemente contro ogni tipo di origine, e sempre alla ricerca della novità perpetua. Forse perché i presidenti contemporanei, più che nelle favole tendono a riconoscersi all’incremento dei loro fatturati. La logica è quella di ritenere il futuro l’ambito giusto per la moltiplicazione del denaro. L’antico è visto come un già vissuto, e chi vorrà comprare mai il già vissuto? Sono pensieri enucleati in questo inizio di terzo millennio, dove il mercato globale pare essere assurto all’unica meta a cui aspirare. Il “c’era una volta” è stato sostituito con il “ci sarà e sarà fantastico”, il trionfo del concetto antropologicamente involuto dell’esistenzialismo pubblicitario. Le squadre per le quali teniamo più che includerci vogliono venderci qualcosa, e poco sono tollerate le proteste dei tifosi, perché nulla deve dar fastidio al processo di vendita. I 70 euro che Manè, grazie agli ingaggi stratosferici della Premier League, riesce a dare ogni mese a dei suoi connazionali sfortunati, sono solo un piccolissimo risarcimento del danno procurato dal denaro al gioco più bello del mondo. Bisognerebbe tornare a dare il nostro amato sport in mano ai cacciatori di favole, perché solo loro possono farsi la giusta domanda: a cosa serve il calcio per il bene del mondo? Trovare la risposta a tale domanda, sarà il crocevia per la risoluzione di qualche nostra ansia per il futuro.

Di Anthony Weatherill

(ha collaborato Carmelo Pennisi)