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Il rifiuto del calcio

FLORENCE, ITALY - DECEMBER 03: Gabriele Gravina president of FGIC speaks to the media at Centro Tecnico Federale di Coverciano on December 3, 2019 in Florence, Italy.  (Photo by Gabriele Maltinti/Getty Images)

Loquor / La rubrica di Anthony Weatherill: "Il contesto è stato un grande tavolo da cucina, dove mi sono trovato di fronte ad un adolescente di tredici anni"

Anthony Weatherill

"“Realtà è il nome che diamo

alle nostre delusioni”.

Mason Cooley

Il contesto è stato un grande tavolo da cucina, dove mi sono trovato di fronte ad un adolescente di tredici anni. Cercava, l’adolescente, delle soluzioni possibili e particolarmente affascinanti per scrivere una tesina sul razzismo, da portare all’esame di terza media. Facendolo parlare, è subito apparso evidente come avrebbe voluto essere da tutt’altra parte, convinto come era di aver fatto più del necessario per la sua tesina. Era lì, davanti a me, solo perché la madre aveva preteso l’avvenimento. Ci sono casi in cui le ambizioni dei genitori superano abbondantemente quelle dei figli. E’ una delle caratteristiche di questo tempo che passerà alla storia come il periodo del post moderno. In attesa di capire cosa sia il post moderno, in pochi minuti ho stabilito di mettere da parte il razzismo e di portare l’adolescente in un campo a me molto congeniale, nella speranza di riuscire ad avere con lui un rapporto leggermente più empatico del primo impatto. Il risultato è stato di farmi retrocedere ancora di più nella sua scala di interesse, perché il mio provare a parlare di calcio gli ha fatto avere subito una reazione allergica, disegnandoli un’espressione del viso abbastanza di fastidio: “Il calcio come gioco mi piacerebbe pure, ma non sopporto che i giocatori guadagnino tanti soldi. Sono troppi. Per cui preferisco seguire il basket”. Confesso di essere rimasto per un lungo istante senza parole, come se mi fosse arrivato uno schiaffo inaspettato. Se un adolescente si stava ponendo un problema in genere poco praticato dagli adolescenti, allora vuol dire che il calcio sta davvero arrivando al punto di non ritorno. I troppi soldi con le stimmate da flusso inarrestabile, probabilmente stanno provocando deficit di fiducia nella genuinità del calcio, sottraendogli inesorabilmente il connotato del vero. Le nuove generazioni cominciano a non credergli più, perché se gli offrono uno sport teso scimmiottare il videogame, logico preferire il videogame originale, confinandosi ancora di più dentro casa per giocare da soli o con qualche amico.

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I padroni del vapore del calcio, lo abbiamo segnalato più volte, stanno commettendo gravi errori di valutazione, esattamente come li sta commettendo la politica. Per una qualche strana ragione, si continua a credere come l’unica questione a contare sia studiare il modo migliore per etero dirigere verso numerose variabili di consumo e di idee milioni e milioni di persone. D’altronde per tutto il novecento il giochino è riuscito abbastanza bene, perché i mezzi di comunicazione di massa si sono così evoluti e diversificati, da far credere al potere oligarchico di poter persuadere la gente di qualsiasi cosa utile ad una sinarchia elevatesi ad unico scopo del mondo. Ma ad un certo punto della storia accade sempre, ma proprio sempre, il farsi largo della necessità della società di far emergere il concetto di verità. Relegata per molto tempo come inutile e desueto orpello, ecco le nuove generazioni richiederla a gran voce, e tradotta in modo più pragmatico come anelito alla decenza, ormai ampiamente e ripetutamente violata. E’la giustizia della storia, della “Torre di Babele” che non tollera impunemente l’arroganza dell’uomo che sfida la natura, spingendolo oltre i limiti posti dalla sua morale o dalla sua religione. Toccare il cielo, come se si fosse onnipotenti, non è contemplato dalle sue possibilità. Secoli di storia a stare lì come dimostrazione lampante, eppure come se questo lampo facesse fatica ad arrivare agl’occhi. Non è uno spettacolo edificante, per esempio, quello attualmente in scena nella Lega della Serie A. Nel caos derivato dalla vicenda Covid-19, ogni presidente di club sta provando a portare l’acqua al proprio mulino. De Laurentis, appoggiato dalla stampa napoletana, sta spingendo per l’idea playoff, ritenendo questa ipotesi un vero regalo dal destino per poter riportare al centro della lotta per lo scudetto i ragazzi guidati da Gattuso. L’Inter potrebbe anche finirla qui, non ritenendo, Antonio Conte, la sua squadra ancora pronta a fermare lo strapotere tecnico bianconero. Meglio accontentarsi di una qualificazione in Champions, senza altre ulteriori dimostrazioni potenzialmente depressive di impotenza tecnica per la conquista dell’agognato scudetto. Se dovesse passare l’idea dei playoff, di converso ci sarebbero anche i playout, ipotesi che spaventa non poco, secondo voci di corridoio ben informate, Urbano Cairo, forse il più deciso assertore di chiudere qui la stagione, mantenendo le squadre la posizione di classifica al momento del fermo. Soluzione che metterebbe al riparo il Toro dalla ipotesi di retrocessione. La Juventus sta a guardare, in fondo non è il campionato ad interessarle particolarmente, ritenendo ormai la Champions il suo naturale giardino. Questi esempi bastano per far capire come non sia più il gioco ad interessare, ma solo gli interessi economici, sempre più arrotondati verso l’alto di volume, come una pancia mai sazia incurante della repulsione istintiva procurata dalla sua semplice vista. Se uno sta sempre lì occupato a contare soldi, finisce per dimenticare come i soldi siano un mezzo, non un fine, e la confusione procurata da questo ribaltamento di ruoli sta inscenando paradigmi sociali di difficile decifrazione. Ci si potrebbe chiedere, ad esempio, per quale motivo si dovrebbe continuare a seguire un gioco ormai preso più come un cassaforte di famiglia, che come sintomo creativo dell’identità di una comunità. Claudio Lotito, accusato di aver creato fondi neri nella gestione del contratto di Mauro Zarate, è solo l’ultima triste stazione di un calcio sempre più affogato nella sua bulimia di dobloni, senza nemmeno la simpatia di Zio Paperone felice nuotatore nel suo mare di monete d’oro. Aurelio De Laurentis non ha mai avuto buoni affari come da quando è entrato nel calcio, e tutta una serie di analisi sui bilanci del club azzurro, stanno a dimostrare come il vorticoso trading sulla compravendita dei giocatori sia diventata la principale fonte di ricavi di un club, è bene ricordarlo, controllato da una società, la Filmauro, con un bilancio notevolmente più “magro” del suo.

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E perché Massimo Cellino, presidente del Brescia, si ostina a presiedere ancora società di calcio? Il trading giocatori, da dopo la “legge Bosman”, è sempre stato un meta mondo padroneggiato più da ombre che da luci; una palude dove convergono tanti pirati con il solo scopo di arricchirsi rapidamente, possibilmente essendo tassati il meno possibile. Per fare questo era necessario aumentare i costi di tutto l’intero sistema, perché all’aumento dei fatturati c'è il rischio di un aumento di rivoli oscuri di denaro, indirizzati verso conti di società fantasma allocati in paradisi fiscali e in Paesi dove eludere il fisco è diventato un gioco da ragazzi. Il risultato più visibile è stato l’arricchimento spropositato dei contratti di allenatori e giocatori, ormai diventati orrende copie di una Maria Antonietta, sposa di Luigi XVI, che invitava il popolo affamato e tartassato da tasse indicibili a mangiare più brioche, in mancanza dell’introvabile pane. Nella Francia di fine settecento fu rivoluzione e inevitabile ghigliottina per Luigi XVI e consorte, ciechi, esattamente come i presidenti delle squadre di calcio oggi, della rabbia feroce ormai serpeggiante tra il popolo francese. Quella stessa Francia dove a breve il Marsiglia sta per essere ceduto ad Al Waleed Bin Talal, creando così uno scontro tutto arabo nel campionato transalpino, con una Ligue 1 trasformata in una club house per ricchi arabi annoiati di sangue reale. Aspettiamoci lievitazioni molto verso l’alto dei budget dei club francesi, trascinati dalla singolar tenzone tra Marsiglia e Paris Saint Germain. I pirati del calcio si approfittano sempre dei ricchi scemi. E l’odio sociale aumenterà, come aumentò in Francia e in Russia alla vigilia della rivoluzione. Bisognerebbe recuperare i valori, bisognerebbe recuperare la verità. Ma chi comanda nel calcio, esattamente come Maria Antonietta, non saprà trattenere la sua bulimia e continuerà ad ignorare i segnali inquietanti provenienti dal basso della società. I privilegiati si illudono se pensano di mantenere i loro enormi privilegi indisturbati, sono folli nel pensare come la gente comune non stia guardando sgomenta la forbice sempre più divaricata tra ricchi e resto del mondo. “Cosa è la verità?”, chiese Pilato a Gesù durante il più noto interrogatorio della storia. I due erano destinati a non capirsi, e Gesù per questo finirà sulla croce. Ma a voler restare ottimisti, al netto di Giuda, furono undici gli apostoli ad essere stati incaricati dal Cristo a portare il suo messaggio in giro per il mondo. Undici… il numero magico del calcio, perché undici era il numero dei posti letto nei dormitori delle università inglesi, dove il calcio prese vita. A giudicare dal successo avuto nel mondo sia del calcio che del Cristianesimo, non ha portato poi così male questo numero. Sarà meglio tornare alle origini, quindi, quando ad undici uomini poteva venir in mente di sfidare il mondo solo per vedere gli effetti di un sogno. Bisogna provarci, non fosse altro per far cambiare idea all’adolescente di cui sopra.

Di Anthony Weatherill

(ha collaborato Carmelo Pennisi)

Anthony Weatherhill, originario di Manchester e nipote dello storico coach Matt Busby, si occupa da tempo di politica sportiva. E’ il vero ideatore della Tessera del Tifoso, poi arrivata in Italia sulla base di tutt’altri presupposti e intendimenti.

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