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Cosa è il Conte Rosso

Nel segno del Toro / Torna l'appuntamento con la rubrica di Stefano Budicin: "Se domandaste a un tifoso granata cosa sia il Conte Rosso ricevereste come risposta uno sguardo commosso e ammaliato"

Stefano Budicin

Cos'è è il Conte Rosso? E perché è diventato così significativo nella storia del cuore granata? Dalle traversate in Sudamerica alle scorribande nei teatri all'aperto più importanti del calcio mondiale, il Conte è sempre stato presente. Come in pellegrinaggio è ora di seguire il suo percorso e raccontare la storia di un nome tanto simbolico quanto leggendario e imperituro.

Se domandaste a un tifoso granata cosa sia il Conte Rosso ricevereste come risposta uno sguardo commosso e ammaliato. Il nome rappresenta un mezzo di trasporto che è stato partecipe di uno dei periodi più importanti della storia calcistica nostrana come straniera. Uno strumento indispensabile e al tempo stesso modesto, poco appariscente.

Conte Rosso, infatti, è il nome del pullman che era solito accompagnare la squadra del Grande Torino in trasferta. Un compagno di viaggio indimenticato che scortò la formazione degli Invincibili in capo al mondo.

Il nome deriva da quello del piroscafo che nel 1929 condusse i giocatori granata in Sudamerica per disputare una manciata di partite.  A guidare il Torino di quegli anni era Anton Cargnelli, in arte Tony, nato a Vienna nel febbraio 1889.

Chiamato nel capoluogo piemontese nel 1927, l'allenatore austriaco si trovò alla guida di una squadra forte, feroce, raggiante di energia e affamata di vittorie. E Cargnelli non deluse le aspettative, sottoponendo il team a sedute di allenamento spaccaossa volte a portare all'eccellenza il potenziale dei granata. Grazie al suo polso fermo, i giocatori del Toro riuscirono a esprimere al meglio il proprio immenso talento, giocando e vincendo una partita dopo l'altra. Durante l'estate del 1929 il Toro disputò nove partite in Argentina e quattro in Brasile. Non importava chi avesse di fronte, se club o nazionali come l'Uruguay: in campo i giocatori davano sempre prova di grande fisicità, spronati dalla magia che il cosiddetto trio delle meraviglie era capace di creare.

Tale trio si declinava in: Julio Libonatti, Adolfo Baloncieri e Gino Rossetti, e tradotto in termini calcistici significò la vittoria di uno scudetto. Non quello che il Torino ottenne nella stagione '26-'27 e che fu ritirato in occasione del clamoroso e polveroso Caso Allemandi; un altro, guadagnato a un anno esatto dallo scandalo e tenuto in alto dalle mani di una squadra desiderosa di ripulire la propria nomea.

Tony Cargnelli allenerà il Torino in altre due occasioni: dal ‘34 al ‘36 e dal ‘40 al ‘42. Lascerà il team granata a un soffio dalla costituzione dei magnifici undici. Il Conte Rosso, invece, da epiteto legato a un piroscafo diventerà il soprannome ufficiale del pullman per le trasferte.

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A guidarlo era Giovanni Gallea, autista di fiducia degli Invincibili (anche se non mancò di prestare servizio anche per un'altra squadra che sarebbe salutare non nominare neanche in negativo). Di loro racconta che i ragazzi del Grande Torino non si beavano mai dei successi conquistati ogni domenica, partita dopo partita. Fuoriclasse com'erano, facevano di tutto per continuare a essere dei vincenti anche fuori dal campo. Sempre sorridenti, sempre di buon umore, pioggia o vento che fosse. Un aneddoto curioso vuole che, durante una trasferta a Como, il giocatore Gabetto tirò fuori dalla sacca il pallone e cominciò a palleggiare tra i sedili. Nel giro di qualche secondo il Conte Rosso si trasformò in uno stadio mobile e roboante, gremito della grinta di undici giocatori intenti a passarsi la palla, colpirla di testa, ridendo e confermando ancora una volta che puoi essere geniale e virtuoso quanto vuoi, ma guai a prenderti troppo sul serio.

Come tutti sanno, la tragedia del grande Torino ha dato origine a una lunga serie di omaggi e opere artistiche dedicate. Non per nulla di alcune pellicole cinematografiche ho già avuto modo di parlare settimane addietro. Ma nel novero delle produzioni che ho nominato ce n'è una che è sfuggita al mio rigore classificatorio, una pellicola che si chiama "L'ultimo viaggio del Conte Rosso", diretta da Fabiana Antonioli, nella quale il celebre pullman guidato da Giovanni assurge a motivo conduttore (in tutti i sensi) della storia. Il film si concentra sulle ultime quattro partite giocate dal Torino in occasione del campionato '48-'49. E ne ripercorre l'atmosfera attraverso una serie di interviste mirate ai quattro giocatori che, all'epoca solo ragazzi, ebbero occasione di calarsi nel ruolo dei loro eroi così tragicamente scomparsi.

Simbolicamente, il giorno del funerale, il Conte Rosso percorse la strada fino al cimitero Monumentale, completamente vuoto. Nessuno salì per occupare i sedili. Un modo per omaggiare in silenzio ossequioso la squadra? Forse. Ma è forte il sospetto che il vero motivo sia da imputarsi a Gabetto, che avrebbe di nuovo tirato fuori dalla sacca il pallone, come durante la trasferta a Como, ostacolando tra un palleggio e l’altro chiunque avesse maturato l’idea di sedersi sul torpedone. È così che mi piace figurarmeli, i magnifici undici, sempre e ancora sorridenti nonostante l’orrenda e prematura scomparsa, mentre Gallea scorta un’ultima volta le loro anime beate perché affrontino a testa alta, rampanti come il Toro adeso ai loro cuori, il fischio della loro ultima partita.

Laureato in Lingue Straniere, scrivo dall’età di undici anni. Adoro viaggiare e ricercare l’eccellenza nelle cose di tutti i giorni. Capricorno ascendente Toro, calmo e paziente e orientato all’ottimismo, scrivo nel segno di una curiosità che non conosce confini.

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