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Rampanti: “Toro, ora riparti dal derby per programmare il futuro”

Parola al Mister / Serino analizza così i temi in casa Toro dopo la sconfitta nel derby della Mole

Gianluca Sartori

Il Toro è reduce da un derby che deve segnare un punto di svolta della stagione: ritrovato il carattere, a Brescia devono tornare i punti per raddrizzare la classifica. Nell'appuntamento con "Parola al Mister", Serino Rampanti prende le mosse dalla situazione attuale del Torino per una riflessione di carattere generale.

Serino, che pensi di questa ennesima sconfitta nel derby contro la Juventus?

"Ovviamente ho visto la partita, ma oggi vorrei fare una digressione di più ampio respiro. Del derby hanno già parlato in molti: a me pare giusto che i commenti su una partita così sentita siano l'occasione per giudicare la realtà del Toro attuale a volo d'uccello, con maggior distacco, con una forte premessa. In una vita da Toro ne ho viste di tutti i colori: presidenti, parecchi allenatori, calciatori più o meno bravi. Ho avuto la fortuna di vestire questa maglia giocando con compagni di straordinarie capacità. Da parte mia non è mai venuto meno l'attaccamento alla società che mi ha cresciuto, anche quando poi la mia carriera da calciatore mi ha portato a vestire altre casacche".

Da cosa partiamo?

"Considero il Torino un club unico, con una storia incredibile e una realtà, che dura ormai da decenni, che lo vede perennemente inseguire una identità che stenta a realizzarsi. Arrivare a questo obiettivo, certo, non è facile. Perchè più gli anni passano, più si allarga la forbice della forza economica tra le società di calcio. Il Torino si trova da questo punto di vista attardato rispetto ad altri club, lo sappiamo. Chi ha fatturati più importanti può garantirsi i migliori tecnici e soprattutto i migliori calciatori. L'esperienza però ci insegna che la forza economica è rilevante, ma non decisiva (gli ultimi anni di Inter e Milan lo dimostrano) e che anzi il gap economico in certi casi può essere colmato tramite la programmazione, come ci fanno vedere chiaramente realtà attuali come l'Atalanta e, da quest'anno, il Cagliari. Esistono dei rapporti di forza, che però possono essere ridotti o sovvertiti con competenza e visione". 

Il Torino può riuscirci?

"Proviamo a fare un ragionamento tornando indietro nel tempo, di tanto tempo, per ripercorrere i decenni della storia granata attraverso la gestione dei vari presidenti. Dopo l'epoca degli anni Sessanta, Pianelli si trovò ad avere sufficienti risorse per competere ai massimi livelli. Il suo pregio principale, però, è stato quello di sapersi circondare di collaboratori che non avevano grande fama ma piuttosto erano caratterizzati dalla capacità di riconoscere il talento in tecnici e calciatori, sia per la prima squadra che per il settore giovanile. Chi ha qualche annetto e segue il Toro da decenni sa di chi parlo. Fu un'era molto fruttuosa a livello sportivo i cui benefici sono stati sfruttati anche dai presidenti che sono seguiti, fino a Borsano". 

Poi cosa successe?

"Successe che da lì in poi non c'è stata tanto la ricerca di risultati sportivi quanto quella della convenienza economica. Un periodo culminato con il fallimento della società guidata dal tifoso bianconero Cimminelli. La società è stata salvata dal gruppo guidato dall'avv. Marengo, poi, estromessi i lodisti, è arrivato l'attuale presidente Cairo. Ha iniziato un campionato di Serie B senza avere nemmeno un giocatore di proprietà, una cosa molto difficile, così come è difficile raggiungere una stabile dimensione di Serie A dopo un fallimento. Il presidente Cairo ci è riuscito perchè, dopo alcune scelte sbagliate (come puntare su collaboratori improbabili e giocatori di fama ma poca prospettiva), ha chiamato a sè un direttore sportivo di nome Petrachi. Con lui si sono pescati giocatori da categorie inferiori che costarono poco ma si sono rivelati degli acquisti azzeccati e da lì il Torino è cresciuto. Anche grazie a questo fattore, il Torino è riuscito progressivamente a stabilizzarsi tecnicamente in Serie A, arrivando stabilmente nella parte sinistra". 

E oggi?

"E' stato commesso un grave errore: quello di pensare che proseguendo con la stessa mentalità si potesse arrivare anche nella élite del calcio nostrano. Niente di più sbagliato, si è rimasti fermi, non si sono fatti dei passi avanti come ha dimostrato il campo. Non si sono allargati gli orizzonti della società, nè internamente nè esternamente. Settimanalmente noi discutiamo delle vicende attuali del Torino: dagli arbitraggi fasulli (che purtroppo capitano, in particolare contro la Juventus) all'operato degli allenatori (in questo caso, Mazzarri), di giocatori bravi o meno bravi. La verità però è che, se questo Toro vuole migliorare, la società deve fermarsi un momento, ragionare e riprogrammare, questa volta in modo migliore, il percorso che si intende seguire". 

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