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Torino, e gli altri

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Sotto le granate / Torna la simpatica e tagliente rubrica della nostra Maria Grazia Nemour che questa settimana tratta la sconfitta dei granata al derby della Mole
Maria Grazia Nemour

Il lampeggiante e la sirena, dietro, il pullman. È bianco il pullman. C’è lo stemma del Toro, sì, sono loro!

Alzo il pugno per salutare e perché lo sappia, il Toro, sono qua.

Se tu corri, io spingo. Promesso.

Al bar parlano di leggendari scontri avvenuti in mattinata, al parco. A me interessa solo la partita.

Via Filadelfia è un serpente di tifosi granata che, in coda anarchica, se la conta. Entro un’ora prima e non c’è già più posto, sto sui gradini.

Sulla Maratona si materializzano le corna e poi scende lui, il Toro.

L’energia in circolo è così potente da compromettere i pacemaker presenti. Come un concerto di Springsteen, come un primo appuntamento.

Quando si sente il fischio di inizio è già da una settimana che giochiamo questa partita a lavoro, scuola, palestra. I prossimi, saranno gli ultimi novanta minuti.

Barreca ci prova e Belotti ci riesce: gol!

Provo a pensare da quanto tempo non andavamo in vantaggio, mi giro per chiedere, no, nessuno se lo ricorda. Davvero tanto tempo.

Poi il pareggio. Vabbe’, come se giocassimo contro la prima in campionato, dai.

A ogni calcio d’angolo viene da cercare Glik, che dopo aver salutato la Maratona è andato da qualche parte in tribuna. Due volte espulso al derby e difensore capo-cannoniere, Glik.

Ma Glik in campo non c’è, storia vecchia. Il vero problema è che Castan, oggi non c’è.

Ogni centimetro d’erba conquistato in direzione Buffon, è fondamentale.

Il primotempotoro ha funzionato.

I primi dieci minuti del secondo tempo ci pigiano stretti contro la Primavera, dove già prima non si stava larghi. Si gioca tutti nella nostra metà campo fino a che si riesce a spingere, e ci si sposta

avanti.

Deglutiamo altri venti minuti del secondo tempo ed ecco che si materializza una possibilità: Ljajic punta il secondo palo e spara. A salve, purtroppo.

È la volta di Benassi, di Baselli, tutti a credere fermamente nel sorpasso che no, non avviene.

Qualcuno intorno già commenta che abbiamo speso invano le nostre occasioni, le strisce milionarie non ne concederanno altre, a chi gioca solo sulla fiducia. A chi si è fatto un mutuo, di fiducia.

Allegri guarda Mihajlovic e carica l’intera posta sui cambi. Ci sto, annuisce Miha.

Abbiamo tutta l’aria di bleffare, ma tentiamo di non darlo a vedere. Il problema è che qua, accade l’imponderabile.

Un gol.

Dove? Come? Quando?

Contro l’esultanza dell’uomo da 94 milioni di euro e della loro panchina che ne vale altrettanti, si frantuma il sogno del Toro che sapeva di avere a disposizione un solo tiro con la fionda, davanti a Golia. Il Toro rimane annichilito, dentro e fuori dal campo. Tanto che il terzo gol neanche fa male, completamente anestetizzato dall’incredulità.

La partita finisce e noi lì, ad assistere alla festa degli altri, che cantano “Torino, siam solo noi”.

Se un marziano fosse stato catapultato dallo spazio allo stadio in quel momento, avrebbe pensato: ma sì, forse è vero, Torino sono loro. Torino è questa fettina bianca e nera opulenta di vittorie.

Ma poi si sarebbe guardato intorno, agganciato dal silenzio e dall’immobilità di chi aveva sfidato la squadra da scudetto e da Champions allargando le spalle e tenendo alto il mento. E allora anche il marziano non avrebbe più avuto dubbi dove guardare, per trovare davvero Torino.

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