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Toro, c’è un però

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Sotto le Granate / Torna la rubrica di Maria Grazia Nemour: "Il nostro Toro è un coro molto umano, non gli mancano le qualità fisiche e tecniche per stupire con qualche partita di pura armonia"
Maria Grazia Nemour

E allora adesso sappiamo che sabato, i nostri undici, sono scesi in campo carichi di bontà, senza cattiveria. Questo almeno nel primo tempo, perché poi qualcuno durante l’intervallo ha fatto che andare a casa, e sul campo ha lasciato giusto il numero della maglia, la ripresa non l’ha proprio giocata. Ora sappiamo che il problema era la serenità, non erano sufficientemente spaventati. Ma forse è stato davvero così, forse anche noi seduti intorno al campo dovevamo spaventarci un po’ di più di questo Parma, forse covavamo l’inconfessabile aspettativa di spogliarla in un tempo solo questa squadra dall’orribile divisa a strisce gialloblu. Ma sì, giochiamo in casa, siamo in ottima forma fisica e vestiamo un’elegante maglia granata.

E invece no, una disfatta.

Ognuno di noi è allenatore onorario del Toro e, quasi sicuramente, ha pensato che Soriano è stato inutile nell’economia della partita, inappropriato al gioco Zaza, discutibili gli scambi dei punti di vista dei difensori. Il fatto è che a giocare sono gli uomini, e pochi uomini non deludono mai le aspettative in quanto capaci di assolvere a un compito fondamentale: fare semplicemente quello che sanno fare. Ma sempre. Così, fanno i campioni.

Il campione è un solista fuori dal coro umano perché oltre a essere talentuoso è continuo, si conferma in ogni occasione. È sempre in giornata,  sempre in partita. La parte del corpo che allena con maggiore intensità è la testa. La volontà di dare il massimo, un attimo alla volta.

Il nostro Toro è un coro molto umano, non gli mancano le qualità fisiche e tecniche per stupire con qualche partita di pura armonia, salvo poi proporre prestazioni cariche di stecche, prive di convinzione. Il tempo della partita prende a ticchettare di un ritmo che si perde a ogni pallone, e il perché è difficile da comprendere, non si può applicare un algoritmo che lo possa spiegare. Forse non si corre abbastanza, il pensiero non è proiettato sulla stessa traiettoria delle gambe. Il calcio è una danza di improvvisazione di gruppo, a tutti devono essere chiari i passi e tutti devono sentire le stesse note, solo a quel punto ci si può muovere con fantasia. Fatto sta che sabato è venuta fuori una musica stonata che nessuno avrebbe voluto ascoltare, figurati ballare. Succede.

Però.

Eh, c’è un però. Però, mentre andavo allo stadio e mi sciroppavo l’interminabile coda di macchine incolonnate in corso IV Novembre, ferme perché era sabato pomeriggio, perché piovigginava, perché la viabilità verso il Grande Torino non è mai stata un problema in agenda della città, ecco, mentre ero lì piantata a un semaforo, vedo passare sul marciapiede un signore su una carrozzina motorizzata, infilata dietro, nello zaino, una grande bandiera del Toro svolazzante all’acqua e al freddo. Ad ogni semaforo mi voltavo indietro e lo cercavo, ed eccolo apparire in lontananza, percorrere marciapiedi, attraversare vie e corsi, raggiungermi e superarmi. Ecco, quando penso a un campione che sa confermarsi ogni volta che gli viene richiesto di esserci,  più che a uno come Ronaldo penso a un signore che copre chilometri per arrivare allo stadio anche se non può usare le gambe, anche se è novembre, anche se poi il Toro perde. Avrei dovuto riprendere quell’uomo in un video da riguardare quando scarseggio di motivazione nei compiti che vorrei portare a termine. Un video da proiettare agli allenamenti a porte aperte al Filadelfia magari, tanto per ricordare ai calciatori e all’allenatore per chi stanno giocando. Servono altre motivazioni?

Mi sono laureata in fantascienze politiche non so più bene quando. In ufficio scrivo avvincenti relazioni a bilanci in dissesto e gozzoviglio nell’associazione “Brigate alimentari”. Collaboro con Shakespeare e ho pubblicato un paio di romanzi. I miei protagonisti sono sempre del Toro, così, tanto per complicargli un po’ la vita.

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