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Granata dall'Europa

Vedere cammello, pagare moneta

Vedere cammello, pagare moneta - immagine 1
Torna un nuovo episodio di "Granata dall'Europa", la rubrica di Michele Cercone
Michele Cercone Columnist 

Dopo lunghi anni di abbonamento a prescindere, quest'anno per la prima volta non rinnoverò il lungo legame (non con il Toro, sia chiaro, ma con la società). Se tifare Toro è un atto di amore e di fede, deve esserlo per tutte e due le parti in causa. Se per la società l'unico obiettivo è abbassare i costi e sopravvivere spendendo il meno possibile, senza uno straccio di obiettivo sportivo, posso anche io fare mio questo approccio da contabile e decidere di non sborsare soldi a scatola chiusa per un progetto poco convincente (e per nulla vincente). Per la prima volta mi sento legittimato (non senza sensi di colpa, ma a questo non c'è rimedio) ad ribaltare l'antico principio e a dire: ''vedere cammello, pagare moneta''. A dare l'ultima spallata alle blande convinzioni che da un paio d'anni hanno a stento giustificato la scelta di abbonarmi (un tempo, ahimè, tanto naturale e dovuta) è stata la campagna di pubblicità usata dalla società. E' paradossale che proprio chi dimostra di essere meno legato ai nostri valori e alla nostra storia, abbia deciso di usare lo slogan ''geneticamente granata''.

Ora, con tutto il rispetto per chi ha immaginato la pubblicità, geneticamente granata era mio padre che mi ha trasmesso la fiamma, lo è mio figlio che tifa da migliaia di chilometri una squadra che può vedere dal vivo solo raramente, lo sono le decine di migliaia di tifosi che si sono sorbiti l'ennesima stagione mediocre applaudendo e tifando fino all'ultimo. Geneticamente granata non è proprio per nulla questa società che ha avviato un processo di de-granatizzazione senza precedenti, che non finanzia il nostro Museo e il suo lo spostamento al Filadelfia, che era pronta a svendere il miglior prodotto del nostro vivaio e uno dei rari capitani davvero cuore granata per un piatto di lenticchie (cosa che probabilmente farà comunque in questo mercato).

Tra pubblicità e propaganda corre una differenza sottile, ma tenace, e dopo anni di ''normalizzazione'' del Toro non è possibile impossessarsi di illusori slogan e riferimenti a una storia leggendaria e a un mondo di valori in cui si è dimostrato di non credere (e di non voler valorizzare). Quest'anno faccio dunque mio l'approccio ragioneristico e sparagnino che contraddistingue le nostre campagne acquisti e che zavorra ogni ambizione sportiva. Mi abbonerò – forse – se avrò la prova concreta che non si tira solo a campare, ma che si vuole onorare la leggenda granata aspirando a obiettivi più alti della mediocrità che ci ha sfiancato e intiepitido.

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Lo faro' nel momento in cui si metterà insieme con le giuste tempistiche una squadra completa, almeno nelle intenzioni, affidata ad un allenatore che abbia almeno l'idea di cosa sia vincere. Fino ad allora, sospenderò il giudizio e proverò a vivere un'estate senza dannarmi per la lentezza e la qualità degli acquisti, per le improvvisazioni sconclusionate, per l'imperante filosofia della minima spesa, tanto più di cosi' non si puo' fare. Siamo una (gloriosa, se qualcuno l'avesse dimenticato)  squadra di calcio che milita nel campionato di serie A, non un'asettica azienda in cui contano solo numeri, cifre e bilanci. Gli americani dicono ''it takes two to tango'', e la fede, l'amore e la voglia di vincere non possono sempre e solo essere chieste a che paga per sedere sugli spalti. Se questo patto non è chiaro, mi sa che il cammello quest'anno resta in giardino ad allenarsi per passare nella cruna dell'ago.

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