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Giancarlo Padovan: “Un Torino femminile? Ecco cosa farei se fossi in Cairo”

Intervista / L'ex direttore di Tuttosport ha un passato anche nel calcio femminile, avendo allenato il Torino Women guidandola a una storica finale di Coppa Italia

Roberto Ugliono

"Giancarlo Padovan il calcio l'ha vissuto a tutto tondo. Da giornalista sportivo e da allenatore. Con la penna stretta in mano ha lavorato per grandi testate, dalla Repubblica con Gianni Mura al Corriere della Sera. Poi per ben 6 anni (dal 2002 al 2008) ha diretto Tuttosport. Proprio in questo periodo arriva ad allenare il Torino Calcio Femminile (ora Torino Women), portandolo in Serie A e sfiorando una clamorosa Coppa Italia. Un mondo in cui si sta affacciando anche il Torino di Urbano Cairo, che dal prossimo anno potrebbe avere una Prima squadra: un fronte, quello del calcio femminile a tinte granata, che su Toro News stiamo approfondendo. Per questi motivi Padovan è una delle persone più autorevoli con cui confrontarsi per parlare di calcio sia maschile che femminile.

Ciao Giancarlo, partiamo dalla situazione generale. Nelle ultime ore Ferrero ha chiesto di annullare il campionato e Lotito vuole andare avanti. I due sembrano puntare agli interessi personali di classifica, nonostante il momento.

"Il campionato deve continuare se ci sono le condizioni. Lotito vede la possibilità di vincere lo scudetto, non è molto diverso Ferrero perché con questa classifica sarebbe salvo. Non so se la Sampdoria riuscirà a salvarsi se si dovesse ripartire. Comunque sarebbe molto complicato annullare tutto, inoltre mi dovrebbero spiegare chi sarebbe promosso in Serie A. Se blocchi le retrocessioni devi giocare a 22 squadre in un campionato che è già lungo e forzato con 20 squadre. Inoltre il prossimo anno ci sarebbe l’Europeo e si deve cercare di finire prima. Si deve cercare di uscire da un equivoco. E' un momento grave, ma dobbiamo cercare di guardare avanti. Il calcio deve cercare di salvaguardare la regolarità e di non perdere troppi soldi. Il calcio è anche un'industria. Ci sono bilanci da rispettare. Se ci sarà la possibilità, la Serie A dovrà essere conclusa, altrimenti incapperemmo in un’irregolarità, perché un campionato che non finisce non è regolare. Non capisco l’ipocrisia di chi dice ‘si muore, non pensiamo al calcio’. Sì, si muore, ma dobbiamo anche pensare ad andare avanti e i presidenti giustamente continuano a pensare ai propri interessi. Io sposo la linea di Lotito. Dobbiamo giocare, se le condizioni ce lo permettono. Non giocare non è un’alternativa, sarà da prendere in considerazione solamente se non si dovesse riuscire a riprendere nemmeno a porte chiuse a maggio o giugno".

Altro tema dibattuto in Lega riguarda l’aspetto economico, si è stimata una perdita totale di 720 milioni. Chi patirà di più? Le big o le piccole?

Il discorso riguarda tutti, perché le grandi avranno una bella batosta. La questione è che a livello internazionale perderanno tutti. Anche gli altri campionati avranno gli stessi problemi della Serie A. Ben lungi dal proporre una situazione di equità, ma ci sarà comunque una situazione di difficoltà comune. Bisognerà far transitare le idee più che i soldi. Le società più grandi potranno uscire con le ossa un po’ meno rotte, ma comunque fratturate. Anche adesso dire che il calcio perde 720 milioni non vuol dire arrendersi, perché si dovrà aspettare e vedere che decisioni prendere. Questa ipotesi deve dare a tutti l’idea di provare a riprendere il campionato. Anche se fai un campionato a 22 squadre, poi come fai per la Serie C che produce 3 promosse? Darebbe natura a una serie di ricorsi infiniti sia in sede di giustizia sportiva sia in quella ordinaria. Io credo che si possa evitare questa situazione. Se a giugno non sarà ancora ripreso nulla, la situazione non è gravissima, ma ai limiti della tollerabilità. Non voglio credere che sarà così e a quel punto si dovrà provare a limitare i danni.

Da grande conoscitore del mondo calcistico femminile, questa situazione potrebbe rallentare lo sviluppo dell’ultimo periodo?

"Temo ci saranno gravi ripercussioni anche sul movimento femminile. Le società che non sono espressione di club professionistici maschili rischiano la chiusura. Non finire un campionato vuol dire il caos in primis e in secondo luogo mancati investimenti. Nel prossimo anno non ci saranno investimenti nel mondo femminile. Club come il Tavagnacco, il Pink Bari o l’Orobica patiranno particolarmente. Le altre squadre penso, ma non ne sono certo, si salveranno. Però se si pensava a uno sviluppo del movimento, questo verrà frenato. Dopodiché se le partite del calcio maschile hanno un loro senso anche a porte chiuse perché sono tutte teletrasmesse, quelle femminili non lo so e non ricevono contributi simili a quelli del mondo maschile. I club professionistici sono entrati nel mondo femminile per fare profitti e questa stagione sarà un anno perso, perché dubito ci saranno grandi investimenti. Per fortuna la Champions verrà cambiata per la prossima stagione e questo potrebbe aiutare. Qualche milioncino è stato buttato anche per il mondo femminile, non è colpa di nessuno. Questo è un mondo rinato da poco e ha bisogno di cure e attenzioni, se becca una botta del genere il calcio femminile rischia. Leggevo che il 30/40% delle società dilettantistiche rischiano la chiusura, speriamo non succeda, ma il rischio è sensibile. Se la Serie A chiede aiuto al governo, anche quella femminile dovrà chiedere un piano per essere aiutata per andare avanti. Insomma, il calcio è la cosa più importante tra le cose meno importanti".

In più in questo momento non si guadagna molto dal calcio femminile, va letto in quest’ottica il ritardo di alcune società?

"Alcune società non vogliono investire. L'Atalanta, grandissima società, non crede in questo mondo. Il Torino, al contrario, ha un Settore giovanile con una Primavera e dall'anno prossimo vuole fare una Prima squadra, perché ha già in età le ragazze. Poi che partecipi al campionato di A o di B, non ha importanza. Ci sono anche club che ci hanno provato, per esempio il Chievo che ha chiuso i battenti ed è finito in B. Ci sono club che continueranno a investirci come la Juventus, la Fiorentina, il Verona, la Roma, l’Inter, il Sassuolo e il Milan e meritano di essere menzionate. Un po’ di movimento c’è. La Florentia, che non è legata al mondo maschile, quest’anno ha fatto investimenti molto onerosi. Il problema è che per ora si può vincere solo il campionato e non la Champions, inoltre non ci sono profitti da botteghino, merchandising o diritti televisivi. Se vogliamo che il mondo femminile diventi professionistico, il che secondo me non succederà nell'immediato, dobbiamo tifare affinché le società abbiano degli utili".

Prima si parlava del Torino, che quest’estate rischia di vanificare il lavoro degli ultimi anni se non costruisce una prima squadra. L’alternativa è prestare le ragazze ad altre società e aspettare di essere pronti a formare la Prima squadra.

"Io se fossi Cairo cercherei di comprare il titolo sportivo del Torino Calcio Femminile che gioca in Serie C. Così dall'anno successivo si farebbe una categoria adeguata. Ma ci vogliono soldi e non so quanto il presidente abbia voglia di spendere. Oppure si può fare una Prima squadra con le sue ragazze della Primavera e fare un campionato minore cercando di vincerlo e pian piano risalire. Un po' come ha fatto l’Inter. La strada di andare a comprare una società già di A non mi sembra percorribile".

Agli albori della tua carriera hai lavorato alla Repubblica, dove ha conosciuto Gianni Mura, che ci ha lasciato di recente. Che rapporto vi legava? Cosa lascia al mondo del giornalismo?

"Mura lo conoscevo bene, è una perdita grave, perché lui lavorava a pieno ritmo. Scriveva con lucidità, prontezza e fascino e aveva anche spunti letterari. A lui mi legano due anni insieme a La Repubblica e poi lui – e qua svelo un piccolo segreto -  che conosceva bene Gianfranco Teotino, che divenne direttore del Corriere della Sera, me lo fece conoscere e così io dalla Repubblica iniziai a scrivere per il Corriere. Tra l’altro in quella stagione Teotino cercò di portare sia Gianni che Brera. Poi non si fece nulla, perché Brera morì e Mura non trovò un accordo economico. Era un giornalista sopraffino, il migliore di tutti, forse anche meglio di Brera, perché più comprensibile. Aveva una grandezza assoluta nella semplicità, mentre Brera era più complicato da capire per quasi tutti. Mura era capito e condiviso da tutti. Direi un grandissimo giornalista, credo il migliore che abbia mai conosciuto".