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Le Loro storie, Sgrigna: “Oltre il calciatore c’è l’uomo, rispettatelo”

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Esclusiva / Il doppio ex e il rapporto con i tifosi di Torino e Verona
Marco Parella

Un nuovo modo di raccontare il calcio: quello dei protagonisti. Calciatori, allenatori, dirigenti. Sempre sotto la luce dei riflettori, ma mai veramente compresi o comprensibili. Noi li vogliamo avvicinare ai tifosi e ribaltare il meccanismo delle interviste. Non saremo noi a chiedere, saranno loro a raccontarci un aspetto del mondo in cui vivono. Un tema libero, potremmo dire. Sono i protagonisti stessi della nostra passione a condividere con noi “Le Loro storie”. Senza filtri, senza meta.

Due promozioni molto diverse tra loro. Una arrivata come riscatto dopo un'annata deludente, l'altra raggiunta da aggregato a gennaio. Alessandro Sgrigna, l'uomo della finta "a rientrare", è stato protagonista al Toro, come al Verona. Lo è stato in campo, ma a noi interessa più il dietro le quinte, quel rapporto con i tifosi che, tra alti e immancabili bassi resta sempre nell'ombra di ogni calciatore. Ecco la sua verità.

A fine campionato (2010/’11, ndr) gli ultras vennero a chiederci conto di una stagione iniziata con grandi aspettative e finita senza centrare neanche l’obiettivo minimo dei playoff. Erano incavolati, ma avevano ragione, d'altronde noi eravamo una squadra competitiva, fu una delusione per tutti. Il problema in quei frangenti è convincere delle persone che stanno ragionando “di pancia” che non lo si è fatto apposta a perdere, che l’impegno c’era stato e che comunque, dietro il calciatore c’è una persona vera. Io e i miei compagni abbiamo provato a dare il chiarimento che volevano e le cose si sono calmate, poi l’anno successivo abbiamo ottenuto la promozione e tutto è rientrato.

Le critiche fanno parte del gioco, ovviamente, ma credo che il pubblico sugli spalti quando osserva un calciatore in azione consideri tutto, non soltanto i 90 minuti della partita. Ho sempre sperato che la gente che mi veniva a vedere riuscisse a capire che tipo di persona ero anche solo da quello che dimostravo in campo. Le contestazioni al giocatore, rimanendo civili, sono sacrosante, il limite da oltrepassare è quello dell’insulto all’uomo. Non conosci a fondo la persona, le ragioni, le motivazioni. Quella è una linea di demarcazione da non varcare, altrimenti passi dalla parte del torto.

Dall’altro lato il coinvolgimento con i tifosi è positivo per chi gioca. Ti fanno sentire apprezzato, amato, a tuo agio e ti mettono nelle condizioni di rendere al meglio. Tutto questo, però, nel rispetto dei differenti ruoli, perché poi quando le cose vanno male non è che ti guardano in faccia e dicono “tu sei venuto a cena con noi, ci hai fatto l’autografo, allora non ti tocchiamo”. È giusto che non ci siano poi figli e figliastri.

Negli ultimi anni il tifo, come il calcio in generale, è cambiato molto. Vedo tanti eccessi, molti che vanno allo stadio solo per sfogarsi. La vita è non è semplice per nessuno, ma questo non ti autorizza a sputare la rabbia accumulata in settimana prendendo di mira per 90 minuti dei giocatori della tua squadra. Mi sembra che oggigiorno il tifoso sia più “costruito”. Passa il tempo ad ascoltare opinioni e discussioni calcistiche in tv e si fa delle idee distorte. Non sente più il tifo genuino che viene da dentro. Non tutti fortunatamente, ma ho l’impressione che in parecchi che si professano sfegatati, in realtà non siano così legati alla propria squadra. È un peccato, perché uno dovrebbe amare la squadra del cuore a prescindere, che vada bene o vada male.

Il rapporto coi tifosi che ho avuto sia a Torino che a Verona è stato positivo, sono due piazze che vogliono risultati e ho avuto la fortuna di essere promosso in A con entrambe, ma una cosa che le unisce l’ho capita subito: si tifa per la maglia, per i colori, i giocatori sono secondari. Poi certo, qualcuno rimane più nel cuore di altri, ma conta innanzitutto il senso di appartenenza e questa è una cosa che percepisci appena arrivi, a pelle.

Quella dell’Hellas è una tifoseria conosciuta nel bene e nel male. Sono caldi, appassionati, poi certe volte eccedono con episodi che c’entrano poco con il calcio. Ebbi anche con loro un momento di tensione, in un periodo in cui la squadra non riusciva più a vincere, ma capirono la situazione e si strinsero intorno a noi, venendo in massa anche agli allenamenti per spingerci alla promozione.

Torino l’ho vissuta di più, sia come città, davvero bellissima, che come ambiente. Sono stati due anni e mezzo fantastici e sono grato di essere stato parte della sponda granata: si respira la storia, alzi gli occhi, vedi Superga e ti vengono i brividi. Il Toro mi è rimasto dentro, impossibile dimenticare quelle emozioni.

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