Fra i più noti e validi prodotti autentici del River in attività questa stagione di qua dall’Atlantico spiccano certamente i già citati Aimar e Saviola del Benfica, Falcao Garcia del Porto, Mascherano del Barcellona e Musacchio del Villarreal, di cui tanto bene già si dice nonostante i suoi soli vent’anni. Ma dallo stesso stesso settore giovanile provengono anche Higuain del Real, Demichelis ora al Malaga dopo anni passati al Bayern, Crespo del Parma e Maxi Lopez del Catania. Alcuni di loro, invece, hanno già riattraversato l’Oceano e ora giocano in Brasile o Uruguay dopo aver trascorso alcuni anni in Europa. E’ il caso di D’Alessandro e Cavenaghi, ex letale coppia offensiva del River dei primi anni Duemila, ritrovatisi all’Internacional di Porto Alegre dopo le esperienze in Germania, Inghilterra e Spagna per il primo e Russia, Francia e Spagna per il secondo. E’ anche il caso di Marcelo Gallardo, approdato al Nacional di Montevideo dopo i trascorsi al Monaco, al Paris Saint Germain e al D.C. United e un più recente ritorno a Nuñez. E poi di Alemyda, di nuovo alla base, e Ariel Ortega, anch’egli ancora di proprietà del River ma da poco andato in prestito all’All Boys, il cui ricordo con le maglie di Sampdoria e Parma porta inevitabilmente a quello di Enzo Francescoli, altro idolo indiscusso della Banda, che qualche anno prima aveva indossato quelle di Cagliari e Torino.
Tanti sono anche i giocatori che col River Plate hanno raggiunto maturità o notorietà in tempi più o meno recenti. Su tutti Alexis Sanchez, attaccante oggi dell’Udinese e domani facilmente di Inter o Manchester City, e chiaramente Esteban Cambiasso e Mario Yepes. Ma anche Lucho Gonzalez del Marsiglia, Alejandro ‘el Chori’ Dominguez del Valencia ed ex Rubin Kazan, Leonardo Ponzio del Saragozza e Juan Pablo Angel, implacabile attaccante dell’Aston Villa di qualche anno fa. Senza dimenticare i meno famosi Talamonti dell’Atalanta e Juan Antonio dell’Ascoli. Dal Sud America non si è invece mai mosso Dario Conca, eletto miglior giocatore dello scorso campionato brasiliano, che ha vinto col Fluminense, mentre in Sud America è tornato Sebastian Abreu, l’uruguaiano che segnò il rigore decisivo per la Celeste nei Quarti di Finale dei Mondiali del Sud Africa. Si è invece già ritirato Marcelo Salas, che più di altri merita di essere comunque ricordato in questa sede visto che dopo la consacrazione a Buenos Aires fece meraviglie con la Lazio, cosa che più recentemente e solo per sfortuna non è riuscita a Juan Pablo Carrizo il quale, una volta ripreso dal River, ha però ricominciato a parare alla grande al punto che è prossimo a conquistare la maglia numero 1 della Nazionale.
Senza stare a scomodare il passato coi vari Di Stefano, Sivori, Cesarini, Kempes, Passarella e Ramon Diaz che, chi più magnificamente di altri ma tutti con grandissimo merito, hanno esportato il marchio ‘millonario’, in questo momento un centinaio fra ex giocatori e veri e propri ambasciatori in tutto il mondo, spesso in molte delle squadre più prestigiose d’Europa, è qualcosa di cui un Club può veramente sentirsi fiero. E’ vero, quello del River Plate non è l’unico caso, basti pensare al Newell’s e all’Argentinos solo in Argentina. Certamente però è fra i maggiori, se non addirittura il principale in termini non solo quantitativi ma anche qualitativi. E in tempi come questi, in cui sembra che centinaia di milioni di euro possano essere messi sul piatto per allestire squadre, dicono, stellari, probabilmente è nelle radici che si può ancora trovare la grandezza. Forse, anzi, solo lì. Allora onore e gloria al River Plate e tutti i Club in grado di produrre qualcosa a cui ricchi imprenditori, armatori e sceicchi non sono minimamente interessati e di cui, soprattutto, non potranno mai vantarsi.
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