L’11 maggio 2025, nell’ultimo match giocato tra il Toro e il prossimo avversario, nonché il primo di questo campionato, l’Inter era reduce forse dal punto più alto toccato dalla gestione Inzaghi: i 120’ tra i più appassionanti della storia recente del calcio, la notte di San Siro del 4-3 al Barcellona, che aveva garantito la finale di Monaco. Inzaghi, alla 150ª sulla panchina del Biscione, aveva optato per un massiccio turnover, con il solo Bastoni – dell’undici tipo nerazzurro – a figurare dal primo minuto. Il Toro era nella scia negativa del finale di stagione che è costata la panchina a Vanoli e bastavano rispettivamente gli acuti di Zalewski e del nuovo granata Asllani, sotto il diluvio, per chiudere il discorso. Non dimenticando la piacevole notizia del viaggio di ritorno in pullman, proveniente dal Maradona: il Napoli che impatta 2-2 col Genoa e un solo punto da recuperare. Giorni di euforia, di autostima nei propri mezzi, con il Psg sullo sfondo e un sogno scudetto riacceso: “Mancano venti giorni, dobbiamo cercare di fare due ottime partite e allenarci in serenità, allegri come facciamo sempre, perché ansia e aspettative non portano da nessuna parte”, aveva detto Simone Inzaghi nel post partita del Grande Torino.

FOCUS
Inter, debutto col Toro: la prima di Chivu tra incognite e rivoluzione mancata
Una settimana più tardi, il 2-2 di San Siro con la Lazio, che ha trasformato Pedro in una reliquia al pari di San Gennaro e che ha di fatto messo la parola fine sul sogno scudetto dei nerazzurri. Dopo la vittoria grigia sulle sponde del Lago di Como, e fuochi d’artificio sul lungomare di Napoli, restava la coppa, e sappiamo bene com’è andata a finire: la mano, o “manita”, sventolante di Luis Enrique a salutare Simone Inzaghi, che ha colto l’impossibilità di proseguire il suo percorso ad Appiano, per sposare l’Al-Hilal.
Inter, dal crollo di maggio all’azzardo Chivu
—È stata un’estate sicuramente inedita per i nerazzurri. Non c’è stato nemmeno il tempo per soffrire in silenzio il finale catastrofico. Il nuovo calendario aveva inserito il Mondiale per club e dunque imposto una risposta immediata alla delusione. Da qui la scelta a sorpresa: far sedere su una delle panchine più prestigiose d’Europa un semi-esordiente come Cristian Chivu, con all’attivo appena 13 partite di Serie A, ma dalla sua un percorso vincente nel settore giovanile, lo scudetto Primavera del 2022 e un’affinità tattica con le idee di Simone Inzaghi.
La leggenda nerazzurra del Triplete si è trovata però in una situazione tutt’altro che semplice, soprattutto sul piano psicologico. Le scorie di un finale deludente si sono riversate anche sull’avventura a stelle e strisce. L’Inter ha battuto i giapponesi dell’Urawa Reds e il River Plate, ma si è di nuovo sciolta – a un mese da Monaco – con il Fluminense, con una bomba a orologeria pronta a innescarsi. “Ho visto tante cose che non mi sono piaciute”, aveva affermato Lautaro Martinez dopo l’eliminazione che aveva finalmente messo fine alla stagione più lunga di sempre (63 partite!), ma non alle polemiche. Il messaggio rivolto ad Hakan Calhanoglu sembrava l’antivigilia di un terremoto, di una rivoluzione annunciata.
Tra vecchia guardia e nuove incognite
—“La lontananza, sai, è come il vento. Spegne i fuochi piccoli. Ma accende quelli grandi, quelli grandi”, cantava Domenico Modugno, e sembrava la colonna sonora perfetta per l'estate dei nerazzurri. Invece le vacanze, l’assimilazione parziale del colpo, hanno attenuato quella che pareva un naturale incipit di rivoluzione. Calhanoglu è rimasto e non si può praticamente nemmeno parlare di continuità tra i due progetti, perché la sensazione è che si tratti sempre dello stesso, solo con carte d’identità spietate, pronte ad aggiornarsi. E resta il dubbio di aver fatto lo stesso errore del 2010, dopo l’addio di Mourinho: non aver colto l’occasione – giusta, con il morale agli estremi opposti – per ristrutturarsi. Chivu si ritrova così con la stessa ossatura, rinforzata da sole cinque aggiunte. La prima era arrivata addirittura a febbraio: Petar Sucic, preso dalla Dinamo Zagabria per 14 milioni più 2 di bonus, centrocampista duttile per regia e mezzala, alternativa sia al 36enne Mkhitaryan che a Calhanoglu. In questo precampionato l’Inter ha poi sondato Manu Koné della Roma, segno che a centrocampo manca ancora un profilo dinamico e fisico. Con il complicarsi della trattativa, ieri – approfittando dell’uscita di Asllani – è arrivato Andy Diouf dal Lens per 25 milioni + 5 di bonus. Classe 2003, primo in Europa per accelerazioni (35) tra i centrocampisti, Diouf segna forse un cambio di passo. La sensazione è che il trio Barella-Calhanoglu-Mkhitaryan, fino a pochi mesi fa intoccabile, sia ormai a un punto di rottura: l’Inter del palleggio sta diventando un’Inter di verticalità.
Dietro la Thu-La
—Il secondo rinforzo è Luis Henrique, che a Marsiglia – grazie a De Zerbi – si è trasformato da esterno offensivo in trequartista capace di giocare anche esterno a tutta fascia, autore di 9 gol e 10 assist nell’ultima annata al Velodrome. L’ideale per alternarsi con Dumfries, praticamente insostituibile, ma con in più la dote del dribbling (2.66 ogni 90’). Il terzo è Ange-Yoann Bonny, arrivato dal Parma per 23 milioni, chiamato ad adattarsi a un contesto molto più competitivo, ma già distintosi in precampionato con due reti. Giocatore che ama partire largo, accentrarsi e dialogare, può diventare una valida alternativa a Thuram. Discorso analogo per Francesco Pio Esposito, canterano nerazzurro reduce da due anni allo Spezia, attaccante puro e fisico, già protagonista al Mondiale per Club col gol al River Plate e in precampionato al Monza. I due giovani dovranno dimostrare di poter colmare il vuoto delle riserve offensive, dove negli ultimi anni l’Inter ha sempre faticato. Compito non semplice, davanti alla Thu-La, e forse per questo si era cercato a lungo Ademola Lookman, scatenando un nuovo caso Koopmeiners a Bergamo. L’inserimento del nigeriano, tutto da verificare, avrebbe comunque acceso la curiosità mediatica, che invece oggi sembra essersi smorzata, forse anche per scelta societaria, dopo un’estate tribolata.
L’Inter anti-Toro
—In difesa i nerazzurri sono sempre gli stessi e qui il discorso anagrafico pesa: il reparto avrebbe bisogno di un restyling per evitare brutte sorprese in stagione. E il mancato arrivo di Giovanni Leoni, che ha preferito la Premier e il Liverpool, resta un rimpianto. Per l’esordio di lunedì contro il Toro, l’Inter dovrebbe comunque ripartire dal solito 3-5-2. Chivu dovrà rinunciare agli squalificati Calhanoglu e Pio Esposito. Il vero nodo sarà il centrocampo: Sucic e Barella si contenderanno il ruolo di play accanto a Mkhitaryan, con Dumfries e Dimarco sulle fasce (l’azzurro non al meglio dopo la contusione rimediata nell’amichevole di Bari con l’Olympiacos). Davanti la solita coppia Thuram-Lautaro. Dietro, Acerbi e Bastoni, con Pavard in vantaggio su Bisseck per il posto di terzo a destra.
Così l’Inter dovrebbe presentarsi all’esordio ufficiale: non un debutto come gli altri, perché mai come quest’anno ad Appiano Gentile aleggia un interrogativo pesante. Che stagione sarà? Quella della transizione, con l’obiettivo minimo della qualificazione in Champions, o quella di una squadra pronta a contendere lo scudetto al Napoli?
© RIPRODUZIONE RISERVATA

