Loquor / Torna la rubrica di Anthony Weatherill: “I diavoli si dividono in angeli decaduti e in gente che ha fatto carriera”
“I diavoli si dividono in angeli decaduti
e in gente che ha fatto carriera”
Nei giorni scorsi “La Repubblica” si è improvvisamente accorta del problema dei due scudetti in più contati dalla Juventus all’ingresso dello Stadium e del come la società sabauda abbia assunto un ruolo, a livello di fatturato, così preponderante da aver ucciso qualsiasi tipo di concorrenza nel campionato italiano di Serie A. Ho il sospetto che qualcuno dalle parti di Largo Fochetti mi abbia letto con una certa attenzione, e lo dico non perché voglia fare esercizio di vanagloria, ma solo per porre l’accento su una differenza fondamentale tra quanto da me scritto nel corso degli ultimi mesi e quanto riportato dall’autorevole quotidiano fondato da Eugenio Scalfari: l’articolo di Repubblica denunciava il malfatto ma non i malfattori(non c’era indicato come responsabile del malfunzionamento del calcio italiano un nome che fosse uno). L’articolo del “valente” giornalista di Repubblica, mi ha ricordato il metodo delle grande inchieste parlamentari di fine 800 sulla condizione disastrosa dell’agricoltura meridionale. Gli esponenti liberali Stefano Jacini, Sidney Sonnino e Leopoldo Franchetti nei loro rapporti parlamentari descrivevano il triste panorama di sopraffazioni, malnutrizioni, analfabetismo, sfiducia nello Stato presenti nelle campagne del mezzogiorno d’Italia. A leggere queste inchieste parlamentari, si rimane colpiti dalla totale assenza dei nomi e dei cognomi, che hanno creato le premesse del progressivo distanziamento economico/sociale tra sud e nord Italia. E’ la storia di sempre, il coraggio si ferma sempre sull’uscio del potente al quale non si può proprio disturbare il sonno tranquillo. Non vorrei che tale osservazione risultasse al lettore come il segno di un’eccessiva pignoleria sfociante in una pedanteria senza senso, ma la storia delle vicende umane pone il momento decisivo dell’inizio della cura di una qualsiasi piaga sociale, proprio nel dare un nome e un cognome ai colpevoli; perchè nomi aiutano, per associazione di idee, a ricordare i misfatti compiuti. Aiuta soprattutto ad impedirgli, dopo essere stata per un tempo nell’ombra, a ripresentarsi a gestire cose che riguardano tutti. Ma visto che La Repubblica(parimenti ad altri grandi giornali) continua la sua opera di “damnatio memoriae” sui nomi, provo io ad operare il titanico sforzo di ricordarne qualcuno.
“I vicini devono fare come le tegole del tetto, a darsi l’acqua l’un l’altro”, scriveva Giovanni Verga ne “I Malavoglia”, a indicare come l’aiutarsi all’interno di un sistema a volte sia una necessità del sistema stesso, dove i suoi componenti non possono certo sperare di avere un futuro roseo se pensano di raccogliere tutta l’acqua per se. La Juventus, per qualche ragione che proverò a spiegare, ha ritenuto, in modo davvero palese, di poter fare a meno della forza delle altre squadre della Serie A. Era il 20 marzo 2009 quando la Juventus ottenne dal Credito Sportivo un credito di 50 milioni di euro(ottenendone altri dieci poco più di un anno dopo) per la costruzione dello Stadium, prosciugando per diverso tempo, a sfavore di altre squadre, le finanze di un Istituto nato nel 1957 per favorire la ristrutturazione degli impianti sportivi. Questo incredibile atto di prevaricazione da parte della società bianconera fu operato sotto la presidenza federale di Giancarlo Abete, noto soprattutto per essersi dimesso dal suo incarico alla Fgci dopo il fallimento della spedizione azzurra ai mondiali brasiliani del 2014. Fratello di quel Luigi che impazza, come il prezzemolo in ogni minestra, in ogni attività economica e lobbistica del BelPaese(nonché presidente di quella Banca Nazionale del Lavoro che ha concesso un prestito di 15 milioni di euro per l’acquisto di Cinecittà Studios di cui è azionista. Tanto per descrivere il tipo…), Giancarlo Abete si è sempre occupato di calcio sin dal lontano 1989, allora chiamato, per titoli qualificanti sconosciuti, a capo del settore tecnico della Fgci. In quel tempo Abete stava per finire l’ultimo dei tre mandati parlamentari tra le file della Democrazia Cristiana. Con il crollo della Prima Repubblica e la scomparsa della Balena Bianca, il buon Giancarlo, da vero professionista degli interessi familiari, fu subito svelto a capire come il calcio potesse essere un nuovo agone politico, dove esercitare potere e influenza. Noto tifoso juventino, nonostante sia romano di nascita, Giancarlo Abete, in tutta evidenza, non esercitò nessun potere di controllo e di pubblica condanna sulle manovre economiche della Juventus, in spregio a qualsiasi regola sulla libera concorrenza e di un fairplay sportivo di cui un presidente di federazione dovrebbe essere garante, per la costruzione dello Stadium. La stessa Repubblica, attraverso un articolo di Fabrizio Bocca, nel 2011 salutava la costruzione della nuova casa bianconera “come una buona notizia per il calcio italiano”, definendo incapaci i dirigenti delle altre squadre della Serie A, appesi alla speranza(sic) di una legge che favorisca la costruzione di nuovi stadi(ma pensa che speranza assurda avevano e hanno le squadre italiane: vogliono una legge come quella fatta in Inghilterra negli anni 90 e che ha permesso un’autentica rivoluzione finanziaria, e di sicurezza, in Premier League). “Insomma- concludeva il suo articolo Bocca nel 2011, incurante della sua involontaria lezione di cattivo giornalismo- perché in Italia solo la Juventus ha fatto quello che anche tutti gli altri avrebbero dovuto fare già da anni”? Già, perché gli altri non lo hanno fatto egregio Fabrizio Bocca? Sarebbe bastato che lei si fosse peritato di rispondere, marzullianamente parlando, a questa sua domanda per capire un misterioso arcano così complesso(spero che il lettore perdoni questo mio ripetuto usare la figura retorica dell’antifrasi).
“Non vorrei morire perché ho paura dell’inferno… perché amo il mio peccato”, scrive Verga in “Storia di una capinera”, ed è forse per questo che Giancarlo Abete si è riproposto per guidare la Fgci, incurante di tutti le sue negligenze passate, anche perché, per la regola della “damnatio memoriae” diventata aurea in Italia, nessuno ormai lega il suo nome a quelle negligenze.
Alessandro Costacurta, per gli amici Billy, in attesa del ritorno sulla plancia di comando di Giancarlo Abete, si sta dando molto da fare come vice del commissario straordinario della più importante federazione sportiva italiana, Roberto Fabbricini.