“La Lavagnetta Granata” è un progetto semplice ma ambizioso: provare a scovare i dettagli, le sfumature e cogliere quelle finezze tattiche che possono sfuggire ad un occhio meno allenato.
Mi presento: mi chiamo Riccardo, sono uno studente universitario di economia ma prima ancora sono -e sarò sempre- un appassionato di calcio, cresciuto in una famiglia Granata e con questa maglia come seconda pelle. L’idea di questa rubrica nasce proprio da lì: dal desiderio di unire la mia passione con il piacere di raccontarla e viverla a 360º provando a fornire un’opinione personale sulle prestazioni del Toro. Caro lettore, un saluto iniziale è doveroso a te che, molto probabilmente, ti stai chiedendo che cosa sia questa rubrica. Prima di entrare nel vivo, merita un breve cenno storico: la lavagnetta tattica, oggi metonimia per eccellenza dell’allenatore, nasconde una storia e racconta di un mestiere di complessità immensa che oggi può essere paragonato a quello di un direttore d’orchestra. Ogni “strumento”, ogni reparto e ogni singolo interprete deve infatti suonare all’unisono, perché è proprio la sinergia collettiva a fare la forza del gruppo. “La Lavagnetta Granata” è un progetto semplice ma ambizioso: provare a scovare i dettagli, le sfumature e cogliere quelle finezze tattiche che possono sfuggire ad un occhio meno allenato. Tutto ciò per offrire una lettura piacevole -tranquillo, non sarai assillato da tecnicismi minimi- cosicché, alla fine di ogni articolo, possano nascere in te spunti di riflessione sulle prestazioni dei nostri Granata nei 90’ appena trascorsi.
Tra speranze e incognite
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Ora però, conclusi i convenevoli di rito, è tempo di passare al dunque. Il campionato è pronto ad aprire le danze proprio alla Scala del Calcio contro l’Inter e ad oggi i tifosi -giustamente- si dividono tra entusiasmo e incertezza. Il cambio di panchina è inevitabilmente l’incognita maggiore su cui un opinionista può esprimersi e l’unione dei segnali contrastanti arrivati da questo precampionato non possono che alimentare i dubbi dei tifosi Granata. Da una parte abbiamo infatti alcuni segnali positivi quali i numerosi innesti offensivi e una rosa che a livello, quantomeno numerico, risulta essere migliore rispetto alla passata stagione. Marco Baroni, il nuovo allenatore, è un profilo molto interessante, che conosce bene il nostro calcio e che porta con sé un bagaglio di esperienze variegato, dovuto ad esperienze in ambienti molto diversi fra loro -il che fa inevitabilmente ben sperare. D’altro canto, però, il bicchiere è anche mezzo vuoto, specialmente quando i segnali negativi sono altrettanto evidenti. Partendo dalla difesa, reparto emblematico di questa rosa negli ultimi anni, essa appare, sia sulla carta che sul campo, impreparata, corta nelle alternative ma, soprattutto, inadatta ad affrontare molteplici situazioni di gioco. Scalando in mezzo al campo va riconosciuto che il livello complessivo è sicuramente molto alto, ma la mancanza di un regista puro in grado di creare gioco, unito alle recenti prestazioni altalenanti di alcuni elementi nelle recenti uscite, solleva non pochi dubbi sulla funzionalità e l’efficacia del reparto. Ultimo, ma non per importanza, è il calendario. Sì, come ha sottolineato il mister, è di stimolo per tutto l’ambiente ma le amichevoli precampionato -seppur sia stato “calcio d’agosto”- hanno lasciato segnali prevalentemente negativi, che non possono essere ignorati.
Marco Baroni: la prima pietra di un nuovo progetto?
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Un titolo che non ha bisogno di spiegazioni per far intendere la sua natura provocatoria ma che purtroppo resta una domanda doverosa e inevitabile viste le incertezze del recente passato e del presente di questo club. È stato piuttosto singolare, infatti, il cambio di modus operandi adottato dalla dirigenza in questo precampionato estivo: non c’è stata né la presentazione della squadra in ritiro, né la conferenza immediata da parte dell’allenatore, ma degna di nota anche la volontà di lavorare sottotraccia sul fronte del mercato. È forse però giunto il momento di parlare di ciò che il titolo di questa rubrica fa presagire: tattica. Il gioco di Baroni ha dei tratti molto riconoscibili, sia a livello numerico che posizionale, di conseguenza sul piano tattico. L’allenatore toscano crede molto nelle doppie ali, la cui massima espressione sfocia nel modulo 4-2-3-1 con una particolarità, non sempre adottata, ben precisa: l’impiego di una seconda punta in maniera più arretrata sulla linea della trequarti. Come emerso anche dalle dichiarazioni in conferenza stampa l’idea di gioco è tanto semplice quanto diretta: l’obbiettivo è la porta avversaria, pertanto, il gioco parte da lì -dalla punta in fase difensiva. Inevitabilmente il gioco prosegue a cascata ma il principio è quasi visivo: immaginarsi una freccia rivolta verso la porta avversaria. Da lì ne deriva l’essere chiave la fase di non possesso caratterizzata da una pressione alta, uomo su uomo, così intensa dall’essere asfissiante. Una strategia tanto ambiziosa quanto energeticamente dispendiosa, che richiede energia, concentrazione e lucidità. Ho molto apprezzato, infatti, come Baroni abbia sottolineato che il vero salto di qualità dei giocatori deve avvenire prima di tutto nei principi e nell’approccio, più che nei piedi. Un aspetto che, a parer mio, il Torino ha sofferto spesso durante la gestione Juric, con statistiche impressionanti legate ai gol subiti nell’ultima mezz’ora di gioco. A livello pratico, concentrandosi su possibili scenari, questa pressione può spingere il portiere avversario a diversi lanci lunghi, spesso non voluti ed estemporanei, per uscire dalla morsa del pressing. Un fattore da sfruttare ma non sottovalutare. Questi lanci, infatti, portano a duelli aerei fra i nostri difensori e gli attaccanti avversari per cui, se presi con leggerezza e non vinti con decisione il rischio è di concedere seconde palle giocabili. Se quest’ultime dovessero essere messe giù dagli avversari, si aprono situazioni di 1 contro 1 in campo aperto in cui i nostri centrali, la cui statura li rende tutt’altro che scattanti, se dovessero ritrovarsi a rincorrere, BEH, sarebbe un problema serio. Situazioni di questo tipo, purtroppo, sono state vissute nell’amichevole contro il Valencia in diverse occasioni e quella più rappresentativa è sicuramente quella del secondo gol degli spagnoli in cui si verifica esattamente la situazione appena descritta… Un’ultima considerazione personale relativa alle dichiarazioni del mister, confermata anche sul campo: la chiara volontà di ricercare mobilità e sperimentazione. Una scelta che trovo sensata in un periodo come questo, ed emblematica è proprio la decisione di provare spesso i centrocampisti a piede invertito, per far si che aprano bene il campo e riescano poi ad accentrarsi con efficacia in qualsiasi momento.
Dal campo alla lavagnetta: è il turno di Valencia-Torino
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Il calcio d’agosto si sa, è ben lontano dai ritmi e dai livelli che ci si aspetta dagli stessi interpreti in campionato, ma se l’obiettivo del precampionato è testare, sbagliare, correggere e capire, allora la sfida contro il Valencia ha assolto pienamente la sua funzione. Una partita che -giustamente- all’occhio del tifoso preoccupa e annoia, ma che invia segnali inconfondibili all’allenatore sugli aspetti da migliorare, un fattore che si spera possa rivelarsi utile in fase di correzione prima dell’inizio della Serie A. La partita porta con sé un risultato severo, 3-0 per i padroni di casa, ma che purtroppo racconta fedelmente ciò che si visto sul terreno di gioco. Non bisogna però fare di tutta l’erba un fascio in quanto alcuni segnali positivi i Granata li hanno anche mostrati e, l’espulsione di Anjorin al 50’, unita all’usuale calo nei ritmi precampionato, ha reso praticamente impossibile un’eventuale rimonta, nonostante, occasioni da gol non sono mancate. La partita era iniziata molto bene: l’ottima pressione alta uomo su uomo stava dando i suoi frutti, dimostrando che finalmente le idee del mister iniziano ad essere assimilate dagli interpreti. Chi si è fatto notare molto è stato il portiere Franco Israel: cercato diverse volte dai suoi compagni ha mostrato qualità con i piedi in costruzione. Un po’ meno bene per quanto riguarda la reattività, in particolare sul raddoppio del Valencia, non è esente da colpe. Il reparto che desta maggiori preoccupazioni è quello difensivo, appare corto nella sua interezza: numericamente, di testa e di capacità tecniche all’interno del rettangolo di gioco. I maggiori esponenti negativi il terzino Biraghi e il centrale Coco. Il primo non sembra in grado di offrire soluzioni offensive, è lento tecnicamente e nemmeno solido in fase difensiva. Non a caso il Valencia ne approfitta e attacca sempre la sua fascia. Il secondo invece pecca su quasi ogni aspetto inclusi i fondamentali: non è in grado di tenere fisicamente l’uomo, fatica anche a livello tecnico trasmettendo di conseguenza insicurezza sia ai compagni che ai tifosi. Unica nota parzialmente positiva del reparto è l’avvio del terzino Pedersen che, seppur reduce da un’annata a dir poco disastrosa, sembra stia finalmente trovando la sua dimensione in campo dimostrandolo a più riprese con diverse galoppate, sganciandosi dalla linea difensiva, arrivando molto bene al cross. Tuttavia, non mancano errori anche da parte sua, prevalentemente in fase di non possesso, essendo spesso in ritardo nella marcatura sul suo diretto avversario. Il problema difesa è sotto gli occhi di tutti e ci si augura che un innesto arrivi prima della fine del mercato. La mediana “firmata” ex-Chelsea non ha brillato: Casadei fa piovere errori come fossero colombi in piazza Duomo mentre Anjorin è riuscito in un’impresa tanto rara quanto evitabile: farsi espellere per doppio giallo in un’amichevole… Degni di nota sono qualche piccola dimostrazione di strapotere fisico seppur non sopperiscano abbastanza le relative mancanze. Il rientro in campo del centrocampista turco Ilkhan in compenso, seppur breve, è stato molto positivo e ci si augura che possa rivelarsi un’ottima alternativa lì in mezzo. Per fortuna segnali più incoraggianti arrivano dal reparto offensivo che si conferma folto e qualitativamente valido. Resta evidente il fatto che sono però indietro a livello di condizione fisica, e le idee di gioco del nuovo allenatore devono ancora essere assimilate meglio. L’espulsione di Anjorin ha inoltre reso impossibile vedere la trequarti al completo, c’è quantomeno fiducia per vederla nella prossima uscita. Come unica gioia per i tifosi ci sono gli esordi degli ex-Napoli Ngonge e Simeone, ma soprattutto il rientro in campo, dopo il lungo stop, del leader assoluto, capitano granata: Duván Zapata. Il test più importante di questo precampionato sarà senza dubbio quello della settimana prossima contro il Modena, e ci si augura che le impronte lasciate in campo siano ben diverse rispetto a quelle dell’ultima uscita. I segnali emersi finora sono, purtroppo, più “rossi” che “verdi” ma l’augurio è che con il progressivo miglioramento di condizione fisica e tanto duro lavoro per assimilare le idee di gioco del nuovo mister, qualcosa inizi finalmente a dare i suoi frutti. Nel frattempo, l’importante ora è non farsi condizionare troppo da queste prime impressioni: la Serie A deve ancora iniziare e i tabellini delle 38 giornate sono ancora da scrivere. E magari, chissà, quando il presidente ha detto che la rosa era “pronta al 95%”, stava ragionando su una rosa da 50 giocatori. Me lo auguro perché, in tal caso, ci sarebbe ancora spazio per quei 2 o 3 innesti che, guarda caso, servirebbero proprio.