Loquor / “La vittoria è sempre nel pugno di pochi. Provare a preparare questa pattuglia di eroi è il segreto di ogni vittoria”
“Vincere non è importante; è l’unica cosa che conta”. Basterebbe questa storica frase di Giampiero Boniperti a definire cosa sia la Juventus, a definire i contorni di una società calcistica, che nel 1897 decise di darsi con il sostantivo gioventù una visione costantemente tesa verso il futuro. Un futuro in cui sono solo le vittorie a giustificare questo senso, quasi astrale, di richiamo alla giovinezza. Il Torino, invece, è sempre stato qualcosa di molto difficile da decifrare, e non solo per il destino perennemente avverso che lo accompagna. Non è certo facile convivere, nella stessa città, con una squadra che è stata designata alla vittoria dal destino. Lo scrittore Giovanni Arpino, di provata e intensa fede juventina, una volta disse che per tutto il mondo granata era più importante soffrire, che vincere. I tifosi granata certamente converrebbero che questa è una tipica riflessione da juventino, da colui che, se anche ti vuole fare un complimento(e forse era stata quella l’intenzione di Arpino), alla fine finisce per dire qualcosa dal vago sapore altezzoso. Ma credere che ci sia qualcuno davvero felice di perdere è come mancare di rispetto ad uno dei personaggi più belli e geniali mai pensati dalla mente umana: il Paperino della Walt Disney. Questo celebre personaggio di tanti fumetti e cartoni animati, ha attraversato la vita di generazioni di persone che lo hanno visto sì sfortunato, ma mai domo. Mai rassegnato alla sconfitta o alla sfortuna.
Paperino non ha mai avuto l’orizzonte facile e fortunato del cugino Gastone, ma non è vittima inconsapevole di un destino fortunato(quante volte Gastone è preso dalla noia di una fortuna che costantemente lo arride, assediandolo). Paperino è vittima di una sfortuna ancestrale, ma dalla quale egli non sfugge per sua volontà. Ogni giorno il più noto papero del mondo non smette di lottare, di pensare come lottare contro ogni destino avverso, che tanto arriverà. Ma Paperino è tosto e sa, volendo usare le parole del suo “amico” Walt Disney, come sia “davvero molto divertente fare l’impossibile”. Ma sarebbe riduttivo comparare il derby che andrà in scena alle 12.30 di domenica prossima allo Stadio Olimpico di Torino, all’eterna lotta tra Gastone e Paperino. Quella dei personaggi della Walt Disney è solo una parte piccola della grande metafora esistenziale che circonda il Derby della Mole. Sarebbe facile attingere alla retorica dei poveri contro i ricchi, e si peccherebbe ancora una volta di altezzosità involontaria verso i tifosi del Toro. Si è portati a credere, non senza qualche ragione, che spesso, bambini, ci si innamori di una squadra di calcio perché questa ha una propensione verso la vittoria. Allora, girando l’Italia, ci si può facilmente accorgere di un Mezzogiorno erto a serbatoio di un tifo per Juventus, Inter e Milan (è cosa nota come la Juventus, in Sicilia, giochi praticamente in casa). Ma, sempre girando l’Italia, ci si accorge come in ogni zona della penisola, ma proprio in ogni zona, esistano enclave di tifosi del Torino Calcio. La cosa è sorprendente, proprio perché il Torino non ha complicità con la vittoria come le due squadre di Milano e la Juventus.
E allora c’è dell’altro, che non è la “sindrome di Paperino” o il povero che sfida il ricco. Il calcio, come tutte gli amori viscerali della vita, spesso naviga in mari e in rotte perlopiù misteriose. A voler credere a qualcosa che regni metafisicamente sopra le nostre teste, sembra che gli uomini siano stati pensati e creati per giungere a dei fatali appuntamenti con il destino. Si è tanto parlato di Lorenzo Bonucci, figlio del forte difensore oggi al Milan, e del suo essere diventato tifoso del Torino, nonostante Leonardo Bonucci sia stato uno dei giocatori più caratterizzanti della storia juventina. Non c’erano molte probabilità che Lorenzo potesse tifare una squadra diversa dalla Juventus (difficile che un bambino possa andare contro il padre e contro una sequela di vittorie, facile tentazione per chiunque), e pure è successo. E poteva succedere, a mio modesto parere, solo perché l’altra squadra era proprio il Torino. C’è qualcosa, in questa squadra, che richiama a sé un certo tipo di stati d’animo. E’ qualcosa che definisce, più di qualsiasi altra forma di tifo, cosa nella vita si è destinati ad essere.
Ecco perché, persino a Trapani, si scoprono tifosi del Torino. Ridare vita al Filadelfia è stato un ricongiungere i tifosi residenti nel capoluogo piemontese, con tutti i tifosi granata sparsi per l’Italia. Il Filadelfia, che ho visitato quando era poco più di un cumulo di macerie, è quel luogo dove tutte le anime granata sanno di avere una casa costruita sulla memoria. Il volersi ostinare a ricordare è, a mio modesto parere, la cosa più bella dell’anima del tifoso torinista. E’ un monito per l’Italia di questi tempi, in cui pare essersi smarrito colpevolmente il concetto manzoniano “dell’ addio ai monti”. Il calcio è fatto certamente dalle vittorie, ma è anche, e soprattutto, il racconto di tante storie, di tanti momenti divenuti eterni. Dati recenti raccontano che il Manchester United, negli ultimi cinque anni, ha aumentato notevolmente il suo fatturato e i suoi ricavi, generando utili per un sensibile calo della sua situazione debitoria. Questo aumento è derivato soprattutto dal boom che il marchio United sta avendo sui mercati asiatici, nonostante la squadra mancuniana da cinque anni non stia fornendo prove esaltanti in Premier League. Ma una squadra, anche quando non vince, ha la sua storia. Una storia che gli uffici marketing dei club stanno vendendo molto bene nei nuovi mercati del calcio. Una storia costruita, nell’ormai più che centenaria storia del calcio europeo, dalla presenza costante dei tifosi. I ricordi si sono tramandati da generazione in generazione, contribuendo a creare il motivo di un sentimento comune, rendendo sempre più remunerativo e coinvolgente lo sport del calcio. Un derby, per definizione un evento sportivo tra i più importanti, ricorda fatalmente questo concetto. E non è retorica.