Ricordo il titolo di prima pagina del Corriere dello Sport , quando la società granata compì gli ottant’anni della sua storia: “ottant’anni di toro. In fondo lo amiamo un po’ tutti”. Ci sono destini che si intrecciano, e quando l’Italia sul finire degli anni 90 entra in una delle sue crisi più profonde della sua esistenza, facendogli conoscere una paura sempre più crescente in questo finire del 2018, è proprio il Torino a smarrirsi. Uno smarrimento culminato nel fallimento del 17 novembre del 2005. Da allora tante cose sono successe, e in primo luogo il depauperamento progressivo della ricchezza e del tessuto sociale italiano. Urbano Cairo prende in mano le sorti della società granata avendo, se non altro, il merito di rianimarla e di non far disperdere una comunità e un patrimonio di valori. Ma il Davide/Toro, oggettivamente e da qualsiasi lato la si voglia vedere, non è più tornato. Questo fenomeno è, a mio modesto parere, uno dei segnali più evidenti di un Italia demoralizzata, presa dalla morsa della terribile tentazione di non crederci più. Il capace imprenditore alessandrino ha però ancora la possibilità di segnare il suo nome sul taccuino della storia, ha la chance di mandare un segnale al comune sentire degli italiani. Esattamente come lo fecero “Gli Invincibili” nel dopoguerra. Se la Juventus ha deciso di prendersi come palcoscenico il mondo e le sue tentazioni di enormi ricchezze, il Toro di Cairo potrebbe tornare a diventare il cuore pulsante dell’Italia. Potrebbe essere una delle testimonianze concrete di un Paese pronto a rialzarsi in piedi e a combattere le sue battaglie. Senza paura.
Hanno bisogno del Toro delle mille battaglie le nuove generazioni per capire che non è stata una sfortuna nascere e vivere nell’Italia contemporanea; ne hanno bisogno le generazioni coi capelli bianchi, per rinfrancarsi sul fatto che il loro sacrificio e la loro esistenza non sono stati inutili. Il Toro deve tornare a smuovere le certezze dei juventini di lignaggio alla Umberto Agnelli, per ricordare a noi tutti che solo la bellezza sopravvive alle nostre miserie e alle nostre paure. Solo la bellezza può darci l’eterna occasione di riprovarci sempre. Caro Urbano Cairo, tu hai questo onore e onere per le mani: rimetti il Torino al suo posto nelle vicende italiane. In questo natale del 2018 umilmente ti chiedo di provarci e di crederci. Se lo farai, molto ti tornerà indietro. In questi giorni in cui si festeggia il Natale, ovvero la nascita di un uomo a cui solo nel secolo scorso sono stati dedicati 62 mila volumi, e c’è una frase letta in un vangelo apocrifo ronzante nella mia mente da sempre:”chi si stupisce regnerà”. La storia dell’uomo di Nazareth insegna che bastano la mangiatoia come culla, le spine come corona, e una croce come trono per avviare una storia di gloria e di speranza. Per buona pace dell’Adidas e dei suoi munifici contratti di sponsorizzazione. Auguro ai tifosi del Toro, grato in eterno per la loro attenzione, che il loro presidente possa farsi prendere dallo stupore per le meraviglie intessute nella storia e nei valori della squadra presieduta. E che la battaglia contro la Juventus possa riprendere, nella lealtà e nel valore che il Toro e i suoi tifosi hanno sempre avuto. Lo si deve all’amore per il calcio. Lo si deve all’Italia. E anche perché il natale non sia ridotto ad una mera e ciclica convenzione mercatistica.
Di Anthony Weatherill
(ha collaborato Carmelo Pennisi)
Anthony Weatherhill, originario di Manchester e nipote dello storico coach Matt Busby, si occupa da tempo di politica sportiva. E’ il vero ideatore della Tessera del Tifoso, poi arrivata in Italia sulla base di tutt’altri presupposti e intendimenti.
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