A Roma ciò non è avvenuto.
Ed è grave perché a prescindere dalla forza (indiscutibile) dell'avversario, è il segnale che la squadra non ha le giuste motivazioni. Tralascio il fatto che ogni giocatore anche solo buttando un occhio al saldo del proprio conto in banca dovrebbe trovarvi centinaia di migliaia di motivazioni per dare il massimo, ma mi chiedo come sia possibile che società e staff tecnico non sappiano toccare le corde giuste per far giocare con voglia questi ragazzi. Non ci sono obbiettivi concreti per cui lottare? Beh, non è poi così negativa la cosa! La totale assenza di pressione per raggiungere un traguardo dovrebbe tenere sgombra la mente e far giocare più in scioltezza tutti quanti, liberi di ritrovare l'originaria gioia di considerare una partita di calcio un gioco e non un mero lavoro da professionisti. Mancano tredici giornate alla fine del campionato, un'eternità che non può trasformarsi in una via crucis di obbrobriose o scialbe prestazioni. Urge quindi trovare una soluzione a questa pericolosa deriva. Una soluzione che in realtà è molto semplice e dovrebbe essere insita in ognuno dei nostri calciatori. Si chiama orgoglio…
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