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Cravero è sorridente a fine gara. Franco Costa gli chiede dove fossimo rimasti e Robi ricorda Amsterdam, quindi afferma di essere contento che la sua avventura sia ripartita bene. Ritornando a quella serata Costa gli chiede se qualcosa sia cambiato dal punto di vista della fortuna. Ancora un sorriso del ragazzo di Venaria: “Sì, forse qualcosa è cambiato, anche se avrei preferito che fosse cambiato quella sera di tre anni fa”. La paventata crisi sembra allontanarsi, ma è solo un’illusione.
Nonostante Roberto giochi bene e sia spesso tra i migliori, anche se verrà fermato da qualche problema fisico, il Toro precipita nel triennio più buio della sua storia. Sonetti salta dopo un derby perso 5-0, Scoglio inizia bene, ma poi la sfortuna inizia ad accanirsi anche su di lui, Vieri non riesce a salvare la baracca ed è serie B. Se nel 1989/90 fu immediata risalita stavolta arriva un’annata mortificante con Sandreani in panchina e ancora Vieri richiamato nel finale. L’addio di Calleri e il cambio societario sembrano risvegliarci col ritorno di Lentini, ma quel maledetto palo di Perugia a Reggio Emilia ci ha ucciso ancora una volta o così sembrava.
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Cravero è stato un giocatore immenso e non meritava un triennio simile. Non meritava il derby perso 5-0, le sconfitte col Castel di Sangro, il Delle Alpi semideserto, Souness allenatore, lo sconcio del duello contro il Perugia che rimane uno di quei furti fatti passare col silenziatore che gridano vendetta al cielo. Il troppo amore lo ha riportato a noi, ma il troppo dolore sportivo che ha subito con intorno qualcosa che tutto sembrava tranne quel Toro trascinato nella buona e nella cattiva sorte nelle stagioni fra fine anni ottanta e inizio anni novanta, non è giusto.
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Il 14 giugno 1998 Cravero, teoricamente, lascia il calcio. Teoricamente perché le contemporanee vittorie del Toro sulla Lucchese (rete da cineteca di Ferrante) e del Perugia a Monza significano spareggio per decidere la quarta promozione nella massima serie. Allora quello di Roberto è “soltanto” l’addio alla Maratona che in quel pomeriggio si è agghindata come nei giorni migliori, con una scenografia stupenda. Il nostro avrebbe anche l’occasione per segnare, ma la difesa rinviene su di lui quando ci stavamo per abbracciare tutti insieme pensando a un finale da favola con una rete nel giorno dell’addio, però quegli anni sono solo beffe e porte sul muso, niente lieto fine, nonostante prima del match giri di campo, cori, abbracci e saluti avessero fatto sperare in qualcosa di diverso. C’è stato qualche sorriso, ma scompare quando è ora di tornare ai microfoni a commentare la gara con un’espressione ben lontana da quella sfoggiata dopo il 3-1 al Bari. Le parole sono secche, drammaticamente giuste e reali. Fanno male, ma al tempo stesso scaldano l’animo. “Penso che questa squadra meritava di andare in serie A subito per quello che ha fatto durante l’anno. Il Torino per avere qualcosa non lo deve meritare, lo deve strameritare e allora speriamo di strameritarlo in questo spareggio”. Non basterà nemmeno strameritarlo, invece, visto che nonostante 115’ in dieci contro undici per un’espulsione mai chiarita il rigore sul palo di Dorigo sarà l’ennesima coltellata sulla nostra pelle, una delle più dolorose e difficili da rimarginare.
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L’ultimo pallone toccato da Cravero prima di lasciare definitivamente il calcio, prima di diventare in due occasioni dirigente del Toro (e, per favore, non fatemi ricordare anche cosa successe nel 2005 dopo la promozione con una delle squadre più futuribili che abbiamo mai avuto superando proprio il Perugia), è sul dischetto dello stadio di Reggio Emilia. Terzo rigore, i primi due li hanno segnati entrambe le squadre. Edi Reja ha mandato in campo Robi al minuto 103 al posto di Ficcadenti. Nessun numero ventiquattro, sulla schiena c’è il sei. Cravero ha trascinato il pallone fino al punto di battuta, concentratissimo. La rincorsa è lunghissima, il tiro è rasoterra e angolato, rimbalza una volta e si insacca. Dopo il gol la nostra bandiera esulta rabbioso, carica i compagni e abbraccia Ferrante. Ancora una volta ha risposto presente prima che il destino reclamasse, per l’ennesima volta, un pezzo del nostro fegato, neanche fossimo Prometeo.
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Forse ti ho amato di più in quegli anni di quando facevamo tremare il Real. Grazie di tutto, Robi.
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