Oggi, i bambini granata entrano in classe con un sorriso diverso. Mio figlio mi ha commosso: stamattina si è svegliato presto, ha indossato con orgoglio e con un grande sorriso la sua felpa col cappuccio del Toro, tirando fuori anche quei pantaloni granata che gli sono ormai quasi corti. È andato a scuola così, nonostante frequenti la seconda superiore a Milano, in mezzo a tanti ragazzi che forse non comprendono davvero cosa significhi essere del Toro. Ma lui lo sa, lo sa perché gli è stato trasmesso, di padre in figlio, come un’eredità preziosa.
I tifosi più grandi, abituati a convivere con malinconie e amarezze, salutano oggi i colleghi con uno sguardo finalmente fiero. Perché oggi essere del Toro è qualcosa di speciale. Questo momento riconcilia con il calcio, restituendo quel senso di giustizia che sembrava ormai perduto.
Torino è una città divisa tra due anime calcistiche: i granata convivono con i "cowboy", i potenti, quelli che vincono per abitudine, per status, per storia. Ma il Toro è un’altra cosa. È resilienza, è speranza che non si spegne mai, è la continua affermazione della propria identità in un mondo che sembra riservato ad altri. Eppure, Mondonico ci ha sempre indicato la strada che pensavamo persa:
“Noi siamo gli indiani contro i cowboy, chissà che una volta gli indiani non vincano la loro battaglia”.
E allora grazie, Mister Vanoli, perché ci hai fatto tornare a sognare. Ci hai riportato la voglia di lottare giorno dopo giorno, di gridare che non ci stiamo ad essere messi sotto, e che siamo pronti a reagire, anche con i pochi mezzi che abbiamo a disposizione.
Sappiamo bene che questa posizione in classifica potrebbe essere solo un attimo. Ma sappiamo anche che noi ci siamo, e ci saremo sempre, perché essere del Toro è per sempre!
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