Non andò bene neppure la sistemazione scelta per la squadra, perché l'albergo di lusso dove la nazionale andò a riposarsi, a San Paolo, ospitava in quel periodo le componenti di un corpo di ballo argentino di ineludibile bellezza. Distrazioni assicurate in un momento che doveva servire agli atleti per riposarsi e concentrarsi unicamente sulla partita. Complice anche la notte di San Giovanni, il 24 giugno, la squadra della Nazionale si ritrovò sul campo da gioco in condizioni fisiche pessime: fiato corto, muscoli arrugginiti, maldestrezza, una cupa e sostanziale impreparazione di fondo. Il risultato? Un orrido 3 a 2 per la Svezia.
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Secondo le parole di Giampiero Boniperti "L'effetto Superga era ancora nei nostri animi. La catastrofe aveva inciso profondamente non solo sul calcio italiano, distruggendo l'ossatura della Nazionale, ma anche nella gente. All'interno e all'esterno dello sport, il trauma fu tremendo e difficile da assorbire. E c'era in tutti la paura di volare. Così i dirigenti federali decisero di rinunciare all'aereo, all'andata. Un grave errore che scontammo sul campo".
Come è necessario che trascorra del tempo per elaborare un trauma dal quale ci si sente oppressi, così fu per la storia granata del dopo ‘49. Dovettero passare molti anni prima che la Sindrome di Superga cessasse di avere potere sul morale dei calciatori e dei tifosi. E ancora oggi, all’appressarsi del 4 maggio di questo 2020 così saturo di brutte notizie, il dolore di quella data pulsa ancora tra le tempie e ancora opprime come un morbo i nostri cuori.
Laureato in Lingue Straniere, scrivo dall’età di undici anni. Adoro viaggiare e ricercare l’eccellenza nelle cose di tutti i giorni. Capricorno ascendente Toro, calmo e paziente e orientato all’ottimismo, scrivo nel segno di una curiosità che non conosce confini.
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