Il Granata della Porta Accanto / L'arroganza si batte (a volte) con l'arroganza: non è roba da Toro, ma che soddisfazione quando capita!
In questi giorni non abbiamo altro negli occhi che l'immagine di Mourinho con la mano accostata all'orecchio e lo sguardo di sfida mentre chiede, neanche troppo velatamente, di sentire ancora i fischi e gli insulti che lo Stadium gli ha riservato per 94 minuti e oltre. Un gesto fastidioso, arrogante, lontano mille miglia dal concetto di sportività e signorilità, ma che ha trovato l'approvazione più o meno convinta e divertita di tanti tifosi di altre squadre (Toro in primis) che quella stessa arroganza e fastidio avevano provato dopo molte vittorie della Juventus.
Se penso ai molteplici derby degli ultimi anni in cui non meritavamo di perdere ma nei quali siamo stati beffati e ci siamo dovuti sorbire le varie tiritere "che vincere è l'unica cosa che conta", "che il colpo del campione" o "che ci hanno creduto fino alla fine" e altre insopportabili amenità di cattivo gusto, è chiaro che lo strafottente allenatore portoghese del Manchester United ripagando i bianconeri con la stessa loro moneta non può che essere assurto a "idolo per un giorno" di chi quella rivincita morale avrebbe voluto prendersela da tempo. Non è, badate bene, il discorso del tifoso frustrato che gode delle sconfitte altrui, ma è semplicemente un normale moto dell'animo umano che si schiera con chi abbatte il tiranno pur utilizzando le sue stesse armi. Non è roba da Toro, lo so, ma se analizziamo il calcio moderno a noi granata hanno tolto le armi con le quali abbiamo sempre tenuto testa al nemico: appartenenza e ardore agonistico. Uccidendo i "giocatori bandiera", così come tutti quelli che passavano anni in un club diventandone porta valori, hanno indebolito quel senso di appartenenza che spesso era decisivo per rimanere compatti e convinti di fronte a sfide sulla carta impossibili, mentre inasprendo i metri di valutazione arbitrale hanno eliminato il gap che poteva esserci fino agli albori degli anni Novanta tra una squadra tecnica ed una più sparagnina. Se Glik entra deciso sul pallone è rosso diretto, se Acquah subisce analogo intervento è "sulla palla" e si prende gol...
Cosa resta allora a chi vuole sovvertire l'ordine precostituito delle gerarchie "imposte"? Organizzazione, i due o tre giocatori che esplodono in quella stagione e fanno la differenza (e che poi al mercato successivo vengono saccheggiati o attirati dalle sirene del guadagno) e poco altro. Come fare a combattere l'arroganza di chi si sente al di sopra della contesa sportiva, di chi non accetta di giocare ad armi pari? Gli americani dicono "fight fire with fire", combatti il fuoco col fuoco, cioè usa le stesse armi del tuo nemico. E questo ha fatto Mourinho. Una partita indecente illuminata da una giocata individuale (la punizione di Mata) e da un mezzo regalo degli avversari (Szczesny) gli hanno fatto battere l'avversario al quale il "buon" Mou non ha risparmiato un'arroganza fuori luogo, ma tutto sommato non così lontana da quella che in modi meno eclatanti ci siamo trangugiati obtorto collo tante volte nelle affettate conferenze stampa post partita di Allegri e soci.
Ripeto, non è roba da Toro, perché lontana anni luce dal nostro dna e poi perché stiamo parlando di una ristretta elite del calcio, di cui anche il Manchester United fa parte, che può permettersi di prendere e dare schiaffi perché "inter pares".