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Una notte giapponese

Una notte giapponese - immagine 1
Torna l'appuntamento con "Gran Torino" la rubrica di Danilo Baccarani

Le due del mattino di domenica 14 dicembre 2008, e io sono in Giappone, a Yokohama.

Sono arrivato da tre giorni per la FIFA Club World Cup, la competizione che ha sostituito la Coppa Intercontinentale.

L’albergo sta su una delle direttrici più trafficate della zona, ma a parte qualche ambulanza che sfreccia riempiendo di blu la mia stanza, la notte è piuttosto silenziosa.

Io non dormo perché dall’altra parte del mondo, in Italia, alle ore diciotto di un freddo e umido sabato dicembrino gioca il Toro.

È Bologna-Toro la partita che mi tiene sveglio ad un orario in cui o si dorme, oppure, se si è da queste parti, si fa baldoria in qualche locale di Roppongi.

Quello però non è un momento in cui fare baldoria.

Il Toro è in difficoltà, ha appena cambiato timoniere, perché dopo la partita contro la Fiorentina, Gianni De Biasi è stato esonerato e sulla panchina è tornato Walter Monzon Novellino.

Un déjà-vu, qualcosa di già visto qualche mese prima, ma a parti inverse.

Il ritorno di Novellino è l’ennesimo tentativo di elettroshockterapia per una squadra che non ha continuità di risultati ed è reduce da un punto nelle ultime quattro partite.

I quattro schiaffoni presi dalla Viola sono stati la classica goccia che ha fatto traboccare un vaso già colmo.

Anche il Bologna ha da poco cambiato tecnico e sulla panchina felsinea è arrivato Sinisa Mihajlovic che in un mese ha collezionato cinque pareggi consecutivi, la partita ha il classico sapore della sfida salvezza.

Il Toro si presenta a Bologna in maglia bianca, con il morale da ricostruire,  senza il suo uomo di fantasia, Alessandro Rosina e senza Zanetti squalificato.

Il commento russo non mi consente di capire molto ma questo è l’unico streaming che ho trovato nel magico mondo dell’internet e tocca accontentarsi.

La partenza è tutta nostra grazie al gol di Barone su uno dei più grandi classici del periodo, lo “Spizza e spera”.

Rimessa in gioco di Diana, spizzata di Bianchi, dormita generale della difesa rossoblù e destro volante di Barone che batte Antonioli.

Quando la tua squadra segna su schema, non ti sembra vero.

Sono sensazioni talmente rare che le potresti raccontare ai tuoi nipotini, davanti al camino.

Esulto moderatamente. Sono troppo rispettoso del sonno degli altri, figuriamoci se poi sono giapponesi, un popolo che fa del rispetto la sua bandiera.

Non ci si può credere. Il Toro gioca una partita gagliarda e sfiora il gol a più riprese.

Se ripenso alla tragica esibizione casalinga contro la Fiorentina, rabbrividisco.

Allora immagino che sia merito del cambio di allenatore, che la scossa è servita, se questi sono i risultati.

Bianchi sfiora il raddoppio, poi ci pensa il terzino bolognese Lanna a complicarsi la vita e quasi quasi favorisce il gol di Diana.

Toro messo bene in campo e padrone della partita.

Cosa potrebbe andare storto?

In tribuna le telecamere indugiano sulla neo presidente rossoblù, Francesca Menarini.

I media non parlano d’altro e portano in palmo di mano la neo presidentessa.

Puntualmente quando ci sono storie di questo genere il Toro di riffa o di raffa, ci finisce dentro.

E, infatti, così andrà. Bisognerà solo aspettare.

Un antipasto di quanto accadrà lo possiamo assaporare al minuto 45’.

Cross di Abate, zuccata vincente di Natali, Antonioli smanaccia la palla.

Di qua o di là dalla linea?

Le proteste dei nostri sono vibranti, il commentatore russo sbraita in maniera esagerata.

Qualcosa, evidentemente è successo.

Nell’intervallo le urla di Mihajlovic si sentono fino al Giappone e dagli spogliatoi esce un Bologna diverso, entra Volpi, ironia della sorte uno dei pretoriani di Novellino e dopo nemmeno tre minuti, è già pareggio.

La progressione del regista ex Venezia termina con un tiro cross che Pratali sporca in maniera decisiva ingannando Sereni.

È iniziato ufficialmente “Partite da incubo” e Pratali si candida a vincerne la puntata.

L’illusione che la partita possa ancora cambiare ci viene regalata da un gol fotocopia, questa volta per noi.

Cross di Abate, deviazione di Britos e autogol.

La dea bendata è dalla nostra: 2-1 per il Toro.

Ma a questo punto, la partita gira meritatamente a favore dei padroni di casa ma l’infilata di errori sono da matita blu, anzi, granata.

Si scatena Di Vaio, abile nel capitalizzare una rocambolesca mischia nata da un rimpallo di Pratali sugli sviluppi di un calcio d’angolo.

Poi, sempre Di Vaio batte Sereni per il momentaneo 3-2 con un rasoterra chirurgico.

Il Toro non c’è più. La fragilità psicologica è un limite che questa squadra si porterà dietro fino alla (prevedibile) retrocessione.

Sereni pasticcia e regala un rigore che Di Vaio consegna a Bernacci per il 4-2 e poi, dulcis in fundo, con il Toro oramai sbilanciato, Pratali atterra in area Bernacci e viene espulso.

Di Vaio, dal dischetto, mette il sigillo per il definitivo 5-2.

La gente del Toro sfolla al quinto gol del Bologna.

Chiudo lo streaming al fischio finale, mentre è ancora notte fonda.

L’esatta metafora della nostra stagione, notte fonda.

I tre allenatori che si avvicendarono sulla nostra panchina, una rosa carente in alcuni reparti, gli errori difensivi, tanti, che ci costarono punti su punti e poi il colpo di grazia di alcune decisioni arbitrali davvero controverse che videro noi come protagonisti o spettatori diretti.

Al Bologna venne concesso praticamente tutto, compreso un gol in fuorigioco di tre metri contro il Lecce (Di Vaio) mentre a noi contarono anche i millimetri, prima a Udine (Bianchi), poi Firenze (Franceschini), poi contro i rossoblù in casa (Barone).

Per non dimenticare il tragicomico gol di Marassi annullato inspiegabilmente dall'arbitro Ayroldi dopo il palo di Amoruso: rinvio di Pieri e "gollonzo" di faccia dello stesso centravanti con palla che finisce in porta.

Dadaismo puro.

La verità è che quella squadra nata male, guidata e costruita peggio, meritava la retrocessione.

Sessantuno gol subiti, solo trentasette segnati.

La differenza tra noi e il Bologna la fecero i dettagli e qualche relazione pericolosa della allora dirigenza felsinea.

Lunedì, per assurdo, sera sarò nuovamente alla ricerca di qualche streaming, in giro per il mondo.

Stavolta a ovest, in quel di Lisbona, ma il ricordo di quella notte giapponese, nella minuscola stanza del Kokusai Hotel è ancora vivido.

Del resto, quel Bologna-Toro fu un harakiri in piena regola.

Di buono, stavolta, c’è che non sarà notte fonda. O almeno lo spero.

Ad un anno campione d’Italia, cresciuto a pane e racconti di Invincibili e Tremendisti. Laureato in storia del Cinema, innamorato di Caterina e Francesco, sposato con il Toro. Ho vissuto Bilbao e Licata e così, su due piedi, rivivrei volentieri solo la prima. Se rinascessi vorrei la voleé di McEnroe, il cappotto di Bogart e la fantasia di Ljajic. Ché non si sa mai.

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