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Granata dall'Europa

La domanda giusta

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Baroni è l'ultimo di una lunga serie di esperimenti falliti perché non esistono le condizioni di fondo per ambire ad altro che non sia una mediocre sopravvivenza
Michele Cercone Columnist 

L'ennesima umiliazione subita in casa - stavolta da un Cagliari zavorrato da assenze pesanti - ha chiarito una volta per tutta che la società, l'allenatore e la rosa non sono all'altezza della storia e dei valori del Toro e delle aspettative dei suoi tifosi. Di fronte a 23.000 appassionati - che non mollano nonostante venti anni di nulla mischiato con il niente - Baroni e la sua armata raffazzonata hanno dato vita al solito siparietto sciapo all'inizio e amaro e indigesto alla fine. I soliti erroracci della difesa hanno portato ad una sconfitta meritata contro una formazione che in campo ha messo molta più voglia e qualità degli pseudo-granata che continuano a prendere gol sugli angoli (grazie al castello degli orrori marchio di fabbrica di Baroni) e a fare i pali dello slalom per avversari che ringraziano per la facile corsa e la buttano dentro (al contrario dei nostri). Baroni si lamenta del fatto che quando c'è da fare un passo in avanti la squadra fallisce miseramente. Peccato che il mister non indirizzi la critica verso se stesso, prendendosi le responsabilità che condivide con la società per l'inefficace assemblaggio e la cattiva gestione dell'armata sbilenca messa insieme male e tardi dal duo Cairo-Vagnati (con la colpevole complicità dello stesso allenatore).

Al di là delle trite scuse e scusanti accampate dal mister - l'unico a vedere aspetti positivi in questo marasma, beato lui -  è chiaro che la rosa e chi la guida non mostrano di avere la qualità necessaria per fare anche solo un saltino in classifica, figuriamoci il salto di qualità tanto atteso dai tifosi. Proprio la qualità e la sua patente assenza sono in realtà il filo conduttore degli ultimi venti anni del Torino FC e si tratta di una mancanza che si riscontra a tutti i livelli, a partire da una struttura societaria scheletrica e inadeguata, passando per risorse finanziarie asfittiche (gestite anche malissimo negli ultimi anni da un ds inadeguato), per arrivare alla devastante 'normalizzazione' del Torino, ridotto all'ombra di se stesso e dimentico della propria tradizione, dei propri valori e dei propri simboli. In questo deserto dei tartari che è diventato il Torino FC si sono alternati decine di allenatori tutti con le stesse zavorre e tutti con risultati mediocremente simili. Baroni è l'ultimo di una lunga serie di esperimenti falliti perché non esistono le condizioni di fondo per ambire ad altro che non sia una mediocre sopravvivenza. Detto che le vere responsabilità sono a monte, va anche ammesso che il nuovo allenatore non ha portato per il momento nessun valore aggiunto, ed anzi sono molti più i suoi i difetti che i pregi. Manca al mister quella combattività e quella grinta che, non a caso, difettano anche ai giocatori e alla squadra in campo. Manca un piano di gioco, uno schema tattico di fondo che permetta ai giocatori di assimilare un sistema di riferimento e metterlo in pratica. Si assiste invece a partite slegate, frammentate, in cui a momenti di gioco corale si alternano fasi di perdita di identità, lucidità e schemi. Sono questi i momenti in cui i limiti dei singoli emergono crudelmente e la maionese impazzita si trasforma in frittata, portando a grappoli di reti subite in pochi minuti, a cali di concentrazione di interi reparti e a buttare via quel poco di buono faticosamente costruito.

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Baroni sembra irretito in una serie di equivoci esistenziali: il suo calcio dovrebbe essere votato all'aggressività e alla costruzione di gioco (non a caso il suo mantra è sempre stato il 4-2-4), ma si è intrappolato in un modulo che non è né carne né pesce. Il suo 5-3-2 senza interpreti adeguati e senza le necessarie conoscenze inibisce la fase di attacco, perde consistenza a centrocampo e apre voragini in difesa. Anche i finali di partita marcati da cambi illogici e controproducenti sono una spia della confusione che regna in panchina e tra i giocatori. La partita con il Cagliari - che certifica l'ennesima stagione fallimentare finita già in inverno - è in fondo un riassunto dei tanti difetti che affliggono allenatore e squadra e che nessun mercato di riparazione potrà cancellare. Nonostante le rassicurazioni di rito, sul futuro di Baroni al Torino grava più di un dubbio, e metterne in discussione lo scarso impatto è certamente lecito. Così come le valutazioni sui fallimenti di Vagnati hanno portato ad un necessario cambio di rotta, è comprensibile che la stentata stagione di Baroni dia vita a riflessioni sulla possibilità di una sterzata in panchina, anche solo per mantenere la rotta di una salvezza senza patemi. Sorge però un quesito: un altro allenatore sarebbe capace di tirare fuori qualcosa di più da una rosa assemblata così malamente e priva di veri leader e di giocatori dai mezzi tecnici superiori alla media? Sfortunatamente per i tifosi, nel contesto di una società senza qualità e senza ambizione la risposta alla domanda precedente è quasi irrilevante. Il vero dilemma è infatti un altro: dopo venti anni di delusioni cicliche e ripetute, in un ambiente in cui di granata resta ormai poco o niente, davanti all'ennesima stagione fallimentare e all'evidenza di un progetto mai davvero avviato, vale davvero la pena di continuare a farsele queste domande?

Il Toro, il giornalismo e l’Europa da sempre nel cuore. Degli ultimi due ho fatto la mia professione principale; il primo rimane la mia grande passione. Inviato, corrispondente, poi portavoce e manager della comunicazione per Commissione e Parlamento Ue, mi occupo soprattutto di politica e affari europei. Da sempre appassionato di sport, mi sono concesso anche qualche interessante esperienza professionale nel mondo del calcio da responsabile della comunicazione di Casa Azzurri. Osservo con curiosità il mondo da Bruxelles, con il Toro nel cuore. Mi esprimo a titolo esclusivamente personale e totalmente gratuito.

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