“Il bello è lo splendore del vero”, sentenziò Platone, tentando di spiegare che tra il bello e il bene esiste un legame misterioso, inafferrabile e indistruttibile. Alla bellezza è affidato il compito di ricomporre in un’unità armonica il disordine intrinseco proposto dalla realtà, rendendola capace di rilevare un senso ultimo del suo stesso caos. Il calcio moderno nasce, come ho già avuto occasione di scrivere, all’interno delle università inglesi, ed erano sfide tra le stanze dei dormitori di college(composte, appunto, da undici persone), che avevano una loro storia, un loro destino, una loro identità. La passione per il calcio presto si propagò per il mondo, impossessandosi dell’anima dei luoghi dove si giocava. E i luoghi erano spesso quartieri, dove sciamavano, tra sentieri di occhi, proverbi popolari, modi di dire e il rimarcare la differenza “tra noi e gli altri”. “Siamo noi, quella della Republica Indepediente del la Boca”, sembrano dire i colori da cui è composta la maglia del Boca Juniors, a ricordare il variopinto panorama delle case del quartiere popolare della “Boca”, dove è tutto un tango e un guardare verso quel mare di cui gli abitanti di questo “barrio” di Buenos Aires si ritengono la fine.

Gli splendidi racconti di Federico Buffa, ci narrano delle gesta di Puskas e della sua Honved, persi in quella lingua inestricabile che è l’ungherese, piuttosto che dell’esistenza di George Best, immaginato correre felice dietro un pallone in quella Belfast percorsa da protestanti fedeli al trono d’Inghilterra e da cattolici convinti dell’esistenza della Santissima Trinità. Best trovò gloria e benessere economico nella mia Manchester, in quello United che fu la squadra dei lavoratori della compagnia ferroviaria “Lancashire and Yorkshire Railway”. Dal 1878 generazioni di mancuniani salgono sulle carrozze del treno United , un tempo messo a disposizione da questi ferrovieri per un un viaggio dai connotati del senza fine. L’Ajax è sempre stato sinonimo del bello e anche durante l’ondata di antisemitismo presente in Olanda negli anni 30, ebrei e gentili avevano come punto d’incontro lo stadio dove giocavano i “Lancieri”,”perché-come narra l’ottantenne archivista della squadra di Amsterdam-agli ebrei piacevano le cose belle, così andavano a vedere l’Ajax”. Dall’Olanda passò anche Arpad Weisz, un altro grande allenatore(già di Inter e Bologna) ossessionato dalla ricerca del bello, che nell’ultimo suo rifugio da essere umano, in fuga dalle leggi razziali fasciste, allenò la piccola squadra del Dordrecht elevandola fino ad un insperato quinto posto, prima di trovare la morte in una camera a gas ad Auschwitz.
Fu probabilmente la guerra civile del 36, a delineare bene i contorni della rivalità Barcellona/Real Madrid, tra una squadra antifranchista e desiderosa di ergersi a simbolo d’indipendenza della Catalogna da un regno a cui non ha mai sentito realmente di appartenere, e un’altra squadra sempre circondata dal sospetto di essere favorita dal “Caudillo” ed espressione di quell’orgoglio castigliano protagonista della “Reconquista”, che di fatto segnò il vero inizio del regno di Spagna. Il Bayern di Monaco nasce in uno dei tanti caffè caratteristici di della capitale della Baviera e il Celtic in una parrocchia cattolica di Glasgow, in due luoghi in prima istanza così diversi, ma che hanno la stessa matrice sociale: sono luoghi d’incontro trasversali. Luoghi d’incontro, e di formazione, sono anche le scuole; a degli studenti di un liceo venne l’idea della Juventus, seguita presto da una scissione: i dissidenti usciti dalla Juventus diedero vita al Torino Calcio. Ignoro i motivi di tale scissione, ma la cosa evidente a chiunque abbia la ventura di osservare la storia delle due squadre torinesi è il delinearsi di due storie esistenziali divergenti. Il quadro di questa breve analisi dello scorrere della storia del calcio, mostra uno sport abile nell’intersecarsi con le vicende, a volte felici a volte drammatiche, della storia quotidiana degli uomini. Un’intersecarsi che rende indissolubile, in un “presente perenne”, il rapporto di una squadra con la sua origine e il suo evolversi. Appare chiaro, quindi, come possa essere pericoloso creare prodotti artificiali(nuovi tornei avulsi dal presente perenne), il cui unico obiettivo è la moltiplicazione infinita dei fatturati, riducendo il calcio alla stessa stregua di uno spettacolo. Il serio rischio che sta correndo il calcio è quello di diventare il più popolare dei videogiochi, con trame senza senso avente il solo scopo di vendere più pacchetti tv, magliette, gadget. Un torneo ad immodificabili inviti toglierebbe il senso del vero a questo sport, facendogli perdere quella bellezza che lo ha reso grande a generazioni di uomini e donne. “Armate” di soldi si stanno schierando lungo il confine del nostro amato gioco, e si stanno preparando ad invaderlo; nell’eventualità ciò accadesse non saremmo nel futuro del calcio, ma nello stravolgimento del calcio. Saremmo di fronte ad una tale indigestione di eventi preconfezionati, da rischiare di avere crisi di rigetto. Almeno in questa parte di mondo.
Nei celebre romanzo “I ragazzi della via Paal”, due fazioni di ragazzi si contendono, in modo piuttosto cruento, un campo da gioco. Nessuna delle due fazioni vuole mollare la presa e i colpi bassi si susseguono. Impegnati come sono nella lotta, i ragazzi non si accorgono di un palazzo improvvisamente costruito sul campo di gioco conteso. L’eccessiva cupidigia gli aveva distrutto la cosa più importante della vita: il desiderio di dare battaglia per le questioni in cui si crede. “Il denaro è la cosa più volgare e odiosa che ci sia perché può tutto, perfino conferire il talento”, ha scritto Fedor Dostoevskij nell’ ”Idiota”, lasciando intendere, forse in chiave troppo pessimistica, che allo strapotere del denaro, alla fine, non ci si può opporre. Ma il grande scrittore russo, nello stesso romanzo, ha anche scritto che “la bellezza ci salverà”. Il calcio non ha bisogno delle ambizioni di uomini che con i loro soldi promettono miraggi, ma ha bisogno dei sogni dei suoi tifosi.
Aveva ragione Walt Disney quando sosteneva che “ogni sogno ha bisogno degli uomini perché diventi realtà”. Attenti, quindi, a perdere il desiderio di bellezza. Se perdiamo il senso della bellezza, allora smettiamo anche di essere, e quindi non ci rimane altro che di sopravvivere.
Di Anthony Weatherill
(collaborazione di Carmelo Pennisi)
Anthony Weatherhill, originario di Manchester e nipote dello storico coach Matt Busby, si occupa da tempo di politica sportiva. E’ il vero ideatore della Tessera del Tifoso, poi arrivata in Italia sulla base di tutt’altri presupposti e intendimenti.
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