Quando si parla di bene comune, si parla di una cosa di cui la gente non può fare a meno e che, di più, ne avverte proprio come una necessità. E allora va bene gestire l’acqua con un sistema imprenditoriale, ma proprio perché senza l’acqua non si può vivere ogni governo che si rispetti mette dei limiti a chi gestisce privatamente questa preziosa risorsa naturale. E mentre il patron azzurro parla ai quattro venti di una riduzione della Serie A sedici squadre (come già fatto nel cinema italiano: meno siamo a spartirci la torta, meglio stiamo) e di scudetti rubati dalla Juventus, nessuno gli ricorda di aver posto il controllo del club partenopeo sotto una fiduciaria (Cordusio Fiduciaria) depositata nella filiale Unicredit di Milano, che controlla la Filmauro, che controlla il Calcio Napoli. Ci si trova, quindi, di fronte all’irresistibile paradosso di una società di calcio molto importante, quindi bene comune, di cui è impossibile sapere, vista la natura giuridica di una fiduciaria, la persona o l’elenco delle persone che effettivamente ne dispongono a livello proprietario.
Ma questo surreale regno di opacità, sembra importare poco agl’organi sportivi e ai giornali, in teoria guardiani della pubblica opinione su tutto ciò che riguarda i beni comuni (è davvero incredibile come nello sport, ipotetico regno del fairplay, possa aver trovato posto una fiduciaria). Viene il sospetto (“a pensar male…" ecc, diceva il Divo Giulio) di un lasciar fare da parte di Malagò e compagni (mi scuso con Malagò se per un attimo l’ho definito “compagno di compagni”), per poi in seguito poter tramutare questo lasciare fare in diversi lasciapassare da riscuotere verso cose alle quali tiene, vedi la nomina di Gaetano Miccichè alla presidenza della Lega A.
“Noi dovremmo dare come vorremmo ricevere, allegramente, rapidamente, e senza esitazione”, disse Lucio Anneo Seneca, facendo così assurgere al rango filosofico il famoso adagio “do ut des”, a cui molti della classe dirigente italica da decenni guardano come al senso di una rivelazione. Ma Seneca, oltre ad essere un filosofo, era anche un politico, convinto come le parole e la semantica, in politica e nella vita, a volte potessero rivestire lo stesso significato di uno spot pubblicitario. Non deve sorprendere, quindi, l’uscita baldanzosa di qualche anno fa di De Laurentis, una baldanza simile più a quella del “Miles Gloriosus” che a quella di “Capitan Fracassa”, sulla sua volontà di istituire “La Scugnizzeria” (eh, la semantica), un settore giovanile dove formare i futuri campioni napoletani del domani. E siccome in Italia ormai è diventato più importante annunciare che fare, nessuno ha notato la mancanza, non dico di un progetto ipotetico, ma di una qualsivoglia traccia dell’annunciata “Scugnizzeria”. Anzi, uno dei tanti paradossi del Napoli è avere nella formazione titolare un solo giocatore italiano, il napolenatissimo (e a volte contestatissimo) Lorenzo Insigne. Di altri scugnizzi, al momento, non se ne ha notizia.
Ma la vita, per il presidente del Napoli, è davvero tutto un cinema, dove in un secondo il buono può scoprirsi cattivo o viceversa, e dove ciò fino ad un attimo prima presentato come vero, ad un tratto, lo si vede tramutarsi in verosimile. Ecco perché non ha avuto problemi a smentire prontamente le accuse di Torino e Bologna di aver fatto pressioni indebite sui calciatori Nikola Maksimovic e Amadou Diawara per passare a vestire i colori azzurri del Napoli. Lui, De Laurentis, era stato solamente più lesto di tutti ad approfittare del dileguarsi dagli allenamenti di Torino e Bologna dei due giocatori. In fondo la vita è una grande sceneggiatura, basta trovare l’uomo giusto che la scrive e un pubblico disposto ad accettarla. Ovviamente anche allora nessuno dalla Federazione si mosse ad indagare su queste manovre di mercato. In fondo siamo nel Paese dove avvenne il ratto delle Sabine e, quindi, cosa vuoi che siano due giocatori in confronto ad una torma di donne rapite per dare futuro e gloria alla città fondata da Romolo.
Le benedette regole sembrano davvero non importare a nessuno, e quindi diventa del tutto normale che il laureato Giorgio Chiellini proclami soddisfazione per il 36esimo scudetto vinto della Juventus e fornisca un'epica risposta al giornalista Riccardo Cucchi che gli ricordava di avere due scudetti in meno: “glissiamo”. Eh sì, meglio glissare, meglio non avere memoria. Vediamo un film, parliamone per una sera, poi passiamo ad un altro film. Sanciamo definitivamente che lo sport, tipica metafora della vita, è diventato uno spettacolo. E in uno spettacolo, va bene anche un allenatore del Crotone accusare velatamente la Fiorentina di aver fatto vincere il Cagliari. In una sceneggiatura è lo scrittore che decide la trama, le regole, i personaggi. In essa tutto può cambiare e nessuno paga, tranne lo spettatore deciso a seguirne le vicende. Egregio Aurelio, forse lei e Massimo Ferrero siete la panacea del calcio italiano, visto che proprio in un film italiano si vendeva la Fontana di Trevi ad un ingenuo turista americano. Le cose verosimili ben raccontate sono diventate più importanti della verità. E allora non importa se forse lei più che fare film americani al massimo li distribuisce, non importa se occupa a natale numerose sale per un collage di film già visti, non importa se non sappiamo cosa ci sia dietro la fiduciaria della sua società, non importa se promette uno stadio nuovo mai fatto. Importa gridare “al ladro” e, guardandosi intorno, cercare una nuova sceneggiatura da raccontare. “Pensa a quanto è saggio un topolino: non affida mai la sua vita a un solo buco”, scrive Plauto nel “Truculentus”. Per il resto, come direbbe il dottor Giorgio Chiellini, glissiamo.
(ha collaborato Carmelo Pennisi)
Anthony Weatherhill, originario di Manchester e nipote dello storico coach Matt Busby, si occupa da tempo di politica sportiva. E’ il vero ideatore della Tessera del Tifoso, poi arrivata in Italia sulla base di tutt’altri presupposti e intendimenti.
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