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Probabilmente non molti sanno l’importanza di questi uomini per la rinascita italiana del dopoguerra. Come ammesso dallo stesso De Gasperi, le “rimesse” da questi inviate alle loro famiglie rimaste in Italia, furono fondamentali quasi quanto il “Piano Marshall”, perché ebbero il pregio di essere valuta immediata da immettere nel panoramico economico devastato di un Paese uscito stremato dalla Seconda Guerra Mondiale. Uomini a cui, prima della partenza, erano state fatte promesse non mantenute. L’obbligo di lavorare almeno cinque anni in miniera, altrimenti c’era la prigione e poi l’espulsione dal Belgio, è una vergogna che rimarrà per sempre in quella oggi definita “Comunità Europea”. Felice Mazzù scopre subito di non avere molto talento come calciatore, e quindi a ventisei anni si scopre con il sogno di diventare allenatore. Parte dal basso, ma figuriamoci se per il figlio di un minatore ciò rappresenti un problema, e si fa notare subito per una caratteristica: le squadre da lui allenate spesso vincono. Con una di queste squadre, il White Star, elimina in Coppa del Belgio addirittura tre squadre della massima serie belga, che gli fa giungere un’offerta dallo Standard di Liegi, una delle squadre più importanti del Paese. Ma lui,pensate un po’, rifiuta l’offerta perché ritiene come al White Star il suo lavoro non sia finito: “nove persone su dieci – dichiara – avrebbero accettato, io sono l’eccezione”(eh, i valori dei figli dei minatori. Non c’è falsa retorica sul professionismo a poterli minare). Finito il lavoro al White Star, Mazzù approda al Charleroi, guidato fino ad una storica qualificazione in Europa League, esprimendo un gioco brioso e valorizzando numerosi giovani talenti. E’ il periodo in cui Salvatore e sua moglie vengono riempiti di complimenti per le vie di Charleroi, dove tutti fanno la corsa per offrirgli qualcosa al bar e dove al mercato gli è quasi impossibile pagare. Non male per un uomo che, non appena giunto in Belgio nel 1952, gli era stato riservato come alloggio un baracca senza corrente e servizi igienici. Quando lascia Charleroi per il Genk e la sua prima Champions League, saluta i tifosi con una lunga lettera conclusa con un “vi amo”. Ringrazia tutto il club e la città, e perfino le sue origini da minatore: “Se guardo indietro vedo il carbone, la mia storia”. Non ci sono davvero parole sufficientemente buone per descrivere un uomo così. “Ho una sola missione – dice Felice in un attimo di confidenza -, ed è quella di rendere fiero mio padre”. E allora, con la collaborazione del giornalista Jean Derycke, scrive un libro con un titolo che è una dichiarazione d’amore filiale e per il suo Paese d’origine: "Papà, ti prometto che un giorno allenerò in Serie A”. Duecento pagine di cuore, memoria, sogni e visioni. Ogni club calcistico italiano(magari il Toro, quando il ciclo Mazzarri sarà concluso), per come la vedo io, dovrebbe essere onorato di provare a far sedere sulla sua panchina il figlio del minatore Salvatore. Chi lo farà, oltre ad ingaggiare un grande allenatore, avrà indietro le visioni di un uomo vero, di un uomo di cui sia il calcio sia la società italiana avrebbero urgente bisogno. Il club italiano che realizzerà la promessa fatta da Felice a suo padre, avrà il merito di riportare a casa un figlio di quell’Italia che ha lottato per ristabilirne la dignità e l’onore. Già, ritornare a casa… forse un giorno tornerò in quel bar elegante di Fincheley Road, e forse troverò l’attimo giusto per mettere una mano sulla spalla del signor Costa, per dirgli: “hai già dato tutta la malinconia che potevi dare all’Inghilterra. Spegni quel monitor. Torna a casa. Torna in Grecia”. Perché tornare a casa, alla fine, è veramente l’unica cosa che conta. Se non ci credete, provate a chiedere ad Ulisse.
Di Anthony Weatherill
(ha collaborato Carmelo Pennisi)
Anthony Weatherhill, originario di Manchester e nipote dello storico coach Matt Busby, si occupa da tempo di politica sportiva. E’ il vero ideatore della Tessera del Tifoso, poi arrivata in Italia sulla base di tutt’altri presupposti e intendimenti.
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