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Quando ero piccino mi ricordo che giocarono alcune finali di Coppa Intercontinentale in Giappone e io mi chiedevo come potessero questi "deficienti" (e lo pensavo nel senso letterale del termine perché deficitavano di cosa volesse dire essere il pubblico sugli spalti di una partita di calcio) passare tutti i novanta minuti a suonare ininterrottamente le trombette. Era evidentemente la loro maniera di vivere l'evento, una maniera figlia delle proprie abitudini culturali nell'approccio ad una partita di calcio, sport al quale erano di sicuro meno avvezzi di noi europei. Da noi lo stadio è stato tristemente per anni teatro di scontri politici, di violenze inaudite e di pessima gestione degli eventi di massa. Sono d'accordo nel modernizzare le strutture (e l'Atalanta fa scuola regalando ai suoi tifosi più "caldi" una curva da sogno, quella del nuovo ristrutturato stadio Atleti Azzurri d'Italia, dove peraltro non credo che qualcuno sieda nel posto indicato dal biglietto…) e nel fare una campagna di sensibilizzazione perché la violenza resti fuori dagli spalti, ma non si può toccare quel patrimonio culturale che sono le tifoserie delle squadre di calcio. Se il calcio genera milioni e milioni di euro è per la passione di milioni e milioni di tifosi. Nessuno metterebbe passione in uno spettacolo finto. E nessuno si appassionerebbe ad uno sport se non ci fosse un minimo di immedesimazione tra chi va in campo e chi tifa sulle tribune. Ancora più subdolo, poi, provare sempre in nome della "normalizzazione" degli eventi sportivi a eliminare pretestuosamente il dissenso ed il diritto di critica all'interno degli stadi. Sono sanzionati i cori, sono vietati gli striscioni con contenuti non approvati dalle autorità, bisogna essere schedati per assistere ad un incontro: pare il resoconto di una normale giornata in Nord Corea più che il regolamento d'uso di uno stadio italiano. Andrà a finire che faremo come in epoca risorgimentale dove per esprimere dissenso contro il regime austro-ungarico, senza incorrere in sanzioni molto più pesanti di un daspo, lombardi e veneti inneggiavano a Giuseppe Verdi sfruttando il cognome dell'allora popolarissimo compositore italiano come acronimo di Vittorio Emanuele Re D'Italia. Un Verdi noi ce l'abbiamo (ed è pure bene incitarlo nella speranza che prima o poi faccia la differenza in campo). Sugli acronimi invece si può lavorare. La fantasia a noi tifosi granata, in effetti, non è mai mancata…
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