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Lavagnetta Granata

Lavagnetta Granata: preoccupazioni generali in vista della Fiorentina

Lavagnetta Granata: preoccupazioni generali in vista della Fiorentina - immagine 1
Il 5-0 subito a San Siro ha lasciato cicatrici profonde: più che una sconfitta, un campanello d’allarme. Ora il Toro deve ritrovarsi e reagire, perché domenica contro la Fiorentina si gioca molto più di tre punti
Riccardo Levi

Lunedì scorso è iniziata la stagione di Serie A 2025/26 per il Torino e, se il detto vuole che chi ben comincia è a metà dell’opera, verrebbe da dire che forse è il caso di ripensare seriamente alle fondamenta del progetto. I granata tornano da San Siro con un pesantissimo 5-0 subito dall’Inter e, seppur contro un avversario di categoria superiore, ciò che fa arrabbiare e riflettere è la natura dei gol incassati: tre arrivati da clamorosi regali nella costruzione dal basso e gli altri due da errori individuali sulle palle alte. Una partita che, purtroppo, non è solo una sconfitta, ma che rischia di essere lo specchio di problematiche più profonde. Ad esempio, come già accennato in precedenti articoli e ribadito da Masina in conferenza post-partita, la squadra appare indietro di condizione e preparazione: a questi livelli è impensabile competere non solo contro chi lotta per scudetto e Champions, ma persino contro la media Serie A. Un risultato che brucia ancora di più pensando ai 2.290 Granata presenti nel settore ospiti del Meazza, venuti a sostenere e incitare la squadra senza ricevere in cambio nemmeno un segnale di reazione: una mancanza che fa ancora più male perché va a toccare quello “spirito Toro” che questa piazza dovrebbe simboleggiare.

Qualche considerazione personale

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Sono settimane che l’intera tifoseria discute dei limiti difensivi di questa rosa affidata a Baroni. A pochi giorni dalla chiusura del mercato, con 14 reti subite in 4 delle ultime uscite (6 dall’AS Monaco in due uscite, 3 dal Valencia e 5 a San Siro), i dubbi sulla solidità della retroguardia non possono che aumentare. Anche in ottica calendario le prospettive non sono rosee: eventuali innesti avrebbero comunque bisogno di tempo per integrarsi e, nel frattempo, 5 dei prossimi 6 impegni vedono il Toro opposto a squadre di alta classifica.

I corner e le palle alte

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Tra i punti più preoccupanti c’è la gestione dei piazzati difensivi. La scelta di Baroni di schierare le torri granata interamente a zona sulla linea dell’area piccola, lasciando ampi spazi liberi e affidando i restanti giocatori alla marcatura a uomo, non paga né in caso di cross a rientrare né ad uscire. L’esempio lampante è il gol di Bastoni: ottimo stacco, certo, ma marcato da Simeone – l’uomo meno adatto – mentre Masina e Biraghi, incaricati di presidiare il secondo palo e l’area piccola, hanno reagito con imbarazzante passività. Qui non si parla solo di limiti individuali, ma di una mancata assimilazione dei principi tattici dell’allenatore, mi auguro. Nei casi di cross ad uscire, invece è lampante l’occasione di Acerbi al 43’ su cui compie un vero e proprio miracolo Israel: inevitabilmente quando la disposizione difensiva lascia buchi all’altezza del dischetto, i nerazzurri, fisicamente e tecnicamente superiori, non possono che approfittarne.

Il peso dell’ambiente e la sfida con la Fiorentina

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Oltre la tattica, a pesare davvero è l’ambiente. Attorno al Torino si respira un’aria di delusione, stanchezza e sfiducia già in partenza: una nube che si riflette inevitabilmente sulle prestazioni. I giocatori sembrano percepire questa rassegnazione e ne escono svuotati, spenti, incapaci di incarnare quella passione che da sempre è forza motrice della Torino granata. Persino Baroni, nella sua prima uscita ufficiale, è parso privo di quella personalità capace di trasformare la rabbia in energia e di alimentare la reazione. Anzi, la sua gestione emotiva ha dato l’impressione di smorzare ulteriormente lo spirito della squadra, come un tappo che frena l’esplosione di emozioni che il Toro dovrebbe sempre portare in campo. Penso sia proprio per questo che la sfida contro la Fiorentina, seppur sia oggettivamente troppo presto per fare valutazioni dettagliate, sia già un test decisivo. Non si tratta solo di punti in classifica: servirà infatti una risposta collettiva, uno scatto d’orgoglio che parta dalla squadra e arrivi fino alla curva. Perché se questo ambiente rimane apatico, il rischio è di cadere in un limbo di mediocrità che significherebbe lo sgretolamento dell’identità granata: un qualcosa che in una piazza come Torino non può e non deve accadere.

In attesa del fischio di inizio

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Contro l’Inter si è visto un centrocampo a tre, ma domani gli interpreti potrebbero cambiare radicalmente. Nonostante le voci di mercato che lo danno in uscita, Ivan Ilić resta un giocatore capace di sprazzi di qualità importanti, e non lo escluderei a priori: la sua partenza a pochi giorni dalla chiusura del mercato, unita alla mancanza apparente di offerte concrete, rende infatti la sua permanenza in granata lo scenario più probabile. In mediana, invece, l’attesa è tutta per l’esordio di Kristjan Asllani: reduce dall’esperienza all’Inter, il regista albanese può diventare il vero metronomo della manovra granata e restituire ordine a una squadra che nel complesso è apparsa in grave difficoltà. A destra, dopo la prova incolore di Casadei – apparso spaesato nonostante fosse nel suo ruolo naturale – Baroni potrebbe affidarsi al nuovo arrivato Tino Anjorin, che all’Empoli ha mostrato qualità palla al piede e buona propensione offensiva. Un aspetto, quest’ultimo, che il Toro non può permettersi di trascurare: perché se è vero che il mercato estivo ha puntato con decisione sull’attacco, i numeri tra precampionato, Coppa Italia e debutto in Serie A non hanno fin qui confermato quelle aspettative. Anche per questo la scelta dell’undici titolare di domani sarà un segnale non indifferente: non basta schierare l’abbondanza offensiva né ha senso barricarsi in difesa, serve trovare la formula giusta per far girare una rosa che oggi pare un macchinario arrugginito.

Più che mai, oggi, il Torino ha bisogno di ritrovare sé stesso. So che può sembrare paradossale ma, a parer mio, domani non saranno i moduli o gli schemi a fare la differenza: servono coraggio, unità e la capacità di guardarsi negli occhi per reagire come gruppo. È un banco di prova tanto per i giocatori quanto per l’allenatore, ma anche per la società, chiamata a dare segnali concreti. Perché il rischio, se non si accende una scintilla subito, è che il Toro finisca a recitare il ruolo che più teme: quello della comparsa silenziosa. E questo, da appassionato calcistico ancor prima di tifoso, non può essere accettato.