Ieri sera i granata dopo il gol del Bologna non hanno più lottato. Un atteggiamento inaccettabile e che non rispecchia i valori che hanno sempre distinto il Toro
Dopo il 4 maggio 1949 il Torino, pur faticando tantissimo, è rinato dalle ceneri di Superga e nel giro di diciannove anni è tornato a vincere una Coppa Italia. Dopo l’incidente che tolse la vita alla Farfalla Granata Gigi Meroni, i suoi compagni lo ricordarono vincendo un derby per 4-0 alla settimana successiva. Dopo la morte di un simbolo come Giorgio Ferrini, nel novembre 1976, il Toro condusse un campionato migliore di quello precedente che aveva portato allo scudetto, facendo cinque punti in più (per poi perdere il titolo, ma questa è un’altra storia). Dopo il fallimento del 2005, una squadra costruita in venti giorni, quella guidata da Gianni De Biasi e dal capitano Oscar Brevi, ha saputo compattarsi e conquistare un favoloso ritorno in Serie A.
Questa premessa serve a far notare che mollare al primo episodio negativo è un peccato grave se commesso dal Torino, perché va contro a quello che è il dna di questa società, abituata sempre a risorgere dopo le difficoltà. Questo peccato è stato commesso troppo spesso nell’attuale campionato dal Torino di Juric. Quello di Bologna, dove gli undici giocatori con la maglia granata sono spariti dal campo dopo il (grave) errore di Gemello, è solo l’ultimo caso. Qualcosa di simile era successo anche in casa della Lazio, nel derby contro la Juventus, in casa contro l’Inter ma anche in Coppa Italia contro il Frosinone (in quel caso, l’episodio che destabilizzò l’equilibrio dei granata fu il rigore dato e poi tolto dall’arbitro).