Quando nel 2011 la Qatar Investment Autorithy (il ricchissimo fondo sovrano qatarino) acquisisce la proprietà del Paris Saint Germain, nessuno immagina lo stravolgimento che da lì a poco avverrà nella compravendita giocatori del mercato dei club europei. Nessuno immagina come, attraverso un aggressivo doping finanziario effettuato attraverso uno dei più ricchi fondi sovrani del mondo, si stia per cambiare l’ordine naturale delle cose. Forse si è peccato di immaginazione e capacità previsionale, perché ci si trovava di fronte ad una nuova proprietà, quella del fondo sovrano del Qatar, proveniente da un Paese dalle connotazioni culturali fortemente islamiche, dove la teocultura è un naturale caposaldo sociale. Nessuno poteva davvero supporre che un forte contributo alla spoliazione del tessuto metafisico del calcio potesse essere messo in atto proprio da uomini provenienti da un Paese dove il rapporto tra cielo e terra è prassi quotidiana, e regolata da leggi, consuetudinarie e non, ferree. “Quando si parla di economia nell’islam- ha spiegato recentemente in una conferenza universitaria il prof. Sharif Lorenzini, presidente della comunità islamica in Italia -, non si può prescindere da quelle che sono le basi fondamentali ed i principi religiosi che le appartengono. L’islam è una norma della vita stessa, è una forma che si manifesta in ogni aspetto dell’esistenza umana. La legge canonica islamica – ha puntualizzato il prof. Lorenzini – spiega chiaramente il valore dei soldi e del capitale, la relazione tra rischio, profitto e le responsabilità sociali delle istituzioni finanziarie e degli individui”. Ammetto, pur non essendo mussulmano, di essere rimasto colpito dal riferimento alle “responsabilità sociali” a cui chi occupa responsabilità nella finanza deve attenersi; una stupefacente asserzione del denaro elevato a bene comune, piuttosto che a unità di misura del merito individuale.
Un rovesciamento dell’etica protestante di Max Weber, notevole fonte d’ispirazione tutto il capitalismo occidentale, che ha posto il denaro più come segno della grazia di Dio invece di strumento di bene comune. Queste considerazioni istintive non mi hanno portato nella scivolosa via del tentare di stabilire se sia più efficace l’etica protestante di Weber o la legge canonica islamica(compito risultato improbo persino a menti infinitamente migliori della mia), ma a pormi delle inquietanti domande: cosa mai sarà successo nella testa dei dirigenti qatarini del Paris Saint Germain? Come hanno potuto dimenticare le lezioni che, immagino, hanno ricevuto nelle loro scuole coraniche? Perché stanno contribuendo a destrutturare una delle poche componenti metafisiche, il calcio, rimaste nell’occidente secolarizzato e postmoderno? Quali motivazioni li hanno spinti ad essere in evidente contraddizione con i dettami della loro teocultura? Forse il virus della società liquida prefigurata da Bauman, li “corrompe” non appena mettono piede in occidente per fare affari? E’ impressionante, almeno per me dotato di una loro buona conoscenza per lunga e continua frequentazione, vedere, nelle vicende del Paris Saint Germain, un disinvolto e spregiudicato utilizzo di risorse finanziarie che invece di avvicinare l’uomo al cielo, come aspirerebbe una società teoculturale, lo induce a ritenere sia la terra l’unico metro di riferimento. Non è forse questo il rimprovero più polemico dell’islam alla cultura occidentale, specie quella americana? Se il Qatar voleva, e vorrebbe, utilizzare il calcio come mezzo di espansione della cultura islamica nel vecchio continente, siamo presente al più classico dei casi di eterogenesi dei fini. Sarebbe stato interessante vedere nel nostro calcio un approccio etico e culturale diverso dal nostro, giusto per avere uno specchio riflettente immagini in modalità diverse dal consueto(il confronto con realtà diverse dalle nostre è sempre benefico), ma non è andata così.
L’esempio del Paris Saint Germain, e anche quello del Manchester City, ha dimostrato che nemmeno manager provenienti da società non secolarizzate sono immuni dalla devastazione etica operante in modo progressivo nel mondo del calcio. La cosa sa di occasione sprecata. Rimangono i tifosi, gli unici davvero ancora interessati a preservare il mito, l’Idea e la tradizione. I tifosi, o almeno gran parte di essi, nel calcio continuano a difendersi, come cittadini di questo mondo, da tutte quelle forze che vorrebbero estraniare l’uomo da sé stesso. Questo tempo malsano, voglio tenacemente sperare, passerà e allora ci sarà bisogno di chi avrà i giusti elementi per ricostruire l’anima del nostro amato gioco. Nei miei sogni più arditi, e forse esageratamente ingenui, auspico un tempo dove le tradizioni saranno riaffermate da chi le ha custodite da sempre. I tifosi, come coloro che costituirono il calcio da metà ottocento, torneranno a piantare le premesse per riprendere a raccontare le gesta del gioco più bello del mondo. “Ci sono cose – ha scritto Veneziani – che sfuggono alla fisica del mondo, presenti nella loro assenza, visibili nella loro invisibilità. E sono le cose essenziali, decisive, fatali, che destinano il corso della vita, della morte, del mondo”. A me queste parole hanno ricordato il fantastico incedere sul campo di George Best. Se qualcuno ha scritto tali parole, forse non è troppo tardi per recuperare.
(ha collaborato Carmelo Pennisi)
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