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Autografi in vendita e il miracolo Mjallby
“I miracoli sono sogni
che diventano luce”
Alan Drew
“Ogni gol è ineluttabilità, folgorazione, stupore, irreversibilità”, scrive Pier Paolo Pasolini, riuscendo con il suo genio a contingentare in poche parole il successo e l’anima del calcio. L’ineluttabile scorrere del tempo, poi, ci pone anche davanti a dei cambiamenti capaci di entrare nelle nostre vite con i modi felpati da sicario. Ci si trova tutti nella stessa situazione davanti alle “sintesi” della modernità, che sono molto più veloci nel loro succedersi rispetto a quelle manifestatesi fino alla prima metà dell’ottocento. C’è sconcerto ed entusiasmo, e anche una curiosa tendenza, almeno in alcuni, di voler trattenere il passato. Addirittura lo si vuole rappresentare, e quindi l’arcaico diviene l’ultima delle ribellioni sincere alla modernità. Riviene su di nuovo Pasolini, quando sottolinea che “oggi la rivoluzione è rifiutare l’ineluttabilità, chiedersi continuamente se un altro mondo è possibile”.
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La vittoria del piccolo Mjallby nel campionato svedese pare una fiaba tra le tante fiabe, e come ogni fiaba ci porta con il pensiero alla narrazione originaria di ogni nostro passato, alla genesi di ogni nostra voglia di sperare una fine lieta, pur partendo da una posizione di svantaggio estremo. La fiaba si ribella al concetto di verità come stazione d’arrivo dal sapore fideistico di ciò che deve accadere, ma essa è dimostrazione della nostra volontà di dimostrare di potercela fare. Non siamo la somma del caso, ma siamo la speranza delle nostre decisioni. Laddove c’è il lavoro dei campi e la pesca, hanno appena dimostrato che si può vincere, che l’ineluttabile esiste solo per gli accondiscendenti. Questi ultimi si preparano a pagare una cifra in denaro, vedremo in quanto sarà calcolata, per pagare un autografo del baby fenomeno del Barcellona Lamine Yamal, manifesto di una integrazione riuscita attraverso il saperci fare con un pallone. Se sei lesto e sveglio la vita del neoliberismo e del commercio sperequativo del tuo talento, ti porta fuori in un attimo dalla “banlieu esistenziale” in cui sei incastrato sin dalla nascita. I club riempiono di soldi i loro calciatori e i loro procuratori, e continuano a farlo anche se realtà come il Barcellona sono tra le più indebitate del pianeta. Devono strapagarlo Yamal, altrimenti potrebbe andarsene nelle braccia di qualche sirena araba, che sta buttando soldi nello sport come non ci fosse un domani. Ma che tipo di fiaba è questa?
In nessuna fiaba all’eroe sarebbe consentito di vessare i sentimenti e l’empatia. Una volta l’arte trionfava sulla spazzatura e la magia soggiogava la brutalità, ed era giustizia che si riversava, curandole, sulle ferite della marginalità, convincendo che dietro ogni croce poteva esserci una resurrezione. Ma cosa è questo pagare per una firma? Come si è arrivati fino a qui? E perché stiamo preparandoci ad accettarlo? Bruti e incoscienti stiamo confondendo il progresso con la sopraffazione dei vincitori sui vinti, e il commercio senza regole etico/morali come la giusta mercede dei più adatti. “Se l’amore è brutale con te, sii brutale con l’amore”, intuisce William Shakespeare nella sua prosa di “Romeo e Giulietta”, invitando tutti noi a mettere un freno anche alla nostra empatia, prima che diventi una malattia irreversibile. I 1485 abitanti di Hallevik e i poco meno di 8.000 di Solvesborg ruminano quotidianità da “Sabato del Villaggio”, e se ne fregano dei soldi dei fondi di investimento o degli arabi, dei diritti esasperati della tv, del colabrodo etico/morale responsabile della trasformazione del calcio in cornucopia inesauribile di tutti coloro uniti da un solo comune denominatore: fottersene del mondo.
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Eppure il calcio ha ancora una capacità di resistere all’ineluttabile, nonostante abbia venduto il divino al marketing. Vogliamo competere per provare a vincere, non per vincere a tutti i costi e far diventare tutto uno spettacolo moltiplicatore di soldi. Assistiamo così ad un Barcellona affossato in un pozzo di debiti senza fine, mentre un giovanotto di 18 anni, grazie al “medio scenico” del Camp Nou e ad una maglia tra le più prestigiose al mondo, guadagna quindici milioni di euro netti l’anno più bonus. Cosa c’è che non va in questo meccanismo da “luddismo” dei piedi, è proprio il Mjallaby a raccontarcelo con la sua protesta operaia stavolta non contro la meccanizzazione della produzione, ma in quanto sberleffo alla finanza che pensa di fare con il calcio, attraverso il marketing, tutto quello che vuole. Sono eroi anche i giocatori della squadra svedese, e lo sono in primo luogo per gli abitanti di Hallevik e Solvesborg, che non dimenticheranno mai la gioia di un campionato vinto iniziato con qualcosa che va oltre la condizione di “underdog”. Pensate: i tifosi avranno chiesto autografi "a go go" e non li avranno nemmeno pagati, eppure potete star certi che questi, tra una trentina d’anni da oggi, avranno un valore ben superiore a quelli messi in vendita da Yamal. Gli autografi dei giocatori del Mjallaby avranno sempre con sé il valore dell’impresa che diventa leggenda, e c’è da riflettere sul fatto come il grande calcio è proprio il valore del racconto, quello che sta progressivamente perdendo. Mark Twain ricorda che “l’uomo è l’unico animale capace di arrossire, ma è anche l’unico ad averne bisogno”; chissà cosa direbbe oggi di fronte alla scomparsa del rossore dal volto umano, colpevole dell’averci privato di quel pudore e alla retrocessione all’istinto selvaggio del mondo animale. Non c’è più la ragione nell’accumulo senza senso, solo l’istinto dell’ingordigia a prevalere su qualsiasi cosa che in questa parte di mondo ha sconfitto ogni motivo immateriale per cui si fanno le cose.
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L’argentino Giovanni Simeone ha impressionato molto per il suo racconto delle sue continue visite a Superga, dove il Grande Torino non ha lasciato solo la vita ma anche la sua aura. “Ci vado spesso - ha raccontato l’attaccante argentino - perché lì sento una forte energia, una cosa che mi da pace”, sarà l’incanto di essere nato a Buenos Aires, dove nostalgia e cinica realtà continuano a rincorrersi con la prima a riuscire sempre a vincere, ad aver fatto afferrare all’istante al “Cholito” un sentimento necessario per arrivare alla fine della corsa e sentire una soddisfazione nell’animo. Parole profonde, quelle del giocatore argentino, di chi sa quanta tenacia ci vuole a volte per vivere, la respiri ovunque nella Buenos Aires di Osvaldo Soriano e di Hector Oesterheld, dove dolore e gioia si mescolano e profumano di vita vera. Non c’è molta differenza tra il culto del “barrio” e quello del mare della penisola di Hallevik, tutto è perimetro dell’esistenza dove recuperare il rossore di cui parla Mark Twain, è condizione necessaria per essere delle persone empatiche con il destino degli altri.
Yamal ha fatto diventare il “mi fai un autografo” un anacronismo, e persino aspettare i giocatori fuori dallo stadio fra poco diventerà qualcosa di scarso valore. Quando è cominciato tutto questo? Qualcuno potrebbe dire "la solita invadenza della tv", ed in parte avrebbe anche ragione, ma in realtà sono stati gli arabi ad aver demolito lo sport moderno, ad averlo coperto di soldi per poi averne preteso la sua trasformazione in spettacolo, uno spettacolo quasi da scimmie ammaestrate. Perché cosa è se non questo il più che munifico “Six Kings Slam” di Ryad, un torneo che con il tennis e la sua storia non ha niente da spartire, ma che a Jannik Sinner ha regalato sei milioni di dollari più una racchetta d’oro. “È un miracolo che io non abbia rinunciato a tutte le mie speranze perché esse sembrano assurde e inattuabili”, scrive Anna Frank in pieno incubo della sua condizione di ebrea sotto i nazisti, e allora le vittorie come quelle del Mjallby danno sollievo al ricordo della ragazza resa immortale dalla persecuzione e dal dolore, proseguendo la catena della speranza di una umanità che non si vuole arrendere alle sue debolezze. Anche i giocatori del Villareal e del Real Betis che restano fermi quindici secondi all’inizio della loro partita, per protestare contro la decisione di giocare Villareal-Barcellona a Miami, sono un altro segno di speranza. Fare la storia e non comprare la storia, questa sarà la sfida dei prossimi anni in tutto il mondo dello sport, ed è una sfida che coinvolge anche e soprattutto i tifosi. Proviamo a vincerla.
Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.
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