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Ma l’Avvocato non dimentica il resto della trimurti del calcio latinoamericano, ovvero Brasile e Uruguay, dove quest’ultimo è condannato ad essere dirimpettaio dell’Argentina senza poter eguagliarlo in follia e nel buttarsi costantemente nel turbinio della vita senza paracadute. L’affabulazione allora, come una prodigiosa macchina del tempo fatta di parole, torna indietro alle Olimpiadi di Parigi del 2024 e il lirismo esalta certo le prodezze sportive di Josè Leandro Andrade, la “Maravilla Negra” mito del calcio uruguagio di ogni tempo, ma soprattutto la travolgente storia d’amore nata tra i tavoli di un locale notturno con Josephine Baker, iconica figura dell’arte dell’intrattenimento francese ed eroe della resistenza al nazismo. La “Venere Nera” e la “Maravilla Nera”, pare un destino ineludibile nell’incrociarsi e Buffa non riesce a trattenere l’ammirazione mentre lo racconta; la schiavitù nera innervata nella storia di tutto il continente americano riscattata per un attimo grazie al pallone e alla musica, le due tra le tre grandi passioni dell’avvocato prestato al giornalismo, la terza è il basket americano, lo sport che lo ha redento dalle aule di tribunale e per nostra fortuna ce lo ha consegnato al racconto. “Mi innamorai del basket quando vidi giocare a Milano Charles Lee Jura, Aveva i capelli così lunghi che sembrava un Nazareno”, e mentre lo racconta colpisce il riferimento all’iconografia dell’Uomo di Nazareth, istintivamente non portato a caso in analogia considerato come quel giorno probabilmente era avvenuto il miracolo: stava nascendo il Federico Buffa “storyteller” dello sport. L’America giusta gli regala il vero amore, ovvero quello sport frenetico ma in eterno surplace che è il basket. La mano che si piega mentre il pallone parte verso il canestro è la sospensione di un momento irripetibile, l’attendere qualcosa impossibile per la fisica ma assolutamente naturale per la fede. Il basket interrompe il predominio britannico sullo sport moderno, perché finalmente gli Usa riescono ad esportare nel globo uno sport inventato da loro. “Lascia che la partita arrivi a te”, è la frase di Phil Jackson, guru della palla a spicchi a Stelle e Strisce, ripetuta come un mantra buddista da Buffa ogni volta che si accosta a narrare di sport. Non bisogna mai dimenticarlo come gioco, è il gioco a creare l’epica e ad entrare nell’epopea: tutto si sviluppa nel gioco. Il basket è il cuore, ma l’anima di Buffa sta in Argentina, omaggiata dal suo aver imparato la lingua spagnola persino con l’accento perfetto da nativo “Castigliano”(ne rimase colpito Luis Enrique nel corso di una intervista con lui), e lo diverte immaginare Papa Francesco, grande tifoso del San Lorenzo De Almagro, muoversi tra gli scaffali del “Carrefour” adiacente lo stadio a simulare i gol storici della sua squadra del cuore. “Lì, vicino ai pacchi di pasta e alle bottiglie di acqua minerale, un tempo c’erano le porte del “Vejo Gasometro, te lo juro!”, che spettacolo immaginare l’attuale Pontefice dire queste parole. Le necessità della spesa sarebbero venute abbondantemente dopo.
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L’Argentina, nella visione dell’Avvocato, è quel luogo del mondo dove il football prova a resistere ai cambiamenti voluti dal business dei potentati finanziari e dalla Fifa. L’amore per il gioco, profondo e misterioso, riesce ancora a garantire rispetto e dignità alla memoria, e da noi riporta la mente agli scriba di lusso prestati allo sport: Gianni Brera, Giovanni Arpino, Gianni Clerici. Il futuro letterario dello sport lo stanno facendo letteralmente a pezzi i social, dove ognuno è giunto al pensiero assai debole di potersi ricostruire da solo le storie attraverso innumerevoli spezzoni video e fotografici. Niente Arpino, niente Brera, niente Clerici, niente Buffa. Siamo al fai da te esistenziale, e sul serio siamo giunti a ritenere di poter far a meno di un Ernest Hemingway che in un pomeriggio in una “Plaza De Toros” coglie nella “Corrida” l’arte che lega la vita alla morte. I grandi narratori non inventano, colgono cose a noi celate dagli dei e ce le donano nella speranza possano aprire spiragli e completare il puzzle di cui sopra. E il Brasile? Manca il Brasile per completare la trimurti latinoamericana del football. Buffa non si sottrae, e ogni volta che può ci ricorda come la malinconia sudamericana sia attutita dall’allegria “Carioca”. Con il suo “Carnevale” non vissuto come evento ludico, ma come mezzo di esistere. Garrincha o Pelè sono l’incanto descritto da Antonio Carlos Jobim e Vinicius de Moraes nella splendida “Garota de Ipanema”.
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Il calcio brasiliano sta tutto qui, nel cogliere l’attimo magico. Quando Federico Buffa smette di parlare, capisci come tra i tanti personaggi da lui raccontati deve essere stato Ferenc Puskas ad averlo trafitto di dolore. Il grande calciatore ungherese negli ultimi anni della sua vita fu affetto dal morbo di “Alzheimer”. Non ricordava più niente. Il calcio senza memoria è come una rosa senza petali, e davanti alla tomba di Puskas l’Avvocato avrà fatto fatica a non piangere mentre era intento a raccontare la sua storia. Riattaccare i petali ad una rosa a volte si può, Federico Buffa può. Teniamocelo stretto come una speranza.
Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.
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