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I Pandora Papers irrompono nel nostro calcio

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Torna Loquor, la rubrica di Carmelo Pennisi: "Non essendo nato proprio ieri, non mi sono mai molto illuso sul fatto che i ricchi, un giorno, potessero smetterla di voler essere a tutti i costi più ricchi"

Carmelo Pennisi

“Per la nostra avidità

il molto è poco”.

Francisco de Quevedo

Nella conferenza stampa della vigilia di Italia-Belgio dell’ultima “Nations League”, ad una domanda sull’inchiesta giornalistica che parla anche di suoi presunti conti aperti in paradisi fiscali, Roberto Mancini ha risposto con sarcasmo, condito da mezzi sorrisi, di prefigurare una sua mancanza in panca per la partita, “per portare i soldi chissà dove”. Verrebbe da dire come ci sarebbe poco da essere sarcastici ed emuli di “Ridolini”, specie in un momento in cui il “Coefficiente di Gini”, ovvero il sistema statistico ideato per misurare la forbice di diseguaglianza tra ricchi e poveri, si sta sempre più divaricando a sfavore di questi ultimi. Costretti, inoltre, a subire manifestazioni di arroganza anche da un allenatore della Nazionale, che in quanto tale dovrebbe mettere l’etica e la trasparenza al primo posto (spero non ridiate).

Devo confessare, non essendo in tutta evidenza Dio, di non saper dire se l’elusione fiscale rientri come trasgressione del “Settimo Comandamento”, quel non rubare che in quanto a essere trasgredito probabilmente viene subito dopo solo al “Non Commettere Atti Impuri” e al “Non Desiderare la Donna D’Altri”. E non saprei dire cosa potrebbe dire la presunta “Madonna di Medjugorje”, di cui Mancini è molto devoto, riguardo alle innumerevoli società “off shore” aperte dal tecnico Azzurro e dal suo amico Vialli (evidentemente, secondo “L’Espresso”, non solo ex sodali del gol). Per cui, saggiamente, prendo in prestito le parole di Gesù e mi limito a ribadire di dare “a Dio quel che è di Dio, e a Cesare quel che è di Cesare”, e istintivamente vorrei cercare di andare oltre. Sarei pronto a giurarvi di aver fatto di tutto per andarci, facendomi risuonare nella testa ancora una volta le parole di Gesù, e il suo chi “è senza peccato scagli la prima pietra”. Ma poi il quel “date a Cesare quel che è di Cesare” mi ha spinto a considerare una cosa non afferrata immediatamente, ovvero come nelle cose di Cesare sia compreso anche io, e anche noi. E non solo come tifosi, che con la nostra a volte sconsiderata passione abbiamo reso e continuiamo a rendere smodatamente ricchi tutti i Roberto Mancini del mondo, ma soprattutto come cittadini chiamati, Costituzione alla mano, a contribuire progressivamente al benessere della nostra Repubblica (spero continuiate a non ridere).

Non essendo nato proprio ieri, non mi sono mai molto illuso sul fatto che i ricchi, un giorno, potessero smetterla di voler essere a tutti i costi più ricchi. Ad ogni costo, e, se necessario, mettendo da parte principi ostentatamente sbandierati in pubblico. Nel mondo, diceva il Mahatma Ghandi, c’è assolutamente quanto basta per le necessità dell’uomo, ma non per la sua avidità. Bisognerebbe desiderare di meno, ma nell’uomo, come faceva notare Sigmund Freud, esiste da sempre “l’avidità primitiva del lattante che cerca di impadronirsi di tutti gli oggetti per portarseli in bocca”. Se tutti i teorici del capitalismo, a partire da Adam Smith, una qualche ragione ce l’hanno nel considerare l’egoismo il vero motore dell’economia, forse varrebbe anche la pena valutare i benefici anche di un’attenzione alla felicità pubblica, perché non è poi così vero che ricchezza e lavoro, come sostenuto sempre da Adam Smith, conducono in ogni caso ad una qualche forma di giustizia distributiva. Nelle carte dei “Pandora Papers”, emerse dall’ inchiesta del settimanale “L’Espresso”, in cui sono coinvolti nomi illustri del calcio italiano, emerge un mondo dello sport che definire desolante è comunque non dare la vera idea di quanto miserabile sia il costante tentativo di non intaccare il proprio forziere con quella pratica tipicamente plebea dell’ottemperare all’obbligo fiscale tarato sulla nostra capacità di creare ricchezza. Irritante è stata la risposta di Gianluca Vialli alle richieste di chiarimento del settimanale diretto da Marco Damilano; il suo dichiararsi cittadino britannico per sfuggirvi è stato un calcio sui denti non solo al concetto di trasparenza, a cui uno sportivo dovrebbe sempre attenersi, ma anche al Paese che lo ha cresciuto e lo ha reso famoso e ricco fino all’inverosimile. Un Federazione seria, dopo una simile dichiarazione, avrebbe dovuto chiedere le immediate dimissioni dal suo incarico di dirigente accompagnatore della Nazionale.

In questa “Compagnia dei Celestini” (chiamiamola così, dai, in onore del grande Stefano Benni) non poteva mancare Walter Zenga (“Vialli? Un fratello. Mancini un grande amico di cui mi piace il piglio presidentesco”), che ha pensato bene di trasferire ogni suo obbligo fiscale (si fa per dire) a Dubai, uno dei paradisi preferiti della pratica off-shore. I suoi sbagli Zenga, come ha ammesso in una recente intervista rilasciata al Corriere della Sera, li ha fatti sempre “per soldi, maledetti soldi. Ho scelto di rompere con delle squadre perché dall’altra parte mi offrivano di più, ma oggi riconosco che ho sbagliato”. Lacrime di coccodrillo a go go sono quelle più spese da questi miti dello sport, la cui caratteristica a risaltare agl’occhi sovente è la loro totale mancanza del senso della decenza. Come quando Carlo Ancellotti (il fratello maggiore nella “Compagnia dei Celestini”) ammette candidamente, di fronte ad un giudice spagnolo, di aver sì evaso le tasse, ma solo parzialmente. L’emerso dai “Pandora Papers”, che non coinvolge solo sportivi ma anche divi dello spettacolo e della moda, è un mondo dedito alla pratica corsara, dove tutto è permesso e spesso condonato attraverso accordi al ribasso tali da far infuriare tutte quelle persone quotidianamente in fila davanti alle Agenzie delle Entrate sin dall’alba, nella speranza di non uscire con le ossa rotte da uno Stato italiano da sempre inflessibile e forte con i deboli.

Ammetto, però, di scoprirmi infuriato in special modo con gli sportivi protesi continuamente a gabbare i diritti di Cesare, perché essi hanno un ruolo immaginifico e simbolico talmente importante da non poter ignorare la necessità di essere una persona perbene ad ogni costo, persino più della moglie di Cesare invitata non solo ad essere onesta, ma anche a sembrarlo. Gli sportivi sono l’archetipo dello sforzo fatto in nome della lealtà e del superamento dei propri limiti, ed è proprio per questo che amiamo elevarli nel Pantheon di ogni nostro mito. Papa Francesco sembra quasi fuori dal tempo, quando ribadisce come “ogni ricchezza per essere buona, deve avere una dimensione sociale, e chi la possiede deve essere un amministratore della Provvidenza. Ogni bene sottratto alla logica della Provvidenza – continua l’attuale Pontefice – è tradito nel suo senso più profondo”. La logica della Provvidenza nella felicità pubblica, per quanto a molti possa apparire strano, può funzionare solo se uno Stato ha i mezzi necessari per distribuirla, chiedendo in special modo ai più fortunati di non provare a nascondere o a mistificare il reale ammontare del “plusvalore” da essi prodotto nell’espletare le loro professioni.

I calciatori e allenatori guadagnano cifre scandalose grazie alla continua “tassazione” che i tifosi fanno alle loro tasche per goderne le gesta e persino le operazioni di “merchandising”, dove una loro maglia e una loro scarpa giustificano l’ elevato costo nel nome di un calcio diventato sempre di più uno dei simboli del “falò delle vanità”. Non bisogna essere simpatizzanti di idee socialiste o di idee pauperistiche, per rimanere scandalizzati (si può ancora esserlo? O è banale?) dalla mancanza di qualsiasi orizzonte etico quando ci si approccia con ossessività dell’accumulo di denaro ad ogni costo, anche a costo della nostra coscienza. “Il denaro è un buon servitore ma è un cattivo maestro”, scrive Francoise Sagan, è il problema risiede esattamente nella ritrosia di non voler essere più allievi di nessuno e nell’aver elevato a categoria teologica ed esistenziale il “metodo Mino Raiola” (altro assoluto protagonista dei Pandora “Papers”). Meglio richiamarsi al mitico Gordon Gekko disegnato magnificamente da Oliver Stone in “Wall Street”: “L’unica cosa importante è il denaro, tutto il resto è conversazione. E se vuoi un amico, fatti un cane”. Eh sì, pare che dalle parti della nostra “Compagnia dei Celestini” abbiano capito tutto. Ma proprio tutto.

Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.

Attraverso le sue rubriche, grazie al lavoro di qualificati opinionisti, Toro News offre ai propri lettori spunti di riflessione ed approfondimenti di carattere indipendente sul Torino e non solo.

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