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L’intelligenza artificiale, Anthony Weatherill, i tifosi

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"nipote di Matt Busby, storico allenatore del Manchester United, Anthony ha portato nel sangue la passione per il gioco, ma ha scelto di dedicarla non al campo, bensi' ai suoi protagonisti piu' autentici: i tifosi"
Carmelo Pennisi
Carmelo Pennisi Columnist 

“Or la squilla dà segno  

della festa che viene”    

Giacomo Leopardi

Questo è un appuntamento speciale e curioso di “Loquor”: ho chiesto all’Intelligenza Artificiale un suo contributo per ricordare Anthony Weatherill. Questa è stata la sua risposta: “nel cuore di chi ama il calcio non solo come sport, vive il ricordo indelebile di Anthony Weatherill. Nipote di Matt Busby, storico allenatore  del Manchester United, Anthony ha portato nel sangue la passione per il gioco, ma ha scelto di dedicarla non al campo, bensì ai suoi protagonisti più autentici: i tifosi. La sua vita è stata una battaglia gentile ma tenace contro la mercificazione del calcio. Nel 2017, con Carmelo Pennisi, scrisse una lettera aperta ai dirigenti dell’Uefa e alle Federazioni nazionali per denunciare la deriva commerciale del gioco più amato al mondo. In quell’analisi lucida e profonda, Anthony metteva in guardia contro la trasformazione del tifoso in “cliente”, contro l’ingresso dei fondi sovrani e contro l’erosione del fairplay. Parlava di calcio come patrimonio culturale, come rito collettivo, come spazio di identità. Ma non si è fermato alle parole. Anthony ha ideato la “Carta del Tifoso”, un progetto visionario che avrebbe dovuto connettere digitalmente i supporter di ogni Continente, dando loro voce e potere decisionale. Era un sogno di democrazia sportiva, un tentativo concreto di far entrare i tifosi nei board delle loro squadre del cuore. Purtroppo quel progetto gli fu sottratto e trasformato in uno strumento di controllo, snaturandone il significato originario. Nel suo impegno con la F.I.S.S.C(Federazione Italiana Sostenitori Squadre di Calcio) ha incarnato l’idea di un tifo unito, consapevole, europeo. Ha lottato per l’azionariato popolare, per la trasparenza, per il rispetto delle radici. Ha dimostrato che il calcio può essere governato anche dal basso, se solo si ha il coraggio di ascoltare chi lo vive ogni giorno. Oggi i tifosi italiani ed europei che portano vivo il suo ricordo si aspettano un gesto: l’unione.

Non una commemorazione sterile, ma un movimento. Un fronte comune per difendere il calcio dalla sua deriva, per restituirgli la sua anima. Anthony Weatherill non è stato solo un pensatore. E’ stato un costruttore di futuro. E quel futuro, ora, è nelle nostre mani”. Ci sono ovviamente molte cose che AI non sa, come il ritardare di due mesi le cure per la brutta malattia che lo aveva colpito, al fine di recarsi a Ryad per convincere alcune componenti della famiglia reale saudita ad investire in un fondo dedicato ai tifosi, affinché potessero utilizzarlo per provare ad entrare negli azionariati dei club. Si sa come quando ti colpiscono certe malattie, la rapidità delle cure siano una precondizione per sperare di avere delle possibilità di cavarsela; Anthony rischiò perché il bene generale lo convinceva di più dell’interesse personale, e quindi prese quell’aereo per l’Arabia Saudita che probabilmente non avrebbe dovuto prendere. Accadono cose che ti fanno ritornare in mente fatti e persone che hai conosciuto, che tu sai quanto hanno provato a fare per il bene generale e per migliorare lo spirito del tempo. Sono persone abituate a fare quello che dicono, e magari di questo la maggior parte del mondo non saprà mai niente. Qualche giorno fa se ne andato un mio caro amico, uno che mi ha voluto bene quasi come ad un figlio, un grande artista e Premio Oscar per la  migliore scenografia(“Camera con Vista” di James Ivory): Gianni Quaranta. “Certe cose-mi raccontò- le sappiamo fare solo noi in un certo modo, e non è una cosa che si può spiegare facilmente a chi non è italiano. E’ qualcosa collocata nel nostro dna, e che gli altri vedono solo quando si trovano di fronte al risultato finale. Carmè, noi siamo una meraviglia”. Aveva rifiutato un importantissimo film americano, perché le leggi ferree sindacali che regolano Hollywood gli avrebbero impedito di portare con sé nel film tutti i suoi collaboratori: “mi vogliono perché sono bravo, ma senza i miei collaboratori italiani, che capiscono all’istante cosa ho in mente, io non potrei essere bravo. Forse io sono la mente, ma loro sono il cuore. E il loro cuore è italiano”.

Guardare le cose per il loro meglio è il segreto perché queste abbiano ancora un senso, essere attivi pragmaticamente per provare a concretizzarle è quasi un dovere. Bisogna saper rinunciare al proprio orticello e nello stesso tempo avere coraggio, se si vogliono migliorare le cose nel calcio e non solo nel calcio. Il nostro sport più amato ci chiede di essere protagonisti non solo a parole o sulle lettere di una tastiera, ma di metterci “sulla strada” per essere lievito dei cambiamenti irrevocabili in corso. Spesso gli interessi particolari, la voglia di ambire ad un potere e di guadagnare una piccola rendita, disperdono la forza di una collettività o di una comunità. Il calcio va capito e non è solo un problema di soldi, come dimostra il caso di Renzo Rosso, una delle persone più ricche d’Italia, che in una intervista al “Corriere della Sera” ha dovuto ammettere di non essere giunto con il Vicenza dove avrebbe voluto: “avevo grandi ambizioni… ma il calcio non è controllabile come un’azienda”. Sarebbe interessante approfondire questo concetto del patron di “Diesel”, per capire perché dopo sette anni alla guida del club veneto e 40 milioni di euro di investimento, il suo progetto calcistico ancora non riesce a muoversi dalla Serie C. Forse Rosso fa parte di quella schiera di imprenditori, a cui fa parte anche Urbano Cairo, che non ha compreso come il calcio non possa essere trattato come la provincia di un impero o un satellite di una galassia fatta di investimenti remunerativi e marchi. Il calcio ha bisogno di una competenza imprenditoriale atipica, perché pur seguendo le dinamiche del “secondo settore”(il mercato), esso ha bisogno anche di una gestione da “terzo settore”(mondo no-profit e sociale), siamo di fronte, insomma, a qualcosa di ibrido e va necessariamente capito per avere in esso successo. Di ciò Anthony Weatherill ne era perfettamente conscio, non gli era mai sfuggita questa componente atipica dello sport più seguito al mondo, che non deve andare alla ricerca dell’eccellenza e dell’innovazione per cercare pubblico, perché questo già c’è a causa di un amore gratuito derivante da un patrimonio generazionale inesauribile. Di questo patrimonio sono in possesso i tifosi, hanno quella specificità di cui parlava Gianni Quaranta a proposito dei suoi collaboratori/artigiani italiani, e che non avrebbe potuto trovare da nessuna altra parte. I soldi sono certamente importanti nel calcio, eccome se lo sono, ma dovrebbero servire a muovere in primo luogo gli intenti della natura sociale e comunitaria del calcio. La competenza in chi decide di fare impresa in questo sport o di lavorarci a livello manageriale, risiede nel far capire che una squadra di calcio innanzi tutto è patrimonio di un territorio e di una storia. Anzi, di più: è una delle cartoline più chiare del dna di un territorio.

Questo non vuol dire restare immobili e non raccogliere le potenzialità provenienti dalle innovazioni, Anthony era sempre in giro per il mondo per capire le opportunità dell’era digitale, del metaverso, della cripto valuta, e stava parlando con i sauditi per un progetto di sport da inserire nella città di fondazione “Neom”, che sarà la città più tecnologica e digitalizzata del mondo, ma tutto ciò sempre nel nome di coloro che lui riteneva i veri padroni del calcio, ovvero i tifosi. “La Carta del Tifoso” era l’idea di uno strumento globale con cui i supporter avrebbero potuto interconnettersi per mantenere viva l’anima da “terzo settore” dello sport da loro seguito. Curare la suggestione no-profit di un club è la chiave di ogni successo del calcio, e una cosa come “la banca del tempo” contenuta ne “La Carta del Tifoso” sarebbe servita a cementare il rapporto tra la gente che segue il calcio e le necessità di dare una alternativa sociale al neo liberismo. Non è socialismo utopico o radicale, tale alternativa risiede nel patrimonio giudaico/cristiano del nostro Continente, cioè quella regione geografica del mondo in cui il calcio è nato tra gli oratori, le università, i luoghi di culto ebraici e le associazioni dei dopolavoro della classe lavoratrice. Il concetto del riposo del fine settimana per ritrovarsi con la propria comunità, ripreso splendidamente anche da Giacomo Leopardi, il nostro più grande poeta, nella sua “Il Sabato del Villaggio”, per stare insieme e per fare memoria: questo è il calcio. Entrando nella postmodernità, esso ha dovuto accettare anche il mercato da impresa come logica, abbandonando il criterio mercantile da fiera ormai sorpassato, con la colpa però di stare disperdendo il patrimonio sociale dei tifosi. I soldi, i molti soldi, arabi hanno gettato zizzania e mistificazione nello sport principe europeo, i fondi americani stanno completando l’opera sfruttando i margini di profitto dei debiti dei club. Anthony Weatherill ha provato a scuotere il mondo del tifo da libero pensatore e da persona d’azione, anche se non tutti lo hanno capito, e molti lo hanno spesso tradito. Ma non gli importava, a lui interessava solo che il calcio ritornasse a casa, e la sua casa erano, e sono, i tifosi. “Sono nato tifoso del Manchester United – diceva -, non voglio morire da cliente del Manchester United”. In questo epitaffio è racchiuso il cuore di ogni problema dello sport più seguito e più amato.

Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.

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