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E questo qualcuno non può essere una persona qualsiasi, non si può delegare ad un manager uscito da qualche supercorso di Coverciano la prova della verità. I tifosi devono sentire con il cuore e devono essere rassicurati con la vista di essere capitati davvero nel posto giusto. Il calcio è un processo di assunzione, non di rimozione. E’ senz’altro vero che tutti si aspetta il campione del domani, come degli assetati alla ricerca della purezza della vera acqua fresca. Ma questa ricerca assume un senso perché dentro di noi abbiamo il ricordo nitido di questa purezza. E allora vogliamo riassaporarla. Ed è gente come Maradona, con il suo ricordo appalesatosi improvvisamente in una sera di calura allo Stadio San Paolo, a ricordare a tutti come quello sia il teatro giusto. In quest’ottica è comprensibile la solitudine provata da Ignazio Abate che dichiara “con i cinesi mi sentivo estraneo a casa mia”. Quando non trovi più segni del tuo destino, è facile non riconoscere più nemmeno la tua casa. Durante la cerimonia di apertura delle universiadi, le telecamere spesso hanno indugiato sul volto del Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella, accomodato nella tribuna d’onore dello Stadio San Paolo. Per tutto il tempo ha riservato qualche sorriso di circostanza e qualche applauso annoiato. Ma quando, in ultimo, è entrata la rappresentativa italiana per il giro di presentazione, il suo volto si è accesso di un entusiasmo incontenibile. Si è vista una evidente felicità attraversargli il corpo, perché i “suoi ragazzi”, i ragazzi di una nazione che ha l’onore e l’onere di presiedere, stavano raccontando al mondo che l’Italia, ancora una volta, era presente e viva.
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Ed è stato il volto entusiasta di Sergio Mattarella a dare una sorta di sanzione notarile e di verità: sì quelli sono i miei ragazzi, quelli sono i ragazzi italiani, quella è l’Italia. Siamo ancora qui. Subito dopo l’immagine è staccata in un Campo Lungo, dove la nazionale italiana procedeva orgogliosa e felice verso un orizzonte. E’ stato un momento di pura poesia, di indicibile armonia. Ogni italiano, immagino, si sarà sentito parte di un qualcosa. Ecco perché, in mezzo a tutte quelle molteplici scritte di ricche sponsorizzazioni, sulla carrozzeria di una Ferrari da corsa non manca mai una piccola bandiera tricolore. Perché non si debba mai dimenticare come quel bolide rosso sia la sintesi del genio e dei sogni di generazioni di italiani. I giocatori simbolo, i loro volti, le persone di cui ci fidiamo, sono necessari per non farci definitivamente smarrire la strada di casa. Sono necessari per farci riconoscere casa nostra, una volta giunti sulla soglia della sua porta. Ecco perché sono rimasto impressionato da quelle maglie numero 10 sventolate in alto dai ragazzi della rappresentativa argentina. Hanno ricordato a tutti noi che quella è stata la casa di Maradona, hanno sottolineato come quella sia la casa del Napoli, hanno capito che stavano percorrendo il breve tragitto di un destino e di una idea. Che i club, tutti i club, facciano di tutti per riportare a casa i loro ex giocatori simbolo. Ne abbiamo bisogno, un disperato bisogno. Dobbiamo riconoscere dove tutto è iniziato, e dove tutto si è compiuto. Perché, in fondo, ritornare a casa e riappropriarsene ancora una volta, è l’unica conta. Qualcuno ha scritto:”la tua casa è un angolo di paradiso, uno squarcio di bellezza, un segno di eleganza, un sogno che diventa realtà. Congratulazioni”. Mi associo.
Di Anthony Weatherill
(ha collaborato Carmelo Pennisi)
Anthony Weatherhill, originario di Manchester e nipote dello storico coach Matt Busby, si occupa da tempo di politica sportiva. E’ il vero ideatore della Tessera del Tifoso, poi arrivata in Italia sulla base di tutt’altri presupposti e intendimenti.
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