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Vedrete che troveranno, oh se li troveranno, gente disposta a mettere i numeri al posto giusto, per spiegare e giustificare il nuovo mondo. Intanto, mentre si aspetta tale avvento, enclave di tifosi continuano a rimanere aggrappati al sogno di ieri. Quando poteva essere normale, nel corso di una stagione calcistica intensa, mantenere una promessa e prendere un aereo per portare un po’ di conforto economico ad un giocatore giunto al capolinea della sua carriera. Non erano tempi di munifici diritti tv, sponsor ricchi fino all’inverosimile e procuratori pronti a monetizzare pure l’aria di uno stadio, quelli; i giocatori vivevano l’arco della loro carriera, non longeva come può esserne una di oggi, certo un po’ più agiati del resto del mondo, ma con una voragine di inquietudine ed incertezza ad attenderli il giorno dopo il fissare i loro scarpini al fatidico chiodo. Valentino Mazzola decide di donare a Francisco Ferreira un’ultima occasione di monetizzare il talento calcistico ricevuto gratuitamente da Dio, attraverso l’incasso a lui devoluto dell’amichevole che gli “Invincibili” giocano contro il suo Benfica. Non ci sono particolari sponsor, o divieti, o televisioni a negare la possibilità dello svolgimento dell’evento. E’ un calcio fatto da veri uomini di sport, quello. Dove gli uomini di sport hanno la possibilità di darsi una stretta di mano e una parola, e darsi un aiuto nel nome di una comune passione fatta diventare dal fato una professione. Tutto ciò che sta attorno i giocatori conta, ovvio, ma nella giusta misura. Era il tempo in cui non una multinazionale, ma il proprietario di alcune macellerie, faceva rinascere il Manchester United. Un macellaio che conosceva la città mancuniana fino al profondo delle sue viscere. Perché era parte di quelle viscere. Molti decenni dopo i suoi discendenti ed eredi, venderanno a degli americani più di una squadra, venderanno l’anima di una città. Venduta l’anima si rimane attoniti, e si comincia a vagare nel tentativo di recuperarla. Voglio esser ottimista: un giorno noi mancuniani quell’anima la recupereremo. Perché i tifosi non dimenticano, e perché tutto, prima o poi, ci si prospetta come un ritorno. Ma se anche a Piero Chiambretti, noto tifoso granata doc, deve essere un portoghese a ricordargli come la sua squadra non sia piccola, ma memoria del mondo pronta a rinascere, allora forse la depressione in Italia deve aver messo veramente piede. Perché rinascere e vincere, nello sport come nella vita, deve avere come premessa necessaria la consapevolezza di avere un valore. E il Torino lo ha, e non perché ci credono i suoi tifosi, ma perché lo ha oggettivamente. E’ la sfida dell’immaginazione contro i numeri perfetti della Juventus, e’ quella tasca che si svuota mentre il cuore si riempie.
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Il Toro è uno dei cuori pulsanti dell’animus italico, che qualcuno vorrebbe estinguere, ma che ancora si ostina ad esistere. Nonostante lo spread, nonostante il debito pubblico, nonostante la crisi economica, nonostante il tradimento di gran parte di una classe dirigente. Il Toro si ostina ad esistere perché è Italia in un modo tale, come forse nemmeno lui è pienamente conoscente. E resiste tenace elevato a monito positivo, come sole davanti al quale in ogni momento ci si potrebbe sedere. Perché come ha detto e scritto quella persona meravigliosa che è Eraldo Pecci, il Toro non può perdere, anche qualora dovesse perdere sul campo. Josè Mourinho, persona profonda nel suo essere singolare e contraddittorio, lo ha voluto improvvisamente ricordare. Quando un tifoso/lettore(che ringrazio) mi ha ricordato questa considerazione dell’allenatore portoghese, confesso di essermi commosso. Perché amo l’Italia e considero il Toro un po’ come la sua Lampada di Aladino. Una lampada che non realizza desideri, ma li conserva. Un giorno ritornerà il suo momento, ma per ora dalle soglie dell’Oceano Mare qualcuno continua a parlare della sua grandezza e una targa posta all’Estadio Nacional in memoria di quella partita donata dagli Invincibili recita: “eterna amizade”. Vi pare poco?
Di Anthony Weatherill
(ha collaborato Carmelo Pennisi)
Anthony Weatherhill, originario di Manchester e nipote dello storico coach Matt Busby, si occupa da tempo di politica sportiva. E’ il vero ideatore della Tessera del Tifoso, poi arrivata in Italia sulla base di tutt’altri presupposti e intendimenti.
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