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È rimasto solo Maxi Lopez a illudersi che “se in Italia succede quello successo in Francia (stop definitivo ai campionati) scoppia una guerra mondiale”. Il giocatore argentino non ha capito il momento, è evidente. Non ha compreso, unitamente a molti attori principali del calcio, come la distanza tra tifosi e calcio attuale si sia divaricata a tal punto, da assumere i contorni di una strada senza uscita da dove non è più possibile un ritorno. Non sto dicendo, ovviamente, che il calcio sia finito. Presto riprenderà le sue attività, come tutte le cose del mondo. Solo non è più autentico, e sarebbe meglio come i suoi protagonisti rimangano nelle loro torri d’avorio e la smettano di provare ad esercitare un ruolo che, in tutta evidenza, non hanno più. Se il calcio vuole recuperare le sue origini, e quindi la sua identità, deve battere altre strade. Forse la scuola può essere la realtà giusta da cui ripartire per far tornare lo spirito di fratellanza tra questo fantastico gioco e la gente. Forse la FIGC dovrebbe parlare con la politica, per vedere se ci sono le possibilità di organizzare dei tornei scolastici nelle scuole, fra gli ultimi baluardi dei valori comunitari. Bisogna riscoprire la filosofia e l’esistenzialismo, alla base di ogni attività umana di successo. “Il rimedio è uno solo, aprire gli occhi e rendersi conto che chiudendoli tutto resta, siamo solo noi che ce ne andiamo”, ha scritto Marcello Veneziani, ed è come un invito a non arrendersi alla voglia di resa. Se ancora la qualità della vita supera, ai nostri occhi, la quantità, allora non possiamo dimenticare come il calcio ha bisogno di tutti noi, ancora una volta. Occuparsi di esso, è come occuparsi del nostro giardino privato. Abbiamo il dovere di vivere e di riappropriarci di ciò che è nostro, e se qualcuno ritiene come in un momento in cui si piangono migliaia di morti ciò sia inopportuno, allora la situazione è più grave di come la sto osservando. Trecento spartani si predisposero a morire alle Termopili, perché alle leggi della loro città sentivano di dover obbedire. C’è ancora una legge al di fuori di noi alla quale sentiamo di dover obbedire? La qualità, e non la quantità, passa attraverso la risposta a questa domanda. Proviamoci.
(ha collaborato Carmelo Pennisi)
Anthony Weatherhill, originario di Manchester e nipote dello storico coach Matt Busby, si occupa da tempo di politica sportiva. E’ il vero ideatore della Tessera del Tifoso, poi arrivata in Italia sulla base di tutt’altri presupposti e intendimenti.
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