L’invito ad uniformarsi agli spagnoli, da parte di autorevoli penne, comincia a diventare sempre più pressante ed onnisciente. Tutti lì affannosamente a spiegare che il Barcellona è più di un club, un vero esempio da seguire per la rinascita delle fortune pedatorie italiche. Si assiste a vertiginosi paragoni con l’Italia, da parte di commentatori politici, che indicano il Barcellona come lo specchio della perfetta amministrazione della Catalogna. Poco importa se la Lombardia, rispetto alla regione spagnola, ha dati decisamente migliori su indice di disoccupazione e ricchezza prodotta. Poco importa se le recenti fortune del club catalano appartengano a quei noti fenomeni ciclici, da sempre caratterizzanti la storia del calcio, in cui il caso o l’Eterno decidono maturo il momento di mettere una nidiata di talenti fuori dal comune tutti sincronicamente nello stesso luogo. E’ accaduto negli anni 30 con il “Wunderteam” di Matthias Sindelar, è accaduto con la Grande Ungheria(l’”Aranycsapat”, la squadra d’oro) di Puskas, è accaduto con l’”Arancia Meccanica” di Johan Cruijff; e potrei continuare a fare esempi noti di grandi squadre che, improvvisamente, si costituiscono e fanno la storia. Non voglio certo sminuire l’importanza dell’organizzazione e della programmazione, assolutamente necessarie per un buon svolgimento delle cose della vita, ma quando il destino ti porta ad allenare un roster di assoluti campioni, solo un’eccessiva considerazione di sé può far concludere che le conseguenti vittorie siano frutto di una qualche idea rivoluzionaria. Nel calcio raramente si inventa qualcosa di nuovo, raramente è l’organizzazione a determinare un ciclo di vittorie.
Il calcio è quel fantastico sport fatto di dettagli, dove una squadra di mediocri talenti pedatori, la Svezia, può far fuori prima l’Italia e poi la Germania, cioè otto titoli mondiali complessivi. Amo questo sport perché è l’unico dove tutto è possibile e imprevedibile, perché appunto tutto è dominato da dettagli oscuri e indecifrabili. Amo questo sport, perché è uno di quei rari luoghi dove tutti hanno diritto di cittadinanza, e dove la Corea del Sud può vincere una partita mondiale contro la sintesi della riorganizzazione del calcio tedesco fatto di ius soli e multiculturalismo. Guardo ammirato, come Borges, le vicende di questa palla che rotola da infinite generazioni per stadi e campi arrangiati in ogni parte di mondo. Quando osservo i brasiliani giocare, ho ben chiaro la cosa più necessaria per sviluppare il talento di un adolescente avviato al gioco del calcio: l’anarchia e lo spirito di libertà. Il calcio nasce per strada, nelle spiagge, nei piccoli campetti di periferia, nella voglia di rincorrere la vita e sfidarsi. Provare e riprovare colpi impossibili, senza i consigli ossessivi di qualcuno alla ricerca di parametri giusti per uno spettacolo. Lo sport,e quindi anche il calcio, non sono la ricerca dello spettacolo ma del memorabile. E nessuno può insegnare la via che porta al memorabile. Quando l’Italia vinse contro il Brasile nel mondiale del 1982 non diede certamente spettacolo, ma segnò una pagina memorabile della storia del calcio italiano.
La cosa è rimasta nel cuore degli italiani, perché se lo spettacolo può allietare qualche ora, il memorabile ci fa “essere” per sempre. La differenza sta tutta qui, ed è semplice. Per cui stiano tranquilli i tedeschi, avendo vinto i mondiali con lo “ius sanguinis” e senza il multiculturalismo, e avendoli vinti con lo “ius soli” e il multiculturalismo, di certo torneranno a vincerli. E di certo tornerà a vincerli anche l’Italia, con o senza organizzazione di stampo tedesco o spagnolo. I tedeschi torneranno a vincerli perché sono sempre esageratamente convinti della loro forza, gli italiani torneranno a vincerli perché hanno una pazienza inesauribile. Sono due popoli straordinari, che da oggi condividono anche una Corea e una Svezia; due moniti apparentemente tristi, ma infinitamente positivi. Solo delle rovinose cadute possono ricreare i presupposti di risalite e di nuovi inizi. Germania e Italia ne hanno un disperato bisogno, e il calcio in questi ultimi mesi sta avendo per questi due Paesi la funzione di “specchio” per riflettere sullo sport e altre cose. Auguro una Svezia e una Corea anche per i campionati di club(o, se volete, altri Leicester), e auspico un impegno di tutti perché ciò accada. Per il resto sottoscrivo il twitter del portavoce di Angela Merkel, Steffen Seibert:”Non è la nostra Coppa del Mondo- è triste! Ci saranno altri tornei che ci tireranno su di nuovo”. In bocca al lupo. A tutti noi.
Di Anthony Weatherill
(ha collaborato Carmelo Pennisi)
Anthony Weatherhill, originario di Manchester e nipote dello storico coach Matt Busby, si occupa da tempo di politica sportiva. E’ il vero ideatore della Tessera del Tifoso, poi arrivata in Italia sulla base di tutt’altri presupposti e intendimenti.
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