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Quando Brigitte Bardot si innamorò di un giocatore del Torino

Matteo Curreri
L’incontro tra BB e Raf Vallone, il divo in bianco e nero dal cuore e il passato granata

In queste ore non possiamo non provare un filino di malinconia per un mondo che, icona dopo icona, ci sta definitivamente dicendo addio. Nell’ultimo anno, chi dall’alto decide sulla capienza del nostro pianeta è stato ancora particolarmente cattivo. E così, a 91 anni, a poche ore dalla notte tra il 31 dicembre e il 1° gennaio – periodo in cui viene spesso intonata tra un trenino e l’altro – ci ha lasciato Brigitte Bardot.

La diva per antonomasia era da molto tempo lontana dalle scene, eppure il suo nome rievoca, dalla sola pronuncia, un mondo griffato, patinato, in pellicola e mondano. Una vita da sogno, che si è incrociata – in un determinato frangente di tempo – con quella di un altro viveur, capace di vivere più vite di un felino. Volto noto del cinema italiano, di un cinema prettamente in bianco e nero, ma di tutt’altra cromatura nel suo capitolo sui terreni da gioco, Raf Vallone portava con sé un passato profondamente granata.

Ci trovavamo a cavallo tra gli anni ’50 e ’60 e tutta Parigi provava amore per questo ragazzo nato a Tropea, ma dal radicamento torinese. Anni indimenticabili, di grandi incontri professionali, artistici e umani, in una capitale francese che pullulava di intellettuali, cineasti e stilisti: un contesto più che stimolante per un uomo sensibile a fin troppi fatti dell’animo umano come Raf Vallone. Era uno dei volti del teatro parigino, tanto che la pièce Uno sguardo dal ponte registrava ogni sera il tutto esaurito. Tra gli spettatori, una sera, ci furono Brigitte e una sua amica produttrice, che la obbligò a congratularsi con gli attori e ad accettare l’invito a cena che Raf aveva proposto a entrambe.

“Non ero mai sicura di me stessa e di niente, ma quella sera ero certa di avere una possibilità col signor Vallone – raccontava BB. Ero molto lusingata nel vedere che non mi toglieva gli occhi di dosso, e anche io ero molto attratta dall’intelligenza e dall’erudizione di quell’uomo, la cui bellezza era la qualità più conosciuta dal pubblico. Lui e Christine parlavano di letteratura, di teatro, di musica. Io li ascoltavo cercando di imparare qualcosa attraverso di loro. Erano rare le conversazioni che mi appassionavano”.

Per dieci volte BB assistette ai suoi spettacoli in prima fila. Per nove, Raf cercò di ignorarla, barricandosi in camerino. “Quella donna mi faceva molta paura, mi scombussolava. La decima sera cedetti e fu splendido. La sua magia erotica era paragonabile solo a quella di Marilyn Monroe”, raccontava Vallone, come riportato nel libro Brigitte Bardot. Un’estate italiana di Marco Zanon.

Con la scusa di farle leggere un canovaccio, i due si incontrarono per un appuntamento in un raffinato ristorante russo della città, frequentato nelle sue scorribande parigine anche da Frank Sinatra. “Dopo tutto perché dire di no, ero libera, single e potevo disporre del mio tempo come volevo. […] Senza l’amore mi sgonfio come un palloncino e divento un parassita. Quell’incontro provvidenziale con Raf non poteva capitare in un momento migliore!”.

Una serata all’insegna di prelibatezze: “c’era il caviale, c’era il salmone, c’erano i blinis, c’erano i candelabri in argento massiccio, c’erano le posate d’oro, c’erano i singhiozzi dei violini”, ma soprattutto… “c’erano gli occhi di Raf! Occhi blu, profondi, quasi inquisitori, che scandagliavano il mio animo attraverso il corpo”, raccontava la Bardot.

Da lì una frequentazione, oltre che erotica, fatta di letteratura e di ascolti condivisi, come Vivaldi: “Raf mi ha insegnato molte cose, compreso il silenzio”. Un rapporto che però dovette concludersi in fretta per le riprese di Femmina di Julien Duvivier:

“Ho dovuto abbandonare Raf, Vivaldi e la Russia parigina per Siviglia, Femmina e il flamenco! Non sopporto mai lasciare qualcosa che conosco per qualcosa di sconosciuto. Stavo bene con Raf, avevo fiducia in me stessa, mi sentivo realizzata”.

Una storia che all’epoca non suscitò scandalo, soltanto grazie all’intervento di Oriana Fallaci. Le foto dei paparazzi che li ritraevano insieme arrivarono alla redazione de L’Europeo, ma non furono mai pubblicate “per la sua affettuosa solidarietà femminile nei riguardi di mia moglie Elena”. La stessa Fallaci aveva scritto il racconto da cui traeva ispirazione il film che Raf e la Bardot stavano preparando, sulla rivolta ungherese contro i carri armati sovietici del 1956. Una pellicola che non vide mai la luce per un’ingenuità amorosa. BB mandava infatti bigliettini a forma di margherita con parole d’amore dove alloggiava Raf, che finirono sotto gli occhi della moglie Elena. Vallone, empatizzando con il dolore della consorte, telefonò alla Bardot per dirle che quel film non si sarebbe mai realizzato. “Fu la fine di un sogno – disse – ma anche la rinascita di un amore”.

Sembra incredibile che un uomo dal vissuto simile possa aver indossato anche i panni di giovane calciatore del Torino. E invece sì. Si era persino laureato in filosofia e giurisprudenza alla corte di Leone Ginzburg e Luigi Einaudi. Proprio il secondo presidente della storia repubblicana gli confidò: “La preferisco più come calciatore che come economista”.

“Giocai in prima squadra per merito di Erbstein, fu lui a darmi la chance. Mi fece marcare prima Meazza e poi Ferrari, tutto in una domenica: roba da brividi. Quel tandem d’attacco dell’Ambrosiana – come allora si chiamava l’Inter – era micidiale, ma me la cavai benissimo. E alla fine l’allenatore mi fece i complimenti”, ricordava del suo esordio.

Di ruolo mezzala, nel suo palmarès una Coppa Italia, ma lasciò il calcio prestissimo: a 25 anni, dopo la delusione dei Mondiali studenteschi di Vienna, vinti dalla Germania nazista in maniera, a suo parere, poco limpida. Era il 1941 e il Torino stava costruendo ciò il mondo avrebbe chiamato Grande: “Resto dell’idea che nessuna squadra abbia raggiunto la straordinaria grandezza sportiva e morale di quel Torino. Gente che sapeva insegnarti a vivere, oltre che a giocare a calcio”.

Non dimenticava quello 0-7 ai danni della Roma, vissuto da spettatore: “Quando il Toro uscì dal campo, al Testaccio, tra gli applausi degli avversari… se ci penso, scusate, mi viene ancora da piangere”. Dopo il Toro, tante vite in una sola. Collaborò con l’Unità, partecipò alla Resistenza, divenne uno dei volti del cinema neorealista e costruì una carriera che lo portò a lavorare con registi come De Sica, Germi, Carné e Huston. Un uomo colto, impossibile da incasellare. E oggi, la morte di Brigitte Bardot sembra portarsi via anche quella complessità, quel mondo irripetibile in cui visse anche il nostro Raf. Un mondo in cui un’attrice poteva innamorarsi di un calciatore-filosofo e il calcio insegnava persino a pensare. Un tempo capace di tenere insieme passione, cultura, eleganza e dolore, senza chiedere il permesso.