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Non a caso i media hanno sempre definito gli Agnelli la vera famiglia reale d'Italia. Suppongo, e chiedo venia ai tifosi del Toro di questo mio ragionamento procedente a tentoni e inevitabilmente ipotetico, come i tifosi granata ritengano questa pretesa regale della famiglia “Fiat” una sorta di usurpazione di un potere, prima appartenuto ai Savoia e dopo alla Repubblica, che pone il popolo sovrano come cardine principale della sua Costituzione. Ed è in questa usurpazione di potere, evidente e manifesta perché mai negata dagli Agnelli, che è cresciuta, a me parrebbe, l'identità esistenziale granata. Certo, è noto a tutto il mondo come i tifosi italiani non bianconeri si sentano tutti anti juventini, ma nessuno come i tifosi del Toro sente fin dentro il più profondo recesso del suo istinto “l'ingiustizia” rappresentata dalla Juventus. Perché il potere che da sensazione di soverchia è sempre un'ingiustizia. E allora il problema non è essere “poveri”, perché la povertà può essere anche un rigurgito positivo di orgoglio del farcela comunque ad esistere, ma piuttosto di non accettare il potere per il potere. Ed è in questo tracciato esistenziale che è nata una delle più interessanti, sociologicamente e culturalmente, diversità tra tifosi presenti in Italia. Porta conseguenze ciò nella vita pratica di tutti i giorni? Porta conseguenze nelle nostre azioni individuali? Ovviamente sì, ed ad un'osservazione attenta sono certo che chiunque potrebbe cogliere in molti banali gesti quotidiani la differenza tra uno juventino e un torinista.

Questa mia analisi non vuole essere un incitamento a juventini e torinisti a detestarsi o addirittura ad odiarsi da qui ai secoli a venire, anche perché qualcuno ha scritto che “la saggezza è saper stare con la differenza senza voler eliminare la differenza”, ma piuttosto come due squadre di calcio hanno probabilmente influenzato in modo importante molti modi di approcci comportamentali dei tifosi delle due squadre. Personalmente adoro i tifosi del Toro perché mi ricordano continuamente la “resilienza”, che è una delle più belle virtù che il Creatore ha messo a disposizione degli uomini. Ma non sempre è una squadra a forgiare parte dell'animo umano(ah, quante variabili e possibilità ci da l'esistere), a volte può essere il territorio a forgiare la squadra nei suoi valori etici ed esistenziali. Jimmy Jones giocava nel Belfast Celtic, e questo a molti non dirà quasi nulla. Ma se ci si trova nel cuore dell'Irlanda del Nord e nel pieno dei “The Troubles”(il conflitto a “bassa intensità” tra cattolici e protestanti che per decenni ha afflitto il “dominion” inglese nella terra che fu di San Patrizio), allora la questione assume una certa rilevanza per la nostra attenzione. Jimmy Jones era un “lealista”(protestante) che guidò per un certo periodo l'attacco del Belfast Celtic, la squadra di calcio cattolica più importante di Belfast fino al 1949, data della sua cessazione da ogni attività agonistica. Ora provate ad immaginare il primo protestante a giocare per una squadra cattolica nella storia calcistica dell'Irlanda del Nord. Provate ad essere a “Falls Road”, il quartiere che fu di Bobby Sands, autentica icona della resistenza dell'Irish Republican Army(IRA), dove il Belfast Celtic nasce per onorare i famosi colleghi scozzesi di Glasgow.
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Provate a fare questo gioco, e forse riuscirete per un istante a comprendere cosa devono aver provato i “lealisti” a veder scendere in campo per una squadra cattolica uno dei migliori talenti di sempre del calcio nord irlandese. Stiamo parlando di una terra dove il Derry Football, altra squadra cattolica, è stato costretto nel 1985, con una speciale intercessione della Fifa, ad “emigrare” nella Lega Calcistica della Repubblica d'Irlanda, a causa di continui scontri tra i suoi tifosi cattolici e i tifosi protestanti. Neanche l'accordo di pace del “Venerdì Santo” del 10 aprile del 1998 è riuscito a spegnere del tutto le tensioni negli stadi, che continua ad essere uno dei luoghi in cui si manifesta lo scontro tra identitari cattolici e unionisti protestanti. La storia tra Jimmy Jones e il Belfast Celtic finì traumaticamente nel “Boxing Day”(la partita che si gioca tradizionalmente nel giorno di Santo Stefano) del 1948, evento che vide scontrarsi i bianco verdi del Celtic contro la celebre squadra protestante del Linfield. A pochi minuti dalla fine dell'incontro, e dopo l'insperato pareggio della propria squadra, i tifosi del Linfield invasero il campo e si avventarono sui giocatori avversari.
Ad avere la peggio fu il giovane Jimmy Jones a cui i tifosi del Linfield spezzarono una gamba(che recuperò per l'attività agonistica dopo due anni di delicati interventi chirurgici). E probabilmente gli sarebbe finita peggio se il cattolico Sean McCann, portiere della squadra del Ballymena United, non si fosse precipitato in suo aiutò dal suo posto in tribuna, cominciando a rifilare calci e gomitate alla folla impazzita che si stava accanendo sul corpo ormai svenuto di Jimmy Jones. Sean, vista l'impossibilità di poter difendere con le sue mani il giocatore del Celtic, decise che gli rimaneva una sola possibilità per salvarlo dalla furia dei tifosi del Linfield, che sembravano volessero seriamente ucciderlo: con il suo corpo lungo da portiere, si buttò sopra il corpo di Jimmy Jones, prendendosi tutte le botte al posto suo e probabilmente salvandogli la vita.
Anni dopo, ormai anziano, Jimmy Jones in un intervista regalò un lampo di quell'ironia di cui sono piene quelle terre: “la cosa paradossale è che io ero protestante e le persone che stavano cercando di uccidermi erano protestanti, mentre Sean McCann era cattolico”. Le squadre di calcio come crocevia delle grandi questioni storiche in cui sono protagoniste le persone con le loro identità, questo insegna questo pezzo di storia di sport nordirlandese. Il bisogno di essere rivali, di essere parte di qualcosa, di interpretare le proprie esperienze; questo ci rimanda, da più di cento anni, il magnifico gioco del calcio. A ricordarci continuamente una verità fondamentale, come ebbe a sottolineare il mistico indiano Swami Vivekananda: “se fossimo tutti identici, che monotonia! Stesso fisico, stessi pensieri. Che cosa ci rimarrebbe da fare, se non sederci e morire nella disperazione. Non possiamo vivere come una fila di fromiche, la diversità fa parte della vita umana”. Viva il calcio. Viva la diversità. E buon inizio agonistico a tutti. Con il cuore.
Di Anthony Weatherill
(ha collaborato Carmelo Pennisi)
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